Primo Reggimento
Volontari Romani
Primo Battaglione
5ta Compagnia
Io qui sottoscritto Capitano Comandante la 5° Compagnia[1] certi-
fico per la verità che durante il tempo in che sono stato
Comandante la guarnigione del forte O. in Marghera[2]
il Professore Sanitario Sig D.r Angelucci ha più volte dormi-
to in detto forte, ed è stato sempre pronto ad accorrervi
ad ogni chiamata in qualunque tempo In fede
Palestrina 31.. Agosto 1848[3]
Luciani
Cap
Note
La lettera presenta le note di merito del Dottor Angelucci per il probabile ingaggio nella cura dei feriti del Battaglione Universitario di ritorno dal Vicenza.(n.TSS)
[1] Il Battaglione universitario romano fu un corpo di volontari formato da studenti dell’Università di Roma La Sapienza, che combatté in Veneto durante la prima guerra d’indipendenza italiana nel 1848 e si distinse nella difesa della Repubblica Romana nel 1849.
1848, prima guerra di indipendenza
Primavera dei popoli
Nel 1848, tutta l’Europa fu percorsa da un moto di cambiamento politico, che partì dal basso, noto come “Primavera dei popoli”.
Anche l’Italia fu coinvolta: a gennaio scoppiò la Rivoluzione indipendentista siciliana del 1848; tra gennaio e marzo il re delle Due Sicilie e quello di Sardegna dovettero concedere la Costituzione dietro pressione della popolazione; a marzo veneziani e milanesi si rivoltarono contro i dominatori austriaci, i primi costituendo la Repubblica di San Marco e i secondi cacciando gli austriaci dopo una lotta passata alla storia come le “Cinque giornate di Milano”. Il 23 marzo il Re di Sardegna, Carlo Alberto, dichiarò guerra all’Impero austriaco, dando inizio alla prima guerra di indipendenza.
Costituzione del Battaglione e del Corpo d’operazione pontificio
Come in tutta Italia, anche a Roma si fecero avanti i volontari; gli studenti dell’Università della Sapienza raccolsero le adesioni al Caffè della Sapienza, in piazza del Popolo e nel Colosseo. Fu formato il Battaglione universitario romano, anche detto “dei tiragliatori”.
Il governo di papa Pio IX, con ordinanza ministeriale del 23 marzo, ordinò la formazione di un Corpo di Operazione con lo scopo di «procedere alla difesa e sicurezza dei domini pontifici, nonché alla concorde azione delle forze nazionali italiane». Sotto il comando del generale piemontese Giovanni Durando e del suo secondo Massimo d’Azeglio, furono costituiti quattro reggimenti di fanteria, due di cavalleria, tre batterie di artiglieria da campagna, una compagnia di artificieri e due del genio. I volontari furono posti sotto il comando del generale Andrea Ferrari.
Il 25 marzo i volontari furono radunati a piazza del Popolo, dove il Battaglione ricevette le bandiere di guerra, preparate dagli studenti Augusto Silvagni, Luigi Alibrandi e Gaspare Finali. Erano due tricolori italiani orizzontali, col rosso in alto e una croce di velluto rosso al centro della fascia bianca, in quanto gli italiani che combatterono la guerra contro gli austriaci la consideravano una “crociata”; il puntale della lancia, in metallo bianco traforato, recava le lettere “BU”, «Battaglione Universitario»; l’asta era decorata da due fasce oro e argento, i colori dello Stato Pontificio, ed era rivestita di velluto rosso e decorata con chiodi di ottone.
Il corpo di spedizione uscì da Porta del Popolo; davanti alle due Legioni Romane marciavano le tre compagnie del Battaglione universitario, comandate dal colonnello Angelo Tittoni. Ad Ancona gli studenti romani ricevettero le divise da due barnabiti, Alessandro Gavazzi e Ugo Bassi; la tunica, a cinque bottoni di ottone con croce di panno rosso cucita in alto a sinistra, e i pantaloni erano in panno turchino scuro; la banda dei pantaloni e i paramani della giubba erano verdi, così come il colletto; il copricapo era un cappello alla calabrese, a cupola, con fascia di velluto verde e cinque penne di cappone ricadenti all’indietro; la cintura con cartucciera era in cuoio nero.
Battaglie di Montebelluna e Cornuda
I volontari raggiunsero Cesena, poi Bologna, dove al Battaglione universitario si aggiunsero altre due compagnie di volontari, e infine Ferrara, per poi attraversare il Po a Lagoscuro ed entrare così in Veneto.
La campagna del Veneto iniziò con una ferale notizia: l’esercito di spedizione romano fu infatti raggiunto dalla comunicazione dell’allocuzione «Non semel» di papa Pio IX del 29 aprile, con la quale il Pontefice aveva deciso di disimpegnarsi dalla guerra, subito seguito dal granduca toscano Leopoldo II e dal re napoletano Ferdinando II. Cionondimeno, le truppe romane di Durando, come un piccolo contingente di quelle napoletane comandate da Guglielmo Pepe, decisero di restare in Veneto a combattere e a difendere le città venete libere. Le fasce oro e argento delle bandiere, colori papalini, furono allora sostituite con tre fasce, rossa-bianca-verde.
Il Battaglione universitario fu impegnato all’inizio di maggio a Montebelluna, in una serie di scontri in cui i generali romani, Giovanni Durando e Andrea Ferrari, non riuscirono a coordinarsi e permisero al generale austriaco Nugent di raggiungere Vicenza e poi Verona.
L’8 maggio le forze di Ferrari, tra cui il Battaglione universitario, combatterono nella battaglia di Cornuda; anche in questa occasione gli austriaci ebbero la meglio a causa dello scarso coordinamento dei comandanti romani, col mancato arrivo delle truppe di Durando. Al termine della battaglia, Ferrari si ritirò su Treviso, che le sue forze dovettero difendere il 12 maggio dall’attacco degli austriaci.
Le due battaglie di Vicenza
Ripiegati su Vicenza, con l’aiuto della guardia civica locale, i volontari del Battaglione universitario difesero la città veneta il 20 maggio e poi ancora il 24 maggio (le cosiddette «cinque giornate di Vicenza»), riuscendo a respingere gli attacchi austriaci, che infine levarono la minaccia. In questa occasione cadde Raffaele Rolli, di Bologna, appartenente alla 2ª compagnia.
Il 10 giugno, a seguito della battaglia di Vicenza, gli austriaci di Josef Radetzky riuscirono ad accerchiare la città veneta; il Battaglione universitario fu coinvolto negli scontri, e collaborò alla difesa della città occupando Villa Almerico Capra detta la Rotonda e la vicina Villa Valmarana “Ai Nani”.[3][4] In questa occasione morì il sergente Barberi e si ebbero 19 feriti gravi tra gli studenti; 17 feriti leggeri furono fatti prigionieri dal nemico. Il 20 giugno gli austriaci lanciarono l’attacco decisivo a Vicenza: numerosi studenti romani furono feriti e il Battaglione costretto a ritirarsi. Durando e Radetzky concordarono una resa onorevole: il Corpo di operazione romano sarebbe potuto tornare dietro il Po, ma in compenso si sarebbe astenuto dal partecipare agli scontri per tre mesi. Alla notizia della resa, gli studenti, frustrati, spararono alla bandiera bianca fatta innalzare da Durando.
Dopo aver passato la notte nell’Ospedale Maggiore di Vicenza, il Battaglione universitario guidò la colonna del Corpo di Operazioni all’uscita dalla città, in pieno assetto da guerra. Per scherno, gli austriaci, che erano disposti su due file ai lati della strada, suonarono gli inni italiani; solo con grande fatica il maggiore Luigi Ceccarini, che aveva sostituito il colonnello Tittoni, riuscì ad impedire la reazione degli studenti all’affronto e l’inevitabile strage che ne sarebbe conseguita.
Fine della prima guerra d’indipendenza
Il Battaglione universitario ripiegò su Ferrara, dove fu accolto con affetto dalla popolazione, e di qui a Bologna, dove gli studenti parteciparono all’insurrezione contro gli austriaci dell’8 agosto. Il giorno successivo fu firmato l’armistizio di Salasco, col quale Piemontesi e Austriaci interrompevano le ostilità.
Una parte del Battaglione, guidato da Luigi Ceccarini, attese la fine dei termini dell’armistizio e si recò prima a Ravenna e poi a Venezia, a combattere per la difesa della città assediata dagli austriaci, fino alla resa, avvenuta il 22 agosto 1849. Una seconda parte, comandata dal capitano Rubicondo Barbetti, tornò invece a Roma.
La campagna del Veneto fu pagata con 21 caduti negli scontri di Cornuda (8 maggio), Treviso (12 maggio) e Vicenza (20-24 maggio e 10-20 giugno).(fonte)
[2] Forte Marghera è una fortezza ottocentesca ed ex-caserma dell’Esercito Italiano situata a Venezia, a circa cinque chilometri dal centro storico. Il forte era parte del campo trincerato di Mestre e del più ampio sistema difensivo della laguna. È oggi proprietà del comune di Venezia, parco pubblico, sede di eventi e produzioni culturali. Il nome deriva dall’antico abitato di Marghera ed ha a sua volta dato nome all’odierna Porto Marghera.
…
Il 22 marzo 1848, mentre nei generali moti insurrezionali risorgimentali la popolazione di Venezia, insorta, occupava l’Arsenale e proclamava la Repubblica di San Marco con a capo Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, gli abitanti di Mestre, con l’aiuto dei lavoratori della ferrovia, costrinsero la guarnigione austriaca a cedere la fortezza di Marghera.(fonte)
[3] La battaglia di Palestrina fu una battaglia della prima guerra di indipendenza italiana, svoltasi nel 1849.
Nel 1848, a Roma, a causa dell’omicidio del deputato Pellegrino Rossi, e al presunto voltafaccia del papa, il popolo era insorto, e aveva proclamato la repubblica, dando il potere a un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Carlo Armellini.
In aiuto della nuova repubblica venne il generale Giuseppe Garibaldi, con la sua Legione italiana un corpo di volontari, che indossavano le celebri camicie Rosse.
Ma, per soffocare la nuova Repubblica, ben tre eserciti si misero in marcia: il Corpo di Spedizione francese, quello dell’esercito austriaco, e quello borbonico.
Dopo aver respinto i francesi, a Garibaldi fu dato l’ordine di fermare la colonna dei borbonici, che si stava avvicinando a Palestrina.
Dopo essere uscito dalla città, Garibaldi si inoltra nelle foreste circostanti, e i borbonici, che non intendevano avere questa spina sul fianco, inviarono il contingente di Lanza a stanare i garibaldini; questi, che nel frattempo si erano attestati a Castel San Pietro, quando videro arrivare i borbonici, li caricano sul pendio.
Dopo un furioso combattimento, i napoletani avanzano in due colonne avvicinandosi alle mura del paese: mentre Pietro Novi conduceva un attacco frontale, il Lanza tentava l’aggiramento.
I garibaldini attaccarono nuovamente, con Luciano Manara contrapposto al Novi, e Garibaldi, con Nino Bixio, contrapposto al Lanza. Il Manara con una manovra a tenaglia respingeva il Novi, mentre Garibaldi, sfruttando il terreno scosceso, respingeva un attacco di cavalleria, mettendo i borbonici in condizioni di inferiorità, arrivando infine, dopo tre ore di combattimenti a conquistare i caseggiati dove questi si erano asserragliati.
Dopo questa battaglia l’esercito borbonico non fu più impegnato nell’assedio a Roma, e il suo posto venne preso dall’esercito francese. La vittoria di Garibaldi non ebbe l’effetto di rimuovere l’assedio alla città o di far desistere le nazioni europee dall’intervenire contro la repubblica per ripristinare il potere papale.(fonte)