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Primo Benaglia. Spagna. 24-2-1938

    Primo Benaglia. Spagna. 24-2-19383
    c
    « di 4 »

    2°. REGGIMENTO FANTERIA LEGIONARIA
    VOLONTARI DEL LITTORIO[1]
    « OSO L’INOSABILE »

    24/2/38
    XVI

    PG 816 A

    Mio caro e buon Cabella[2], grazie della tua
    ultima lettera – Ti scrivo da letto ove
    mi trovo non da malattia e tanto meno
    per ferita (!!), ma per semplice fastidio-
    sissimo raffreddore che tendo a marcare
    col sistema energico del letto, e conseguenti
    valenti sudate a base di aspirine. Sto
    meglio ed approfitto per scriverti e mandarti
    le fotografie consegnatemi dal Capitano
    Lendesi e riguardanti le nostre gite ai
    primi dell’anno. Tu non sei venuto
    molto bene, ed io insomma, però mi è
    grato avere una fotografia nella quale
    siamo noi due soli, ma quel bellis-
    simo sfondo dei monti e quella
     di insieme nel mezzo.
    Qui nulla di nuovo[3]. Cioé io sono un
    punto più tranquillo ed il Btg.
    seguita a vivere come sempre.

    Ed ancora mi sto cambiando tutta la
    dentatura e quando mi rivedrai
    mi troverai con un considerevole
    numero di denti bellissimi fatti
    su ordinazione.
    Qui viviamo la vita prevedibile della
    guarnigione. Landri è ormai divent-
    tato l’Aiutante Maggiore esterno, ed
    io quello interno.  Il Maggiore sta meglio.
    Abbiamo fatto finalmente la
    manovra a fuoco (ricordi dovevamo
    farla 9 mesi addietro). È riuscita
    bene e Craveri è più sollevato
    Con Lodoli[4], col quale adesso stanno
    poco di più perché anche lui si
    sente solo dopo la partenza di Mollica,
    parliamo tanto di te, con tanta
    nostalgia. Ormai il Btg. È diventato
    una cosa di ordinaria amministrazione
    e non vale la pena parlarne a lungo.
    Quello che invece vale la pena di

    commentare è le nostre interessate in-
    sieme a proposito della quale ō da farti
    una preghiera. Siccome il Capitano Crema
    è venuto l’altro giorno dal Maggiore
    per l’azione del 18/3 7 Guadalajara[5],
    Craveri mi diceva che avrebbe voluto
    fare reclamo per le nostre medaglie,
    quella mia e tua, e per competenza
    sollevare il problema anche della sua
    medaglia – Poi è rimasto indeciso … ma
    .. Stima ecc. Mi ā pregato infine di
    domandarti āī tu ai fatto qualcosa
    e se hai avuto assicurazione o meno.
    Siccome più volte mi hai detto che
    avresti cercato di sistemare queste cose;
    fammi la più grande cortesia di
    dirmi – con due semplici righe – quello
    che hai fatto per te e per me e
    se hai ottenuto un risultato. Grazie
    e scusa moltissimo. Aspetto una
    tua risposta che non voglio lunga

    lettera – Scrivendo a lungo non sei più
    specchio caro Cabellotto che io conosco
    ed al quale sono tanto affezionato.
    In questi giorni penso che se tu fossi qui
    si parlerebbe tanto di Eden che final-
    mente è cadetto di Hitler che fa dei
    discorsoni e di Mussolini “che ā
    sempre ragione”. Qualche volta ō
    detto che ci avevi dimenticato qui in
    Spagna. Invece Lui, senza farci combat-
    tere vince … e che battaglie !!!.
    Addio Cabellotto mio . Aspetto una
    tua risposta per tanto ti chiedo
    saluta i tuoi amici spagnoli e
    ricordati sempre del tuo
    Benaglia Primo[4]
    che ti abbraccia tanto tanto


    Note

    [1] Corpo Truppe Volontarie (C.T.V.), in precedenza Missione Militare Italiana in Spagna (M.M.I.S.), fu la denominazione assegnata ad un corpo di spedizione italiano, durante il regime fascista, composto in gran parte da volontari del Regio Esercito e della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, inviato in Spagna a supporto di Francisco Franco e delle forze spagnole nazionaliste durante la guerra civile spagnola.

    Storia

    La situazione in Spagna

    Nel luglio del 1936, al principio della guerra civile spagnola, la maggior parte delle migliori truppe nazionaliste erano isolate nel Marocco spagnolo o nelle isole Canarie. Nel frattempo, nella Spagna continentale, formazioni più piccole composte da nazionalisti e dalla Guardia Civil ingaggiarono combattimenti con le milizie repubblicane, la Guardia de Asalto e quelle unità militari che rimasero fedeli al governo del Fronte Popolare.

    Se le forze nazionaliste in Spagna non avessero ricevuto rinforzi, la ribellione sarebbe potuta presto fallire. Il generale Francisco Franco e gli altri esponenti nazionalisti inviarono emissari a Berlino e a Roma per richiedere aiuto: sia Adolf Hitler che Benito Mussolini risposero in senso positivo.

    L’intervento italiano

    Italia e Germania inviarono aerei da trasporto ed equipaggi (quelli italiani comandati da Ettore Muti) in Marocco, per trasportare le forze nazionaliste dal Marocco spagnolo alla Spagna europea. I regulares marocchini e il Tercio permisero alle forze nazionaliste di assumere l’iniziativa nella penisola Iberica. Dodici bombardieri trimotori Savoia-Marchetti S.M.81, con relativi equipaggi e specialisti, prima unità della futura Aviazione Legionaria, partirono dall’aeroporto di Cagliari-Elmas già all’alba del 30 luglio 1936.

    Furono inviati anche alcuni sommergibili nel novembre 1936, che compirono diverse missioni, fino al settembre 1937. Tra questi il Naiade, il Torricelli (che danneggiò gravemente l’incrociatore repubblicano Miguel de Cervantes), il Topazio, l’Antonio Sciesa, il Balilla e l’Archimede. Le proteste delle altre potenze indussero tuttavia a interrompere una vera e propria guerra navale non dichiarata. Il Torricelli e l’Archimede furono allora ceduti alla Marina spagnola, e ridenominati General Sanjurjo e General Mola.

    La missione militare e l’invio del Corpo

    Nel settembre 1936, subito dopo la richiesta di aiuto di Francisco Franco, Benito Mussolini, inviò l’allora capo del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari), il generale di brigata Mario Roatta (alias Comm. Colli, alias generale Mancini) in Spagna, col compito di creare la “M.M.I.S.” (“Missione Militare Italiana in Spagna”), con sede a Siviglia. La “M.M.I.S.” divenne operativa il 15 dicembre 1936 con il compito di inviare materiali, armi e istruttori, nonché di creare due brigate miste italo-spagnole.

    Il 17 febbraio 1937 la “M.M.I.S.” cambiò definizione in “C.T.V.” (“Comando Truppe Volontarie”) mentre la massa operativa costituì il “C.T.V.” (“Corpo Truppe Volontarie”). Si trattava di circa 20.000 militi della MVSN, inquadrati su tre divisioni (“Dio lo vuole!”, “Fiamme Nere” e “Penne Nere”, che nel 1937 saranno ridotte a due divisioni e successivamente ad una), a cui se ne affiancherà un’altra che inquadrava personale volontario del Regio Esercito, la 4ª Divisione fanteria “Littorio” comandata dal generale Annibale Bergonzoli. Nell’ottobre 1938, dopo 18 mesi di ferma volontaria, le camicie nere furono rimpatriate e sostituite da tre divisioni miste italo-spagnole: “Frecce Nere”, “Frecce Azzurre” e “Frecce verdi”.

    Cronologia delle operazioni

    1936

    24 ottobre: l’Aviazione Legionaria attacca le forze repubblicane della Catalogna, sotto il comando del capitano Alberto Bayo, che il 3 settembre aveva effettuato un atterraggio a Maiorca. Nello stesso giorno, aerei da bombardamento e da caccia lanciano il loro primo attacco su Madrid, allo scopo di dimostrare alle forze repubblicane la potenza degli alleati di Franco. Nei giorni seguenti comincia una serie di incursioni e di bombardamenti sulla capitale spagnola.

    2 novembre: le forze aeree italo-tedesche sono attaccate da velivoli sovietici, soprannominati “Chatos” dagli spagnoli. Gli attacchi causano alcune perdite per l’Aviazione Legionaria.

    21 novembre: il sommergibile della Regia Marina Evangelista Torricelli, avvistato l’incrociatore Miguel de Cervantes alla fonda nei pressi di Cartagena, gli lancia due siluri; una delle armi colpisce il bersaglio a dritta, aprendo uno squarcio di metri 21 per 14 a poppa. La nave sarà costretta in bacino fino al 1938.

    12 dicembre: dopo il fallimento dell’offensiva di Franco su Madrid, Mussolini decide di inviare forze armate addestrate in Spagna. Mussolini prende questa decisione dopo aver consultato il ministro degli Affari Esteri, Galeazzo Ciano e il generale Roatta. Roatta è nominato comandante in capo della forza di spedizione italiana. Vicecomandante è il generale Luigi Frusci.

    23 dicembre: la prima formazione di 3.000 soldati atterra a Cadice, con il nome di Missione Militare Italiana.

    1937

    Gennaio: entro il mese, circa 44.000 uomini, tra soldati del Regio Esercito e della MVSN sono in Spagna. Alla fine di gennaio la Forza di spedizione viene rinominata in “Corpo Truppe Volontarie”, o C.T.V..

    Il Corpo è organizzato su quattro grandi unità di livello divisionale, di cui tre della Milizia:

    1ª Divisione CC.NN. “Dio lo Vuole”

    2ª Divisione CC.NN. “Fiamme Nere”

    3ª Divisione CC.NN. “Penne Nere”

    4ª Divisione fanteria “Littorio” – formata da volontari del Regio Esercito

    Raggruppamento CC.NN. “XXIII Marzo”

    Le divisioni CC.NN. erano formate da volontari della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale ed erano semi-motorizzate. Il Corpo impiegava anche un Raggruppamento carristi (carri armati e blindati), un corpo di artiglieria su dieci gruppi di artiglieria campale e quattro batterie di artiglieria antiaerea.

    dal 3 febbraio all’8 febbraio: la 1ª Divisione CC.NN. “Dio lo Vuole”, in appoggio alle forze nazionaliste, lancia un’offensiva su Málaga. L’8 febbraio, gli italiani e i nazionalisti conquistano la città. La battaglia di Malaga è una vittoria fondamentale per i nazionalisti. Circa 74 soldati italiani sono uccisi, 221 feriti e due risultano dispersi.

    Marzo: il Corpo Truppe Volontarie per la fine del mese ammonta ad oltre 50.000 soldati.

    Dall’8 marzo al 23 marzo: Mussolini accetta il piano di Franco per cui le forze fasciste italiane avrebbero dovuto partecipare ad una quarta offensiva contro Madrid. L’offensiva italiana si tiene nel settore di Guadalajara. La battaglia coi difensori repubblicani si conclude con uno scacco, dovuto soprattutto allo scarso coordinamento con gli spagnoli, che mancarono di realizzare gli attacchi negli altri settori, consentendo ai repubblicani di concentrare tutte le loro forze contro il CTV. Le forze corazzate italiane, consistenti soprattutto in carri leggeri CV35, risultarono non essere all’altezza dei carri armati forniti ai repubblicani dall’Unione Sovietica. Le tre Divisioni CC.NN. vengono sciolte e riorganizzate in due divisioni e in un gruppo armi speciali (corazzati e artiglieria).

    Dopo la battaglia di Guadalajara, i comandanti delle forze italiane non organizzano attacchi esclusivamente riguardanti il Corpo, ma agiscono alle dipendenze dell’alto comando nazionalista. Similmente il comandante della Legione Condor, il generale Hugo Sperrle, comanda l’Aviazione Legionaria Italiana. In realtà, le forze italiane continuano a mantenere una loro autonomia e i bombardamenti italiani, come quelli su Barcellona nel 1938, sono ordinati da Mussolini senza consultare Franco.

    Da aprile ad agosto: dopo che le divisioni CC.NN. sono state ridotte, gli italiani cominciano ad operare in unità miste italo-spagnole (le Flechas, “Frecce”) dove gli italiani forniscono gli ufficiali e il personale tecnico, mentre gli spagnoli servono nella truppa. Le prime unità sono la Brigata Mista “Frecce Azzurre” (Brigada Mixta “Flechas Azules”) e la Brigata Mista “Frecce Nere” (“Flechas Negras”), che combattono rispettivamente nell’Estremadura e in Viscaya dall’aprile all’agosto 1937. In Viscaya operano anche il Gruppo XXIII Marzo e undici gruppi d’artiglieria, partecipando alla presa della roccaforte repubblicana di Guernica.

    Agosto e settembre: il sostituto di Roatta, generale Ettore Bastico, comanda le forze del C.T.V., compresa la Divisione XXIII Marzo, formata sulla base del Gruppo CCNN XXIII Marzo comandato da Enrico Francisci. Il Corpo, durante la battaglia di Santander, spezza le linee repubblicane presso Soncillo e, grazie ai feroci combattimenti sostenuti dalla 4ª Divisione fanteria “Littorio” del generale Annibale Bergonzoli, conquista una postazione chiave (il Puerto del Escudo), penetrando profondamente nelle retrovie repubblicane e ottenendo così una vittoria di decisiva importanza per lo schieramento nazionalista. Dopo l’offensiva di Santander il C.T.V. è trasferito sul fronte aragonese.

    Alcuni reparti del C.T.V. potrebbero essere stati coinvolti nella battaglia di El Mazuco, ma i dettagli sono tuttora oggetto di discussione.

    Ottobre: Dopo le campagne al nord, la 1ª e la 2ª Divisione CC.NN. furono rinforzate dalla Divisione XXIII Marzo e rinominate: Divisione XXIII Marzo “Fiamme Nere”.

    1938

    Marzo: La Brigata “Frecce Nere” fu ampliata nella Divisione “Frecce Nere” combattendo nella vittoriosa offensiva in Aragona e nella Corsa al Mare con il Corpo sotto il comando del Generale Mario Berti. Le perdite italiane furono 3.225 tra morti e feriti.

    Ottobre: furono ritirati 10.000 militari italiani con oltre 18 mesi di servizio.

    Novembre: La Divisione “Frecce” fu rinforzata e rinominata “Frecce Nere” e la Brigata Frecce Azzurre fu ampliata in un’altra Divisione “Frecce” che prese parte all’offensiva di Catalogna, l’ultimo attacco della guerra, a fianco del resto del C.T.V., sotto il comando di Gastone Gambara:

    Divisione “Frecce Nere”

    Divisione “Frecce Azzurre”

    Divisione “Frecce Verdi”

    Complessivamente vi erano nel CTV 2.077 ufficiali e 25.935 sottufficiali, legionari e soldati.
    Dicembre: il CTV partecipa all’offensiva in Catalogna.

    1939

    Gennaio: il CTV conquista Badalona il giorno 27.
    Marzo: il giorno 30 il CTV conquista il porto di Alicante.
    Aprile: in seguito alla vittoria di Franco e dei nazionalisti sui Repubblicani, i volontari italiani furono ritirati dal territorio spagnolo.(fonte)

    [2] Sottotenente Cabella Giuseppe MAVM 2 MBVM CGVM MAVM Cabella Giuseppe fu Gerolamo e fu Cabella Paola, da Novi Ligure (Imperia?), sottotenente 1° reggimento misto “Frecce Azzurre”: «Comandante di plotone mitraglieri assegnato ad una compagnia fucilieri assolveva con serenità, perizia e lodevole sentimento del dovere, tutti i compiti assegnatigli. Durante l’attacco ad una importante posizione nemica, assumeva d’iniziativa il comando di un plotone rimasto temporaneamente privo del comandante, e lo conduceva all’assalto di una munita trincea nemica, che occupava dopo aver fugato i difensori. Mirablanca, 27 marzo 1938-XVI».51 MBVM Cabella Giuseppe fu Gerolamo e fu Cabella Paola, da Novi Ligure (AL), sottotenente 1° reggimento “Frecce Azzurre”: «Comandante di plotone mitraglieri, durante l’attacco di forti posizioni nemiche, guidava con slancio ed iniziativa i suoi uomini alla conquista di una posizione dalla quale con la sua azione di fuoco favoriva l’avanzata di un altro reparto del suo battaglione. – Spagna Alto del Nino (Barracas) 21 luglio 1938-XVI».52 Cabella Giuseppe fu Gerolamo e fu Cabella Paola, da Novi Ligure (AL), centurione 219^ legione CC. NN.: «In due giornate di combattimento, era costante esempio ai dipendenti di coraggio e virtù militari prodigandosi con superbo sprezzo del pericolo per il conseguimento del successo e riuscendo, alla testa di alcune pattuglie esploratori a conquistare importante posizione. – Buq-Buq-Sidi el Barrani, 15-16 settembre 1940-XVIII».53 CGVM Cabella Giuseppe fu Gerolamo e fu Cabella Paola, da Novi Ligure (AL), sottotenente battaglione Sierra Avila “Frecce Azzurre”: «Ufficiale prodigatosi, in due anni di guerra e sempre con reparti in linea, in tutte le operazioni. Per attaccamento al proprio reparto rifiutava due volte il trasferimento in un altro di retrovia. Saputo del ferimento di un proprio ufficiale, per il quale era reso difficoltoso il trasporto stante l’intenso tiro di armi automatiche avversarie, di propria iniziativa si recava coraggiosamente sul posto e provvedeva al ritiro del ferito, sottraendolo a sicura morte. Bell’esempio di altruismo e sprezzo del pericolo. – Fores, 15 gennaio 1939-XVII».(fonte)

    [3] Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

    La guerra civile spagnola è l’emblema di un’epoca che vede il confronto di tre modelli di organizzazione della vita sociale: quello democratico occidentale, quello comunista e anarchico, quello fascista innestato sulla forza delle tradizioni militari e religiose della Spagna. L’esito, tra il 1936 e il 1939, è un lunghissimo e sanguinoso conflitto armato che si risolve per il decisivo contributo in armi e uomini che la Germania nazista e l’Italia fascista sono in grado di offrire al caudillo Franco, mentre il governo repubblicano non solo può contare su risorse e aiuti assai limitati da parte sia delle potenze occidentali che dell’URSS (sostanzialmente costituiti dalle brigate antifasciste internazionali), quanto soprattutto è costretto a una conduzione della guerra in cui le lacerazioni profonde della sinistra (come quella tra anarchici e comunisti) rendono difficoltosa la coesione delle operazioni contro i falangisti.

     disordini politici e il colpo di Stato di Franco: scoppia la guerra civile

    L’avvio di una delle vicende politico-militari, la guerra civile spagnola, che più di ogni altra contraddistingue la spinta dell’Europa verso la Seconda guerra mondiale, è probabilmente da ricercare nel fallimento dell’esperimento politico del dittatore Miguel Primo de Rivera (1870-1930). Le opposizioni alla sua politica e il fallimento di tutti i suoi sforzi lo spingono a lasciare il potere nel gennaio 1930, mentre anche il re Alfonso XIII (1886-1941), profondamente coinvolto nell’esperienza autoritaria di de Rivera, è costretto ad allontanarsi dalla Spagna dopo la vittoria elettorale dei partiti Repubblicano e Socialista nel 1931.

    La formazione di un governo di sinistra repubblicano-socialista, presieduto da Manuel Azana (1880-1940), proprio nella fase di maggiore incertezza economica, poiché i settori più vitali del sistema economico sono colpiti dalla grande crisi economica del 1929, produce il tentativo di introdurre riforme di tipo liberal-democratico che rafforzano la modernizzazione del Paese: una riforma agraria, che assume un carattere moderato e non punitivo per la proprietà, come invece vogliono gli anarchici; la laicizzazione del sistema scolastico, che viene sottratto all’influenza della Chiesa; il riconoscimento dell’autonomia catalana; un nuovo diritto di famiglia; l’introduzione del suffragio universale. Le difficoltà per il governo Azana nascono sia per la resistenza dei ceti colpiti da quei provvedimenti, sia per l’insoddisfazione dei partiti rivoluzionari che li ritengono insufficienti. La vita politica spagnola, mentre la crisi economica contribuisce a creare masse di sbandati e di disoccupati, inizia a caratterizzarsi per gli scontri armati tra le milizie di partito delle due ali estreme. In particolare all’estrema destra José Antonio Primo de Rivera, figlio del dittatore, fonda la Falange spagnola, un movimento che richiama i partiti nazional-fascisti europei, mentre un forte movimento cattolico-reazionario è guidato da José María Gil Robles (1898-1980). Alla fine di novembre 1933, le elezioni politiche segnano la vittoria dei partiti di centrodestra, i quali provvedono immediatamente a vanificare buona parte delle riforme del governo Azana. Alla reazione dei partiti di estrema sinistra – che nelle Asturie si trasforma in una vera e propria rivolta dei minatori anarchici – il governo risponde con una violenta repressione che produce 3000 morti. In una situazione così radicalizzata interviene agli inizi del 1936 la nuova vittoria elettorale del fronte delle sinistre, di cui per la prima volta fanno parte anche comunisti e anarchici. La guida del governo tocca al socialista Francisco Largo Caballero (1869-1946). Si rinnovano immediatamente le violenze degli estremisti di destra, che non accettano il responso delle urne, cui i gruppi armati delle sinistre rispondono con attentati a personalità guida dell’estrema destra. Il 3 luglio viene assassinato il fondatore della Falange spagnola, de Rivera, e l’episodio serve a fine luglio alle truppe del generale Francisco Franco (1892-1975), insediate in Marocco, per un nuovo pronunciamento dell’esercito. L’esercito dei rivoltosi, che ha dalla propria parte i quadri militari, riesce a passare nel continente, grazie anche all’assistenza militare dell’Italia e della Germania che riconoscono subito il nuovo governo che Franco costituisce a Burgos, nella parte occidentale della Spagna, mentre il governo repubblicano riesce a mobilitare la resistenza popolare e i quadri militari rimastigli fedeli e soprattutto a disporre delle forze di polizia e delle masse di volontari delle regioni industriali, ma risente notevolmente dell’indisciplina delle milizie operaie imbevute di anarchismo. L’URSS invia ai repubblicani tecnici, materiale bellico e aiuti finanziari, incomparabilmente minori di quelli offerti, prima segretamente poi apertamente, dai governi italiano e tedesco. Inizia così la guerra civile spagnola.

    Una guerra civile che coinvolge tutta l’Europa

    Dal punto di vista militare la guerra di Spagna rappresenta il banco di prova delle armi e delle tecniche nuove, utilizzate nella Seconda guerra mondiale. L’aiuto delle potenze fasciste alla Spagna franchista assume un forte significato ideologico, per cui in tutto il mondo occidentale le forze politiche che colgono il pericolo dell’espansionismo fascista si schierano con i repubblicani. Si formano brigate internazionali di democratici, socialisti, comunisti e anarchici che vanno a combattere per la repubblica e particolarmente significativa è la presenza degli antifascisti italiani, mentre vengono deluse le speranze che il governo repubblicano ha posto nella Francia e nell’Inghilterra, poiché queste adottano una politica di non intervento. L’esito della guerra civile non è affatto scontato, malgrado il massiccio intervento a favore dei franchisti delle truppe italiane (sotto forma di volontari) e della tecnologia bellica, soprattutto aviatoria, tedesca. Mentre la conduzione della guerra da parte dei franchisti è sufficientemente coerente, nella parte repubblicana la guerra civile produce una forte divaricazione tra democratici e comunisti, da una parte, e anarchici e trozkisti – i comunisti sostenitori delle teorie del grande rivoluzionario russo hanno creato una quarta internazionale – dall’altra. Questi ultimi infatti ritengono che la guerra civile debba trasformarsi immediatamente in rivoluzione sociale. In Aragona e Catalogna, dalla metà di luglio alla fine di agosto 1936, i lavoratori e i contadini collettivizzano i trasporti urbani e ferroviari, le industrie metallurgiche e tessili, il rifornimento d’acqua e alcuni settori del grande e piccolo commercio. Circa 20 mila imprese industriali e commerciali sono così espropriate e gestite direttamente dai lavoratori e dai loro sindacati. Un Consiglio dell’economia viene costituito per coordinare l’attività dei diversi settori della produzione. È nel settore agricolo che la collettivizzazione è più radicale con misure quali la creazione di salari familiari e la messa in comune degli attrezzi e dei raccolti. Così, andando assai oltre i progetti politici dei repubblicani, vengono create Comuni rivoluzionarie in un clima di violenza contro i ceti borghesi e contro le strutture ecclesiastiche, e vengono assassinati circa 7mila preti e monache. A questi eccidi i nazionalisti rispondono con esecuzioni in massa (a Saragozza, a Badajoz); il poeta García Lorca (1898-1936) cade sotto i colpi della guardia civile franchista. La pericolosità dell’azione insurrezionale degli anarchici in un momento di scontro militare con il fascismo internazionale viene colta in particolare da Stalin (1879-1953), che fa pressione, tramite la terza Internazionale e, direttamente sul capo del governo repubblicano, Caballero sottolineando l’insostenibilità di un’azione difensiva della Repubblica, che consegna agli avversari interi ceti sociali spaventati dagli esperimenti rivoluzionari degli estremisti. Di fronte alla debolezza del governo Caballero nei confronti delle iniziative degli anarchici e dei trockijsti, i comunisti sostengono un nuovo ministero repubblicano, mentre le iniziative anarchiche vengono represse nel sangue. Intanto i franchisti danno una vernice fascista al loro movimento, adottando il 19 aprile 1937 il progetto politico dei falangisti, che raccoglie in un partito unico la Falange spagnola tradizionalista e le giunte d’offensiva nazional-sindacalista. Franco aggiunge alle sue funzioni di generalissimo, dall’agosto 1937, quelle di Capo dello Stato. Dal punto di vista militare i nazionalisti con la presa di Badajoz (14 agosto 1936) riescono a riunire le loro forze dislocate a ovest e a sud del Paese, minacciando Madrid, difesa eroicamente dai repubblicani e dalle brigate internazionali, che riescono a fermare l’assalto dei franchisti. La resistenza di Madrid si prolunga per 28 mesi. Tuttavia, già alla fine del 1936 Franco controlla ormai più di metà della Spagna, con tutta la frontiera ispano-portoghese, che rappresenta un vantaggio per ricevere i suoi rifornimenti. L’ultima offensiva degli antifascisti è del gennaio 1938, che porta alla conquista di Teruel, vittoria senza esito poiché la città viene ripresa dai nazionalisti dopo appena un mese. Questo successo effimero contribuisce solo a ritardare la grande offensiva progettata da Franco, che comincia il 23 dicembre 1938, sostenuta da potenti forze aeree e motorizzate. Viene sfondato rapidamente il fronte della Catalogna e il 26 gennaio 1939 viene presa Barcellona, retta dal maggio 1937 da un governo filocomunista, guidato da Juan Negrin (1887-1956), il quale, sempre appoggiato dai comunisti, cerca di continuare la resistenza a Valenza. Dopo aver infranto con parecchi giorni di combattimento l’opposizione dei comunisti, la giunta franchista si prepara a negoziare la resa della capitale, che viene occupata senza resistenza dalle truppe di Franco il 28 marzo 1939. Sono molti i profughi che decidono di passare il confine francese e il governo consente l’entrata in Francia dei profughi civili: “Le donne, i bambini e i vecchi possono essere accolti. I feriti verranno curati. Gli uomini in età di portare le armi devono essere respinti”. Saranno accolti 240 mila civili e 10 mila feriti. La guerra può considerarsi perduta per i repubblicani, tanto che buona parte delle truppe italo-tedesche e degli aiuti militari sovietici lasciano il Paese. I volontari delle brigate internazionali, provenienti da 52 Paesi dei cinque continenti, sono circa 40 mila e la metà è morta in combattimento, dispersa o ferita. Altri 5000 uomini hanno combattuto in unità dell’esercito repubblicano e almeno altre 20 mila hanno lavorato nei servizi sanitari o ausiliari. Il conflitto che ha causato circa 400 mila morti, si conclude e il primo aprile Radio Burgos diffonde l’ultimo bollettino di guerra: “Oggi, dopo aver fatto prigioniero l’esercito rosso e averlo disarmato, le truppe hanno raggiunto i loro obiettivi militari. La guerra è terminata”.(fonte)

    [4] Renzo Lodoli, veneziano di origine ma romano d’adozione, fu un uomo dalle molteplici sfaccettature, legato indissolubilmente alla storia d’Italia nel Novecento. Combattente, scrittore apprezzato e, nel primo dopoguerra, tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano (Msi). La sua vita è stata caratterizzata da esperienze di guerra, impegno politico e contributi significativi nel campo dell’ingegneria e della scrittura.

    La sua formazione giovanile fu fortemente condizionata da Annibale, il padre, ufficiale di marina e sommergibilista sul “Delfino”, il primo sottomarino italiano, amico di Gabriele D’ Annunzio. E dallo stesso D’ Annunzio che gli fu padrino alla cresima e lo affascinò con le sue avventure. «Quelli della mia generazione erano ossessionati dalle imprese dei padri», ammetteva lo stesso Lodoli.

    Nato nel 1913 a Venezia – dove vantava un antenato illustre in quell’ abate Carlo Lodoli protagonista nel Settecento di una vivace tenzone letteraria col poeta maledetto Giorgio Alvise Baffo (Venezia, 11 agosto 1694 – Venezia, 30 luglio 1768) -, all’età di soli ventitré anni, sulla scia dei richiami del regime Renzo Lodoli non esitò, nel ’35, a piantare la facoltà di ingegneria che frequentava a Roma, a otto esami dalla laurea, per arruolarsi volontario in Africa Orientale con il battaglione universitario “Curtatone e Montanara”.

    La sua esperienza in Africa fu solo l’inizio del suo coinvolgimento in conflitti militari. Tornato in Italia, quindi la laurea e la nuova partenza. Spagna, stavolta. Nei suoi racconti, Lodoli ricordava che chiesero chi volesse andare, ed egli rispose subito, entusiasta e più motivato di prima. Perché voleva fare la guerra e in Africa la guerra non l’aveva nemmeno vista. Aveva 24 anni, e aveva aderito prima alla Fuci, il gruppo di universitari cattolici, poi al Guf, quello dei giovani fascisti. Scriveva su un giornale che si chiamava Roma fascista. Si unì alla Divisione Littorio, dove fu il comandante del plotone degli arditi, per combattere nella Guerra Civile Spagnola a fianco dei nazionalisti. Combatté un anno e mezzo nella guerra di Spagna, dal gennaio del 1937 al settembre del ’38, quando la morte di sua madre lo costrinse a fare ritorno in patria. Fu raggiunto da quattro pallottole nemiche: tre si persero sulla coperta arrotolata, in fondo all’elmetto e dentro la maschera antigas. Una sola lo ferì, ad una gamba.

    Il secondo conflitto mondiale lo vide ancora in trincea come ufficiale dei Granatieri di Sardegna. Fu decorato al valor militare. Dopo l’otto settembre aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Finita la guerra, si fece un anno di prigione, per aver incitato, da un giornale di propaganda fascista, i giovani a combattere.

    Al termine della guerra si dedicò alla carriera di ingegnere nella vita civile, «riempiendo l’Italia di brutte case», come ricordava con ironia. Contemporaneamente, Renzo Lodoli non abbandonò mai il suo coinvolgimento politico e fu nel ’46 tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano (Msi). Fu inoltre a lungo presidente dell’Associazione combattenti italiani in Spagna e fece parte degli organi direttivi della Fondazione della RSI.

    La sua adesione al Msi lo portò spesso a essere al centro di polemiche e conflitti con avversari politici. Nel corso degli anni, Lodoli fu coinvolto in vivaci confronti con esponenti di altre fazioni politiche, accrescendo ulteriormente la sua figura di personaggio passionale. Risulta alle cronache che, nel corso di un comizio negli anni ’50, come vicesegretario del MSI ebbe una vivace discussione con Paolo Bonomi, candidato democristiano, in quel di Ronciglione (VT), sedata solo dall’intervento dei carabinieri. Al di là delle tensioni politiche, il suo ruolo nel Movimento Sociale Italiano e il suo impegno nella difesa dei diritti dei combattenti italiani dimostrano la sua passione indomabile per le sue idee.

    Come padre, ebbe anche una relazione speciale con il figlio, Marco Lodoli, scrittore, giornalista e insegnante romano. Nonostante le sensibili differenze di vedute politiche, la passione per la scrittura fu un legame profondo tra di loro. Marco, negli anni, ha seguito una carriera letteraria di successo, esplorando temi come il viaggio, la morte e il rapporto tra sé e l’altro. A prova della reciproca stima, quando Marco iniziò a scrivere poesie, fu il padre a supportarlo finanziariamente nella pubblicazione. Ancora più significativo, Renzo Lodoli recensì il primo romanzo di Marco con grande orgoglio sulle pagine del Secolo d’Italia.

    Sotto questi aspetti, la storia di Renzo e Marco Lodoli ci ricorda che la scrittura può superare le barriere ideologiche, creando un ponte di comprensione e affetto tra persone con prospettive diverse. Sia Renzo che Marco hanno dimostrato il coraggio di esplorare nuovi mondi attraverso le parole, ognuno con la propria prospettiva e stile, ma entrambi con l’amore per la letteratura come collante indelebile di una relazione straordinaria tra padre e figlio.

    Renzo Lodoli mantenne il suo “ideario” fascista fino alla fine dei suoi giorni e continuò a mantenere contatti con altri ex combattenti, visitando regolarmente la Spagna. Nel 1988, in qualità di presidente dell’Associazione nazionale combattenti italiani in Spagna, scrisse a Giovanni Spadolini, presidente del Senato, proponendo l’approvazione di una proposta di legge per restituire ai combattenti italiani che ne furono privati i legittimi riconoscimenti.

    La sua biografia è segnata da una particolare e accesa sua visione della patria, che si riflette sia nei suoi gesti di guerra che nelle sue convinzioni politiche. Pubblicò una raccolta di racconti intitolata “Dalla parte sbagliata”, espressione che rifletteva le scelte fatte in gioventù con sincera e disinteressata buona fede.

    La scomparsa di Renzo Lodoli, avvenuta a Roma nell’ottobre del 2008, fu vista a destra come una grave perdita. Nel complesso, il suo ricordo è sfaccettato, come l’uomo stesso, e suscita sentimenti contrastanti. C’è chi lo ricorda come un patriota coraggioso e chi lo critica per il suo coinvolgimento con il regime fascista.

    Indipendentemente dalle disparate opinioni, Renzo Lodoli è stato un protagonista del suo tempo, un volontario di guerra, un ufficiale coraggioso, un ingegnere di successo e un fondatore del Msi. La sua figura poliedrica può continuare a suscitare interesse e dibattito, avendo lasciato tracce significative per interpretare alcune fasi della storia italiana del Novecento.(fonte)

    [5] La battaglia di Guadalajara (8 – 23 marzo 1937) fu una delle più propagandate battaglie della guerra civile spagnola. Fu combattuta tra le forze della Seconda Repubblica Spagnola e delle brigate internazionali da una parte, e i nazionalisti di Francisco Franco della Divisìon Soria, affiancati al Corpo Truppe Volontarie (CTV), che sostenne il peso principale dello scontro, dall’altra. La battaglia si concluse con il successo difensivo dei repubblicani, che fermarono la branca settentrionale della manovra di accerchiamento di Madrid.

    La battaglia iniziò con un’offensiva italiana l’8 marzo che si spinse fino al borgo di Trijueque il giorno 13. Tra il 12 e il 14 le forze italiane si assestarono sulle posizioni raggiunte, respingendo i primi contrattacchi repubblicani, in attesa che la branca meridionale della manovra d’accerchiamento (fronte dello Jarama) si mettesse in moto. Il 15 marzo i repubblicani, forti dell’inattività del fronte sud, riuscirono a far affluire forze fresche assieme a un’intera brigata di carri armati sovietici e pianificarono una controffensiva.

    Il 18 marzo, grazie a una puntata in massa di carri T26-B contro le linee italiane, i repubblicani forzarono il ripiegamento dello schieramento nazionalista, recuperando circa la metà del terreno perso dall’inizio dell’offensiva. Sulle nuove posizioni i due schieramenti si affrontarono fino al 23 marzo senza più modifiche di rilievo del fronte, quando il CTV venne avvicendato da truppe nazionaliste spagnole, poiché di fronte all’inattività delle forze di Franco sul fiume Jarama, il generale Roatta, comandante delle forze italiane, ritenne inutile proseguire l’offensiva dopo aver perduto il vantaggio numerico.

    La battaglia venne così considerata dai fascisti una battuta d’arresto e dai repubblicani una vittoria, il cui valore simbolico e propagandistico superò di gran lunga quello meramente strategico. Nella battaglia si affrontarono anche per la prima volta italiani fascisti del CTV e antifascisti del Battaglione Garibaldi inserito all’interno della XII Brigata internazionale in quella che fu definita “una guerra civile nella guerra civile”.

    Attività precedenti

    Dopo il fallimento della terza offensiva contro Madrid, il generale Franco decise di lanciarne una quarta allo scopo di chiudere la morsa sulla capitale. Le forze nazionaliste spagnole, reduci dalla battaglia del fiume Jarama, erano troppo stanche per proseguire le operazioni; perciò, si decise di affidare l’offensiva alle forze italiane, reduci dalla presa di Malaga, ritenendo che avrebbero potuto avere facilmente la meglio sui repubblicani, molto indeboliti dopo la battaglia sul Jarama. Mussolini, che avrebbe preferito un’azione contro i porti mediterranei, volta a isolare la Repubblica dalle sue basi d’approvvigionamento, approvò comunque il piano e affidò l’operazione al suo corpo di spedizione.

    Secondo i piani del comandante italiano, generale Mario Roatta, le forze italiane avrebbero dovuto circondare le difese di Madrid da nord-ovest. Dopo essersi riunite con i nazionalisti partiti dal fiume Jarama presso la cittadina di Alcalà, avrebbero ottenuto l’accerchiamento della capitale. Le truppe italiane avrebbero condotto l’attacco principale. La divisione spagnola “Soria” era presente per coprire l’ala destra dello schieramento, ma non prese parte ai primi cinque giorni di combattimenti, inviando successivamente solo una brigata in zona operativa. L’attacco iniziò al passo di Guadalajara-Alcalá de Henares, largo 25 km. Attraversata da cinque strade importanti, la zona era particolarmente adatta per un’avanzata; inoltre vi erano altre tre strade dirette verso Guadalajara, che permettevano la cattura anche di quest’ultima città. Le forze nazionaliste erano composte da 35 000 soldati, 222 cannoni, 108 carri leggeri CV33 e CV35, 32 autoblindo, 3 685 automezzi e 60 caccia Fiat C.R.32.

    Molto più ridotte erano inizialmente le forze repubblicane: esse consistevano nella 12ª divisione dell’Esercito Popolare Repubblicano, comandata dal colonnello Lacalle. Ai suoi ordini vi erano 10 000 soldati con soli 5 900 fucili, 85 mitragliatrici e 15 cannoni. Nell’area era stata inviata anche una compagnia di carri armati leggeri T-26 e Renault. Non erano state costruite opere difensive nella zona, poiché si riteneva che l’offensiva fascista sarebbe arrivata da sud.

    Forze impiegate

    Sebbene sulla carta gli italiani e i franchisti potessero contare su cinque divisioni (quattro italiane semi-motorizzate e una pesante spagnola), oltre a una brigata autonoma mista italo-spagnola, le forze effettivamente coinvolte nello scontro si ridussero a due divisioni italiane per volta (la 2a e la 3a fino al 13, avvicendate quindi da 1a e 4a a partire dal 14) e alla brigata “XXIII Marzo”. La divisione “Soria” inoltre era schierata su un fronte che andava dai passi sulla Sierra di Guatarrama fino alla Strada di Francia, e di fatto impiegò in zona d’operazioni la sola brigata comandata dal generale Marzo.

    I repubblicani, dal canto loro, poterono rapidamente triplicare il numero degli effettivi a disposizione, facendo affluire dal fronte dello Jarama e dalla capitale due divisioni (la 11a e la 14a) e una brigata carri armati. I repubblicani poterono inoltre contare sulla superiorità aerea grazie ai loro aeroporti meno funestati dal maltempo di quelli fascisti, che avevano piste in terra battuta inondate dal fango. Alla fine della battaglia risultarono schierati sul fronte di Guadalajara 52 battaglioni repubblicani, equivalente ad un numero di soldati che oscilla tra i 30 000 e i 35 000 uomini.

    Offensiva italiana

    8 marzo

    Dopo 30 minuti di cannoneggiamenti e attacchi aerei sulle posizioni nemiche, gli italiani della 2ª Divisione CC.NN. “Fiamme Nere” iniziarono ad avanzare verso la 50ª brigata repubblicana. Grazie anche ai carri leggeri, riuscirono a spezzare le linee nemiche; tuttavia, l’attacco fu rallentato da nebbia e nevischio, che ridussero sensibilmente la visibilità e la 3ª Divisione CC.NN. “Penne Nere” motorizzata non riuscì a oltrepassare la sottile linea repubblicana e raggiungere Torija. Le forze italiane guadagnarono una decina di km di terreno, conquistando le cittadine di Mirabueno, Alaminos e Castejón. In seguito alla ritirata, il comandante repubblicano chiese che gli fossero messi a disposizione i carri già presenti nella regione, nonché dei rinforzi in termini di uomini. Le truppe italiane non avevano esperienza di combattimento e mostrarono una scarsa propensione all’attacco.

    9 marzo

    Le truppe italiane proseguirono l’assalto alle posizioni repubblicane. L’attacco fu portato avanti con i carri armati, ma ebbe di nuovo scarso successo a causa della visibilità, permettendo la ritirata della 50ª brigata. Intorno a mezzogiorno, l’avanzata degli italiani fu interrotta dai battaglioni “E. André”, “E. Thaelmann” e “Commune de Paris” della XI Brigata internazionale. Tuttavia, le truppe italiane erano riuscite ad avanzare di altri 15 km e a prendere Almadrones, Cogollor e Masegoso. Nella serata, le formazioni italiane raggiunsero i sobborghi di Brihuega, dove si fermarono per aspettare che si allargasse un varco tra le linee repubblicane. Questa sosta, sebbene incompatibile con la strategia di guerra-lampo che gli italiani stavano seguendo in precedenza, fu motivata dalla necessità di far riposare i soldati.

    Il 9 marzo le forze repubblicane consistevano nella XI Brigata internazionale, due batterie di artiglieria e due compagnie di fanteria provenienti dalla 49ª brigata della 12ª divisione dell’esercito regolare. In totale vi erano 1 850 soldati con 1 600 fucili, 34 mitragliatrici, 6 cannoni e 5 carri armati. Sul finire della giornata il colonnello Enrique Jurado ricevette l’ordine di schierare l’11ª divisione di Líster al centro, sulla strada Madrid–Saragozza presso Torija, la 12ª divisione sulla sinistra e la 14ª sulla destra.

    10 marzo

    I repubblicani ricevettero nuovi rinforzi: la XII Brigata internazionale (composta dal battaglione Jarosław Dabrowski e dal battaglione italiano Garibaldi), tre batterie di artiglieria e un battaglione di carri. Le loro forze ammontavano così a 4 350 soldati, 8 mortai, 16 cannoni e 26 carri leggeri.

    Nella giornata le truppe italiane effettuarono dei bombardamenti, sia aerei che con l’artiglieria pesante, e attaccarono la XI Brigata internazionale, senza successo. In quel momento le forze italiane erano composte da 26 000 soldati, 900 mitragliatrici, 130 carri armati e numerosi cannoni. I nazionalisti presero le cittadine di Miralrío e Brihuega, quest’ultima senza incontrare resistenza.

    Nel pomeriggio gli italiani continuarono ad attaccare la XI e la XII Brigate internazionali, sempre con scarso successo. A Torija le truppe italiane del CTVI si scontrarono con il Battaglione Garibaldi, comandato temporaneamente da Ilio Barontini, essendo stato ferito in una precedente battaglia il comandante Pacciardi. Durante i combattimenti, gli uomini del Garibaldi colsero l’occasione per invitare i loro connazionali fascisti a passare nelle file repubblicane. Gli attacchi furono fermati verso sera, e i nazionalisti italiani prepararono delle postazioni difensive.

    Sul finire del giorno, Lacalle presentò le dimissioni, ufficialmente per motivi di salute, ma probabilmente per risentimento, essendo stato scavalcato da Jurado. Il comando della 12ª divisione fu affidato al comunista italiano Nino Nannetti.

    11 marzo

    Gli italiani riuscirono ad avanzare verso le posizioni delle Brigate internazionali XI e XII, che furono costrette a retrocedere sulla strada principale. L’avanguardia italiana fu fermata a circa 3 km da Torija. La divisione spagnola nazionalista “Soria” conquistò Hita e Torre del Burgo.

    Contrattacchi repubblicani

    12 marzo

    Un I-16 coi colori dell’Ejército popular Repúblicano de España preservato in condizioni di volo

    Le forze repubblicane agli ordini di Líster si riorganizzarono e lanciarono un contrattacco a mezzogiorno. Quasi 100 caccia Chato e Rata (il soprannome in spagnolo dello I-16, Topo) e due squadroni di bombardieri Tupolev SB (soprannominati dai sovietici Katiusha) erano stati resi disponibili ad Albacete. I Fiat CR.32 dell’aviazione nazionalista erano invece bloccati in aeroporti allagati; i repubblicani non risentirono di questo problema poiché l’aeroporto di Albacete aveva la pista asfaltata. Dopo un bombardamento sulle posizioni italiane, la fanteria repubblicana affiancata da carri leggeri T-26 e BT-5 attaccò le linee nemiche. Molti carri italiani vennero persi quando il generale Roatta tentò di cambiare lo schieramento delle sue unità motorizzate sul terreno fangoso; molti rimasero bloccati, diventando facile bersaglio per i caccia repubblicani. L’avanzata raggiunse Trijueque, mentre un contrattacco italiano non riuscì a recuperare il terreno perduto.

    A Palacio de Ibarra i fascisti italiani subirono una sconfitta da parte di volontari antifascisti italiani del Battaglione Garibaldi (inquadrato nella 12ª Brigata Internazionale), guidati abilissimamente da Ilio Barontini e Luigi Longo quale Commissario Generale delle Brigate Internazionali.

    13 marzo

    Un altro attacco repubblicano su Trijueque, Casa del Cobo e Palacio de Ibarra da parte del Battaglione Garibaldi ebbe eccezionale successo: le camicie nere della ‘Bandera Indomita’ vennero annientate. Il piano era di concentrare l’11ª divisione di Líster e tutte le unità corazzate sulla strada di Saragozza, mentre la 14ª divisione di Mera attraversava il fiume Tajuña per attaccare Brihuega. Gli italiani furono avvertiti di questa possibilità dal capo delle operazioni spagnolo, colonnello Barroso, ma ignorarono l’allarme. Mera ebbe molte difficoltà nell’attraversamento, ma membri locali del CNT gli consigliarono un posto adatto per posizionare un ponte galleggiante.

    14-17 marzo

    Il 14 marzo le formazioni di fanteria repubblicane rimasero a riposo, mentre l’aviazione attaccava con successo i nemici. Le Brigate internazionali si stabilirono fermamente in Palacio de Ibarra e riconquistarono Brihuega dalle mani dei fascisti italiani. Nei giorni seguenti i repubblicani riorganizzarono e concentrarono ancora le forze.

    In quel momento i repubblicani avevano circa 20 000 uomini, 17 mortai, 28 cannoni, 60 carri leggeri e 70 aerei.

    Le forze italiane e spagnole nazionaliste avevano invece circa 45 000 uomini, 70 mortai, 200 cannoni, 80 carri leggeri L3 e 50 aerei.

    18 marzo

    All’alba, Mera guidò la 14ª divisione oltre il ponte galleggiante sul fiume Tajuña. Il nevischio gli garantì una certa copertura, ma ritardò anche le operazioni. Dopo mezzogiorno, il tempo era migliorato abbastanza da permettere all’aviazione repubblicana di attaccare. Intorno alle 13:30, Jurado diede l’ordine di attacco. Líster, dopo un’iniziale avanzata su alcuni reparti italiani della 1ª Divisione CC.NN. Dio lo Vuole coi carri della Brigata Pavlov, fu rallentato dalla divisione italiana Littorio. Proprio mentre le truppe di Lìster venivano costrette a ritirarsi (con il battaglione Thaelmann in prima linea con difficoltà e il Nannetti fortemente ridotto di organici), il Generale di divisione Edmondo Rossi (soprannome Arnaldi) fu informato di essere stato accerchiato dai carri sovietici. Consapevole della inadeguatezza tecnica dei mezzi blindati italiani, ordinò la ritirata immediata, scoprendo il fianco sinistro della Littorio. Per le formazioni italiane si aprì la possibilità di un disastro completo che in effetti si produsse.

    19-23 marzo

    Truppe italiane al termine della battaglia

    Le truppe repubblicane impiegarono 24 ore a riorganizzarsi dalle perdite subite il 18 e a rendersi conto che gli italiani avevano ripiegato. Avanzarono riconquistando i borghi di Gajanejos e Villaviciosa de Tajuña. Il 20 e 21 tentarono nuovi assalti coi carri di Pavlov, fermati dalla divisione Littorio. La controffensiva fu fermata definitivamente sulla linea Valdearenas–Ledanca–Hontanares. Il 23 marzo l’ultimo attacco repubblicano si arrestò, per esaurimento dello slancio, sulle linee italiane e iniziò nei giorni successivi l’avvicendamento delle divisioni del CVT con truppe franchiste.

    Significato

    La battaglia di Guadalajara, militarmente non decisiva, ebbe grande risonanza internazionale; il fascismo aveva infatti subito il primo chiaro arresto ad opera di forze popolari di cui erano parte anche volontari antifascisti italiani. L’evento assunse importanza politica e inferse un duro colpo al prestigio del fascismo e di Mussolini personalmente. Sull’aria della nota canzonetta fascista “Faccetta Nera”, molto diffusa tra i soldati di Mussolini, gli antifascisti spagnoli (ma anche i franchisti) cantarono sul ritornello:

    Guadalajara no es Abisinia!

    porque los rojos tiran las bombas de piñas,

    los italianos se van, se van!

    y de recuerdo un cadaver dejaràn!

    (Guadalajara non è l’Abissinia! perché i “rossi” tirano bombe ananas (a mano, a frammentazione), gli italiani se ne vanno, se ne vanno! e per ricordo un cadavere lasceranno).

    Come sottotitola Olao Conforti nel saggio Guadalajara, la battaglia fu per la futura Resistenza italiana, la «prima sconfitta del fascismo».

    La battaglia fu l’unica chiara vittoria repubblicana e venne ampiamente sfruttata dalla propaganda repubblicana e antifascista: tuttavia non si tramutò nella svolta decisiva a favore della Repubblica anche se Herbert Matthews sul New York Times, scrisse che Guadalajara era “per il fascismo quello che la sconfitta di Bailén era stata per Napoleone”. Sul piano strategico, la vittoria repubblicana evitò l’accerchiamento di Madrid, mettendo fine alla speranza di Franco di schiacciare la Repubblica con un assalto decisivo alla sua capitale. Dietro consiglio dei tedeschi, Franco decise di adottare una nuova strategia, meno impetuosa di quella auspicata da Mussolini, conquistando pazientemente un territorio dopo l’altro, a partire dal nord. In tal senso alcuni storici ritengono che Franco non fu affatto contrariato dalla sconfitta che ridimensionò le velleità dell’ingombrante alleato.

    Guadalajara minò il morale degli italiani del CTV e Mussolini che aveva personalmente orchestrato lo schieramento delle sue truppe, sperando di ricavare gloria in caso di successo, decise di sostituire il generale Roatta con il generale Ettore Bastico e soprattutto di rimanere in Spagna e di potenziare il suo corpo di spedizione per risollevare il suo prestigio e quello del fascismo italiano. La sconfitta, quindi, garantì anche che gli italiani avrebbero continuato a combattere, poiché Mussolini avrebbe inseguito una vittoria in grado di bilanciare Guadalajara. Dal punto di vista delle perdite, gli italiani ebbero circa 600 morti e 2 000 feriti, mentre maggiori furono le perdite dei repubblicani, circa 2 000 morti e 4 000 feriti; le perdite degli spagnoli nazionalisti furono marginali. L’esercito repubblicano catturò una grossa quantità di equipaggiamenti di cui aveva un grande bisogno, tra cui 35 pezzi di artiglieria, 85 mitragliatrici e 67 autoveicoli. Le prestazioni delle truppe italiane, fino ad allora ed in seguito molto buone, ebbero una battuta d’arresto nella battaglia di Guadalajara.

    Le lezioni tattiche della battaglia furono ambigue e male interpretate. Il fallimento dell’offensiva italiana fu inteso come una dimostrazione della vulnerabilità di attacchi portati avanti da unità corazzate in condizioni sfavorevoli e contro una difesa di fanteria ben organizzata. I comandi militari francesi conclusero che le truppe meccanizzate non fossero un elemento decisivo nella moderna arte della guerra e continuarono a elaborare la loro dottrina militare, di conseguenza, con un’eccezione degna di nota in Charles de Gaulle. I tedeschi, invece, non commisero questo errore, ritenendo il fallimento di Guadalajara frutto di errori ed incompetenze da parte dei comandanti italiani.

    In verità, entrambi i punti di vista erano fondati: le forze motorizzate italiane, a causa delle carenze tecniche dei mezzi, erano vincolate alla rete stradale, specialmente in caso di condizioni meteorologiche avverse. Risultarono inoltre vulnerabili in assenza di un supporto aereo adeguato (gli strateghi italiani non considerarono queste variabili). Ma anche le valutazioni dei tedeschi sulle carenze delle forze italiane erano corrette. In particolare, i capi militari non avevano la determinazione necessaria per portare avanti le decise avanzate caratteristiche della guerra-lampo.

    Protagonisti della battaglia furono i volontari delle Brigate Internazionali, unitamente agli uomini delle unità repubblicane di Lister; in particolare si segnala la 12ª Brigata – Battaglione Garibaldi formato dai volontari antifascisti italiani al comando di Randolfo Pacciardi (anche se quest’ultimo, ferito nella precedente battaglia del Jarama, intervenne a Guadalajara solo nelle fasi finali e il comando fu esercitato dal Vice Commissario politico Ilio Barontini).(fonte)

    [5] Benaglia Primo fu Vittorio e di Imelde Serra, da Firenze, capitano 2° reggimento fanteria legionaria volontari del Littorio. — Aiutante maggiore di un battaglione impegnato in un aspro combattimento, caduto ferito il proprio comandante nonostante la violenta reazione avversaria, si prodigava incessantemente perchè l’attacco non subisse soste. — Torrecilla de Alcaniz, 19 marzo 1938-XVI.(fonte)