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Estratti su Armando Diaz, 1930

    Estratti su Armando Diaz, 1930
    Estratti su Armando Diaz, 1930 10
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    DIAZ

    Dalla Rivista “Nuova Antologia” = 16 Marzo 1928, pag.137

    L’8 novembre 1917 un comunicato estremamente laconico annunziava la
    nomina a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito del Generale Armando DIAZ
    La scarna prosa di quelle due righe : “Assumo la carica di Capo
    di Stato Maggiore dell’Esercito e conto sulla fede e sulla abnegazione
    di tutti” rivelava la natura dell’uomo e si adattava all’ora gravissima
    Disciplinato atto di fede era stato quello di aver obbedito sen-
    za profferir verbo all’invito del Sovrano, assumendo il supremo comando
    dell’Esercito in quella situazione complicata da tante incognite pauro-
    se, mentre i brandelli della seconda armata, i laceri e gloriosi resti
    della terza e della quarta avevano appena finito di passare il Piave,
    e sull’alpe tridentina il nemico si apprestava a dare il colpo di gra-
    zia alle nostre truppe che = secondo la colorita espressione di von
    Conrad = erano rimaste aggrappate a quell’estremo diaframma montano come
    il naufrago tiene le mani alla tavola di salvezza.  • • • •
    • • • In quello stesso giorno 8 novembre, a Peschiera, il Re aveva
    saputo convincere gli alleati alla sua fede nella salda virtù militare
    dei suoi soldati.
    Armando DIAZ ebbe la stessa fede. DIAZ era il sagace coman-
    dante del 93° Fanteria che in Libia alla vigilia di un combattimento
    che si prevedeva asprissimo, aveva saputo riaccendere di slancio i sol-
    dati della compagnia dove gli spiriti erano più depressi e proprio ad
    essa aveva affidato poi l’onore di guardare la bandiera; era il genera-
    le che la sua 49^ divisione aveva condotto a brillanti vittorie sul Car-
    so, ottenendole dal Comando Supremo, così parco di elogi, l’onore del-
    la citazione sul Bollettino di guerra: era il Generale che sul Carso
    i fanti del XXIII Corpo d’Armata avevano visto cadere ferito fra loro
    sulla martoriata trincea di Sablici.
    In questo lungo prezioso tirocinio spirituale, vissuto in
    stretto contatto con l’anima semplice e sempre generosa del saldato,

    • • / • •

    Armando DIAZ, che il nobile cuore faceva squisitamente aperto a tutti
    i problemi umani della guerra, trovò le naturali ma indispensabili
    premesse psicologiche dell’altissimo compito.
    Con esse egli costruì la salda base della sua fede la quale fu
    perciò nello stesso tempo impulso e ragione e, in quell’ora triste
    costituì il primo grande merito del grande nuovo Condottiero.
    • • • • • •
    Il Generale DIAZ ebbe in quei giorni la prima confortante visio-
    ne di sicurezza “Chi in quei giorni di accorata passione = scrisse
    egli dopo qualche anno = vide, come: noi tutti vedemmo, splendere tan-
    ta luce e balenare tanta speranza, comprese come sul fiume che serrava
    fra le opposte sue rive i destini della Patria, risorgesse dal dolore
    e si affermasse nella concordia una Patria ancora più grande e forte,
    che, gettando oltre il Piave il suo cuore quale sacro pegno di libera-
    zione ai fratelli aspettanti, aveva, nella sventura più che nella esul-
    tanza, saputo trovare 1 vera misura della sua in infrangibile unità!”
    Questa l’opera morale, silenziosa, instancabile e accorta, che si
    accompagnò di poi sempre a tutti gli atti, a tutte le decisioni del
    Comando Supremo. =
    • • • • • •
    Ma il Condottiero, che conosceva il suo strumento d guerra, seppe
    conservare nella vittoria la stessa serena misura che aveva dimostrato
    nell’ora tragica; e giustamente non volle compromettere il moltissimo
    raggiunto per correre l’incerta alea dell’avventura, resa più perico-
    losa dalla nostra spossatezza e dalla presenza del fiume alle spalle.=
    Con alto senso di responsabilità e con un’esatta valutazione della
    situazione, il Generale DIAZ seppe remare a tempo le animose pattu-
    glie di cavalleria e di fanteria che avevano già varcato il Piave, ane-
    lanti alla riscossa.=
    Questa decisione fu amara, ma saggia.=
      • 
    •   •
    Il Comando Supremo ebbe ben tosto la sensazione che la guerra con
    l’Austria era ormai decisa.

    • • / • •

    = 2 =

    Segue DIAZ

    La battaglia del Piave, la prima grande vittoria dell’intesa, si pre-
    sentava densa di conseguenze. Lo sentì anche il nemico. HINDEMBURG scris-
    se poi di quegli avvenimenti: la monarchia danubiana aveva cessato di
    essere un pericolo per Italia.
    L’epilogo era ormai fatalmente segnato,
    ma bisognava essere pronti a cogliere l’attimo favorevole, e, po=
    tendo, ad accelerarlo.
    Fu questo il nuovo compito, immediatamente intuito dal generale DIAZ.
    • • • • • • •
    Il popolo Italiano amò Armando DIAZ, colui che gli aveva mostrato
    in tutta la sua luce il volto divino della Vittoria. Egli sentì quel=
    l’amore e ne ebbe contorto; ma presto sopraggiunse l’ora grigia che do=
    vette all’animo suo essere più amara delle più tristi ore passate. Egli
    si ritrasse e sofferse ii. silenzio.
    Poi quando, il 28 ottobre del 1922, il gesto di Benito Mussolini resti=
    tuì la Patria a se stessa, Armando DIAZ sentì che il suo posto non po=
    teva non. essere accanto all’uomo provvidenziale e tu il primo Ministro
    della Guerra del Regime Fascista.
    Poco più di sei mesi dopo, rievocando a Milano la battaglia del Pia=
    ve, così diceva:
    ” Rievoco le aspre lotte, gli innumeri olocausti, le fulgide glorie ! Rie=
    voco l’Esercito vittorioso della guerra, che, finalmente restituito al-
    l’amore e al culto della Nazione, ne attinge sano e rinnovato vigore; rie=
    voco, non più le ore dello sconforto e del traviamento che alla guerra
    susseguirono, ma quelle più recenti che a noi rivelarono uomini nuovi,
    superbi di forza, d1 volontà, e di risvegliata coscienza nazionale, subi=
    to compresi, subito seguiti perché esponenti di quanto tutta l’Italia
    anelava. Rievoco riverente i nostri gloriosi caduti, che dalle loro tom=
    me ci incitano a perseverare nella opera di ricostruzione intrapresa.
    Ed a tutti ricordo che la vittoria nacque dalla salda unione dei
    cuori, delle energie e delle volontà, dalla disciplina delle intelligen=
    ze e degli spiriti, dal far tacere ogni personale ambizione di fronte

    • • / • •

    alla nobiltà dello scopo comune, dalla coscienza che tutto si. doveva of=
    frire alla Patria.”
    L’uomo è tutto in queste nobilissime parole. Esse possano essere il
    suo epitaffio.

    ft°) Ugo Cavallero[1]

    Dalla Rivista Aeronautica = Gennaio 1929 pag.211 e seguenti
    “DIAZ” del Generale Alberto Baldini[2]

    • • • • • • • • • • • • • •  ,  è un libro da cui, quasi/inavvertitamente, emergono via via,
    con chiarità luminosa, le doti inestimabili e provvidenziali del Condottiero,
    di Colui che condusse le armi d’Italia alla grande Vittoria. • • • • • •   ed è, ripe-
    to, attraverso questa narrazione che l’”io” di ARMANDO DIAZ balza al primo
    posto con verità e bellezza senza pari.  
    • • • • • • •  e che se fortuna arrise alle armi nostre, ciò fu perchè Armando DIAZ
    la seppe più volte, ed in tempo afferrare e tenere; bisogno che il popolo
    sappi a col quale e quanta modestia, ma anche con quanta fermezza
    di. propositi e salda fede nelle virtù del soldato italiano, Armando DIAZ
    si sobbarcò all’enorme compito che il Re e la Patria gli avevano confidato
    in quei. giorni tremendi che susseguirono alla “frana” di Caporetto (“L’arma
    che sono chiamato ad impugnare è spuntata • • • bisognerà presto rifarla pun –
    gente  • • • •  la rifaremo”); ,bisogna che il popolo sappia con quanto cuore
    e quanta umanità l’Uomo dal perfetto equilibrio seppe ridare fede immediata
    e senso di responsabilità ai suoi gregari e con qualta gelosa cura ne custo-
    dì poi sempre la compagine spirituale ed il benessere morale e fisico; che
    valuti, il nostro popolo, con esatta visione quali e quante furono le prov-
    videnze immediate di ogni genere e specie che la tragicità di quel primo mo-
    mento richiedeva, e quante e quali furono quelle successive e più organiche
    che dovevano trasformare in modo quasi miracoloso un esercito disorganizzato
    in un potente strumento di vittoria; che valuti le alti qualità volitive e
    il pensiero lungimirante dei Generalissimo che, pure assorbito dai compiti
    e dalle ansie della prima disperata difesa, già predispone l’animo, i futuri

    • • / • •

    = 3 =

    Segue DIAZ 

    risolutivi; che veda con quanta cavalleresca lealtà, con quale spirito
    di cameratismo, ma anche con quanta fermezza e gelosa tutela delle nostra
    dignità, Egli trattò in difficili contingenze coi comandi alleati; che
    misuri con quanta genialità ed esperienza, di comando predispose
    e diresse l’eroica, attiva, vittoriosa resistenza, del giugno, che fiaccò
    ogni ulteriore tracotanza del nemico; e con quale geloso cuore e con quale
    fervida fede preparò il colpo finale, e con quanta sagacia e prontezza
    seppe cogliere l’attimo .fuggente che lo rendeva possibile; e bisogna in-
    fine che il popolo nostro veda l’alta figura e .1a grande benemerenza
    di questo. Capo che, pur tra la frenetica gioia della meritata Vittoria,
    non sosta ne riposa, ma provvede a far si che questa vittoria appaia
    in tutta la sua enorme, decisa portata ed influenza sull’andamento gene-
    rale della guerra, per modo che, se questa avesse dovuto continuare, i
    soldati d’ Italia si sarebbero trovati., con fulminea, napoleonica manovra,
    sui campi della Baviera e della Sassonia a far precipitare ogni ulteriore
    resitenza.
    Ebbene, tutto questo il Generale Baldini mette in vivida luce nel suo
    bel libro   • • • • • •  P. C.

    —————- 

    Dalla Rivista Aeronautica = Marzo 1930 pag. 605 

    “Vittorio Veneto” del Colonn. Dupont[3]

    • • • • • • • • • •,  si sofferma l’autore da prima a tratteggiare l’alta figura
    morale e il carattere del. generale Diaz, del Condottiero che non si ine-
    bria della Vittoria, che contiene con sagace prudenza il suo e l’altrui
    impulso “di inseguire al Reno, con il ferro ancor caldo il nemico scon-
    fitto”, che sa resistere alle pressioni intere alleate scrivendo al pre-
    sidente del Consiglio perchè altri intenda, queste saggie parole : “A
    noi occorre vincere la guerra ed evitare di farci trascinare in opera-
    zioni che potrebbero compromettere tale scopo essenziale • • •”

    • • • • • • • • • •   P.C.

    —————-

    Dal bollettino dell’ Ufficio Storico del R. Esercito= 1°.5.28  pag. 1

    • • • • • • • • • • • • • •    ARMANDO DIAZ era vivo sempre e presente nelle file
    dell’Esercito e gel cuore degli italiani, polche il suo nome era di-
    ventato simbolo di quella Vittoria, dalla quale incominciò la storia
    dell’Italia nuova. DIAZ era balzato di un tratto alle supreme respon-
    sabilità del comando, nell’ora di tutti gli smarrimenti e di tutte
    le incognite, quando tatto pareva perduto e nessuna luce si scorgeva
    all’orizzonte  • • • • • • •  Non l’aver vacillato nell’assumere il compito
    tremendo di salvare la Patria, aver avuto fede nel soldato e nel po-
    polo italiano, aver inchiodato il nemico sul Grappa e sul Piave,
    preparata la riscossa delle anime e delle armi e, battuto poi due volte,
    in due memorabili grandiose battaglie, uno degli eserciti più ricchi
    di tradizioni e di trionfi, sono titoli di grandezza e di gloria che
    la Patria riconoscente ha voluto consacrare con gIi onori veramente
    regali, con i quali il Condottiero della Vittoria è stato accompagnato
    all’estrema dimora.
    Altri hanno largamente ricordato, nei giorni passati, la sua vita
    nobile ed austera, di soldato e di cittadino: la sua devozione scon-
    finata alla Patria ed al dovere, le ferite gloriose di Zanzur e di Sa-
    blici, la cooperazione devota ed intelligente a S.E. Pollio e a S.E.
    Cadorna, l’abile azione di comando, in. uno dei settori più difficili
    del nostro teatro di operazioni prima, alla suprema direzione della
    guerra poi, ed infine la sua partecipazione al governo nazionale quale
    ministro della guerra ed il vigile attaccamento, fino a11″eetremo del-
    le sue forze all’Esercito, pensiero costante ed amore ai tutta la sua
    esistenza• • • • • • • •

    ———————-

    = 4 =

    Segue DIAZ 

    Dalla Rivista “Italia Augusta” = Aprile 1928 pag. 63
    Il Condottiero della Vittoria

    • • • • • • • • • • • • •
    ARMANDO DIAZ già, da tempo era belzato nelle prime file tra le per-
    sonalità più in vista dell’Esercito, e ben lo sapevano coloro cui in-
    combeva il dovere di meglio vagliare e conoscere gli uomini, sui quali,
    nell’ora del bisogno, si sarebbe potuto e dovuto fare assegnamento.
    Fino al grado di colonnello, la sua carriera nulla aveva avuto di
    particolare; nessuna vicenda drammatica, nessun svolta decisiva. Sotto-
    tenente di artiglieria a 20 anni, capitano a 25 aveva sostenuto, con esi-
    to lusinghiero gli esami di ammissione alla scuola di guerra, ed uscitone
    primo, nel 1894, aveva alternato, come ogni altro ufficiale dí Stato Mag-
    giore, i servizi pressi le truppe con quelli negli uffici. promosso colon-
    nello nel 1910, due anni dopo, al comando di Un reggimento di fanteria,
    il 93°, partiva per la Tripolitania. Con una ferita gloriosa, toccata nel-
    la giornata ai Zanzur (20 settembre 1912) e con a.1 conferimento dell’Or-
    dine Militare di Savoia, si concludeva questo primo ciclo della sua car-
    riera.
    Fin da allora, però, egli aveva avuto modo di rivelare nelle sue va-
    rie attribuzioni, alcune di quelle qualità, che poi, in ben più arduo po-
    sto, dovevano costituire la sagoma inconfondibile della sua personalità;
    il carattere fermo e schietto, la volontà indomabile, l’assoluto equili-
    brio. Napoletano di nascita, con tutte le sfumature e la ricchezza di vi-
    ta interiore della gente vesuviana, sapeva ammirabilmente imporsi, con la
    riflessione, un costante dominio di se stesso; la forza di volontà ed il
    metodo pareva che egli tenesse sopratutto ad esercitare piuttosto che
    quelle qualità cosi dette brillanti, che pure non gli sarebbero mancate.
    Disdegnoso dl manovre arrivistiche e noncurante di successi apparenti, egli
    aveva di mira essenzialmente il dovere, null’altro chiedendo al suo ope-
    rato che la pura soddisfazione di aver obbedito ad una legge interiore.
    I primi 20 anni di carriera erano stati, cosi, 20 anni di studio indefesso

    • • / • •

    di rigida disciplina e di pratica diuturna paziente appassionata nelle
    caserme, nei. campi di istruzione, negli uffici, nelle biblioteche.
    Incominciava ora il ciclo ascensionale, nel quale egli doveva. rac=
    cogliere i frutti della lunga, coscienziosa preparazione.
    Rimpatrialo dalla Libia, S.E. 13. Generale Pollio, allora Capo di
    Stato Maggiore dell’Esercito lo chiamò presso di. sè quale segretario,
    ed in tale delicato ufficio lo mantenne fino alla sua morte improvvisa.
    Ed anche S.E. Cadorna succeduto al Generale Pollio, volle che DIAZ, pro-
    mosso nel frattempo maggior generale, rimase al suo fianco . Erano i mesi
    nei quali mentre attorno al chiuso cerchio della nostra neutrali-
    tà premevano inesorabili le incognite e le minaccie del domani, si. an-

    dava. febbrilmente fucinando l ‘Esercito per la guerra • • • • •
    In questa ora ardua ed avversata da mille difficoltà DIAZ fu un
    valido e devoto collaboratore del suo Capo, il quale poi, ‘una volta dichia-
    rata la guerra, lo condusse seco al comando supremo affidandogli uno
    degli uffici di maggiore importanza: il reparto operazioni. Così dopo
    aver conosciuto e studiato tutti i congegni dell’organismo militare,
    gli era dato di temprarsi all’insonne tormento ed alle dure responsabi-
    lità, degli alti posti di. comando.
    Ma nel giugno 1916, promosso generale di divisione, ARMANDO DIAZ,
    soldato nell’ anima, volle tornare ad ‘essere soldato fra i soldati; chie-
    se perciò ed ottenne un posto d’onore nella prima linea.
    Gli fu dato il comando della 49^ Divisione che costituiva l’ala sini-
    stra dell’11° Corpo d’Armata, quello del San Michele. Nella battaglia
    autunnale del 1916, il Generale DIAZ condusse le due valorose brigate
    della sua Divisione, la “Pinerolo” e la “Napoli” alla conquista del
    Volkovniak e delle alture di San Grado di Merna; Il bollettino del Cometa-
    do Supremo del 4 novembre 1916 rendeva il dovuto omaggio alla bella
    condotta del 49 Divisione. E pochi mesi dopo il Generale DIAZ veniva
    destinato al Comando del 23° Corpo d’Armata.
    • • • • • • • • • • • • •
    Sull’altopiano carsico il Comandante del 23° Corpo d’Armata, 11 3 ot-
    tobre 1917 arrossava del suo sangue le aride zolle di Sablici. Durante

    • • / • •

    = 5 =

    Segue DIAZ

    una ricognizione sulle linee avanzate, il generale DIAZ veniva ferito
    da una scheggia di granata ad un braccio; impavido e sereno , vincendo
    lo strazio della carne egli non volle tornare indietro e solo accettò
    di essere curato quando il suo compito fu adempiuto. Per il coraggio
    dimostrato in questo suo secondo battesimo di sangue, fu decorato di
    medaglia d’argento al valor militare.
    Qualche giorno dopo, la sventura di Caporetto sì abbatteva, sul-
    l’Italia • • • • • • •  Con polso fermo, pur serrando nei cuore la più profonda
    amarezza, il generale guidò la ritirata del suo corpo d’armata, traendo-
    lo in salvo alle sponde del Piave. Vi era appena giunto, quando, fulmi-
    nea, gli giunse la notizia della sua nomina a successore del generale
    CADORNA. Chi era accanto a lui in quel giorno disse di averlo veduto
    impallidire; ma fu certo, un attimo.
    Poche ore dopo, egli lanciava all’Esercito il suo breve, quasi ta-
    citiano ordine del giorno: “”Assumo la carica di Capo di Stato Maggiore
    dell’Esercito. Conto sulla fede e sulla abnegazione di tutti””
    E si pose al lavoro.

    • • • • • • • • • • • • •  Furono, forse, in molti a fare il suo nome, e non
    doveva tanto stupire: ufficiale di passato bellissimo, in pace ed in
    guerra; comandante di Corpo d’Armata tra quelli che meglio si  erano
    comportati nelle recenti offensive; segretario di due successivi Capi
    di Stato Maggiore; Capo del reparto operazioni del Comando Supremo
    durante il primo anno di guerra; conoscitore perfette della situazione
    e dei precedenti che lo avevano determinato, DIAZ era certo, un uomo
    cui si poteva e si doveva pensare in quel momento di gravità ecceziona-
    le  • • • • • • • • • • • • •  Gli avvenimenti posteriori dimostrarono che la scelta
    era, stata felice, sopratutto perchè, a risollevare l’Esercito ed il
    Paese dalla terribile crisi in cui si dibattevano, occorrevano in chi
    doveva assumere il comando non soltanto preclari attitudini strategiche
    ma anche altre qualità, che possiamo chiamare con una sola grande parola
    cuore. E queste ultime qualità, appunto il generale DIAZ possedeva, in
    modo spiccatissimo. Le aveve dimostrate in tutti i gradi ed in tutti i

    • • / • •

    comandi; DIAZ conosceva ed amava il soldato. Io aveva conosciuto e
    gli era vissuto vicino in’ tutte le battaglie, sulle sabbia libiche e
    nelle trincee martoriate del Carso, e sapeva le vie che conduce-
    vano al suo cuore e alla sua anima; bisognava curarla e guarirla, poichè,
    in fondo, era l’anima del soldato che doveva vincere la guerra.
    Il generale DIAZ non aveva dimenticato la massima da Napoleone:
    “” Io mi calcolo solo per metà, nelle battaglie da me vinte ed è già
    molto per il generale, di meritare di essere nominato, perchè in realtà
    chi vince le battaglie è l’esercito””. Questo, innegabilmente, fu
    il merito del nostro secondo Comando Supremo; una maggiore impronta
    di umaniltà, di intuito psicologico nel governo degli uomini.
    Se 11 battaglie avevano fatto la prova delle armi bisognava ora
    superare la prova delle anime; e fu proprio dal Comandante Supremo
    che venne il più vigoroso impulso a quell’opera mirabile di ressurezio-
    ne e di ricostruzione • • • • • Vennero così le miracolose giornate del
    novembre e del dicembre in cui i fanciulli del 1899 tennero testa
    fieramente alle truppe migliori di due grandi ‘eserciti, quali l’austria-
    co ed il tedesco. Ci fu, in quei giorni chi disperò. Il generale DIAZ
    invece, ebbe fede sempre e tale sua fede incrollabile non mancò di mani-
    festare sempre, sia negli ambienti del comando, sia nei frequenti con-
    tatti con i Capi alleati, di fronte ai quali, allora e dopo, mantenne
    un contegno nobilissimo e fermo • • • • • • • • • • • • • 
    Sopito poi il fragore delle armi sugli altipiani e sul Grappa,
    il Comandante Supremo si dedicò con ogni cura ed energia al rafforza-
    mento dell’Esercito ed al consolidamento delle nuove linee; opera gi-
    gantesca e silenziosa• • •  • • • • • • • • • •   E quattro mesi dopo il Piave
    Vittorio Veneto, la battaglia offensiva dalla concezione lucida e pos-
    sente che, chiudente il vecchio esercito imperiale in un vasto campo di
    prigionia; doveva essere la prima, assoluta determinante della fine
    della guerra  • • • • • • • • • • • • • 
    • • • • • • • • • • • • • 
    Dopo la Vittoria, mentre trame diplomatiche e miserie interne
    facevano a gare per sminuirne i risultati e sottrarle i diritti, il

    • • / • •

    = 6 =

    Segue DIAZ

    Generale DIAZ si trasse volontariamente in disparte. Anche allora, però ,
    in quegli anni torbidi , egli non disperò dei destini della Patria • • • • •
    • • • • • • • • • • • • •  
    Nominato Ministro della Guerra si dedicò con giovanile fervore allo
    studio ed alla applicazione di un nuovo ordinamento dell’Esercito• • • • •
    E perdurò nella sua opera assidua e serena, fino a quando l’organismo, lo-
    goro da tante fatiche, non ebbe bisogno assoluto di riposo.
    • • • • • • • • • • • • • 

    Amedeo Tosti[4]

    ————————-

    Dalla Rivista Militare Italiana = Aprile pag .1
    • • • • • • • • • • • • • 

    ARMANDO DIAZ il 16 maggio 1912 viene trasferito, in accoglimento di
    una sua ardente aspirazione, al 93° fanteria mobilitato in Libia.
    Organizzatore tenace ed animo eletto di Comandante, perfeziona l’impor-
    tante strumento di guerra che gli è stato affidato e mentre si dedica con
    assidua attività all’addestramento dei suoi battaglioni provvede a miglio-
    rare la vita materiale del soldato, sorveglia di persona i servizi reggi-
    mentali, escogita tutte le possibili previdenze per salvaguardare i suoi
    uomini dai contagi epidemici, e li mantiene in piena efficienza materiale
    e morale.
    • • • • • • • • • • • • • 

    Anche al comando della divisione il generale DIAZ da prova di quel
    vigoroso spirito offensivo a cui aveva inspirato la sua azione in Libia.
    E così incita la fanteria all’attacco travolgente:
    “ “ È sacrosanto dovere di tutti di ottenere a qualunque costo che questa
    avanzata avvenga simultanea, energica, irresistibile• • • • •  Non fermarsi
    sulle difese nemiche, ma oltrepassarle, seguendo con le bombe ed incalzando
    l’avversario colla baionetta alle reni • • • • • • • “ “ 
    Dalla sua azione animatrice trae fecondi risultati che valgono alle sue
    truppe l’ambita citazione sul bollettino di guerra • • • • • • •

    • • • • • • • • • • • • • 

    • • / • •

    Nelle azioni offensive, mercè la sagace e minualasa preparazione,
    l’energica ed intelligente condotta delle truppe, di cui DIAZ fu sempre
    efficace animatore, riusciva a conquistare brillantemente gli obiettivi
    assegnatigli • • • • • • •
    È alla luce di questa immane somma di responsabilità, affrontata
    con core fermo e con sicura fede nei destini vittoriosi della Patria
    che il generale DIAZ si appalesa grande organizzatore e grande anima-
    tore • • • • • • •
    L’Esercito italiano era mercè i provvedimenti adattati da DIAZ
    ottimamente armato ed allenato fisicamente e moralmente, pronto alla
    lotta,  • • • • • • •
    • • • • • • • • • • • • •  
    Colla battaglia del Piave, che è una delle più importanti e riso-
    lutive del conflitto mondiale e che nella sua concezione e nel suo svi-
    luppo rappresenta l’esempio classico della battaglia manovrata moderna,
    il Generale DIAZ ha virtualmente vinta la guerra. • • • • • • •
    • • • • • • • • • • • • • 
    Alla preparazione dell’offensiva nei suoi, più minuti particolari,
    preparazione che doveva tra l’altro ridare a capi e gregari
    assuefatti ormai alla guerra stabilizzata, la piena attitudine alla manovra in terre-
    no libero al di là delle organizzazione difensive avversarie verso i
    violati confini della Patria, attese il Generale DIAZ nel periodo luglio –

    ottobre 1918.
    • • • • • • • • • • • • • 
    Come Ministro della Guerra, DIAZ dà all’Esercito quell’ ordinamen-
    to che potrà finalmente considerarsi come una prima base sicura per
    l’edificio che dovrà essere costruito.
    Snellisce nella sua struttura l’amministrazione centrale e riduce
    in confini più ristretti lo Stato Maggiore, ponendolo alla sua immediata
    dipendenza, con funzioni di coordinamento sa tutta l’ opera tecnica svol-
    ta dalle varie direzioni generali.
    Infine elabora le prime direttive e traccia i compiti militari del-
    la M. V. S. N. • • • • • • • • • • • • •  A questa opera vasta e complessa ARMANDO DIAZ

    • • / • •

    = 7 =

    Segue DIAZ 

    attende con quella stessa serenità e competenza che avevano contra-
    distinto durante l’ultimo anno di guerra la sua opera di orgainizza-
    tore e di capo  • • • • • • • • • • •
    • • • • • • • • • • • • • 
    DIAZ ebbe gran cuore e, sotto il freddo imperio della ragione,
    sentì calda e viva l’anima dei suoi soldati che vibrava insieme a
    quella anelante del popolo ed a tutti ridiè la coscienza delle pro-
    prie forze e la ferma volontà di vincere. Assunse la responsabilità
    massima della salvezza della Patria in stremate condizioni di resisten-
    za che avrebbero fatto tremare ogni altro men degno dell’altissimo
    compito, affermando così l’alto valore di capo • • • • • • • • • • • • • 
    Ebbe il meravigliosa Intuito di condottieri di uomini che compren-
    dono a fondo gli istinti complessi, gli eroismi, e le debolezze, i sa-
    crifici ed i bisogni, e che nelle responsabilità delle decisioni., se-
    guono sempre le vie più chiare da tutti comprese e da tut-
    ti volute.
    Fu l’uomo che in una eccezionale svolta della storia rispose
    nobilmente al gravissimo compito addossatogli; e la storia illumina
    sempre di vivissima gloria i capi che guidano le sorti dei popoli ai
    più alti destini.
    Gli anni e le generazioni future sintetizzeranno nel nome di
    DIAZ la Vittoria che non trova riscontro nella storia.

    • • • • • • • • • • • • • 
    ARMANDO DIAZ ci condusse alla grande vittoria di Vittorio
    Veneto; a lui quindi l’altissimo merito della definitiva redenzione
    della Patria, del ravvivato onore dell’Esercito, dell’auspicio sicuro
    del radioso domani.

    Generale Scipione Scipioni[5]


    Note

    La raccolta di estratti su Armando Diaz da parte del barone Alberto Emanuele Lumbroso per la Rivista di Roma. Sono presenti correzioni sulle pagine dattiloscritte dello stesso.

    [1]Ugo Cavallero. Nacque a Casale Monferrato il 20 sett. 1880 da Gaspare e Maria Scagliotti. Avviato agli studi militari nel 1898, sottotenente di fanteria nel 1900, fu insegnante alla scuola centrale di tiro a Parma nel 1906. Ufficiale di vasta cultura, uscito nel 1911 dalla scuola di guerra di Torino presso la cui università aveva anche compiuto studi di matematica pura, tradusse importanti opere geografiche dal tedesco e dall’inglese. Nel 1912 partecipò alla guerra libica col grado di capitano. Durante la prima guerra mondiale fu sempre addetto al Comando Supremo del quale, nel 1917-18, col grado di tenente colonnello, resse l’ufficio operazioni divenendo collaboratore di Badoglio. Ebbe parte di rilievo nell’elaborazione dei piani per le vittoriose battaglie del Piave e di Vittorio Veneto. Alla fine della guerra, promosso generale a soli trentotto anni, fu inviato a Parigi quale membro del comitato permanente interalleato.
    Nel 1920 il C. fu collocato a sua domanda in posizione ausiliaria speciale: l’elevato numero di generali anziani sembrava infatti precludergli una rapida carriera. Ebbe per qualche tempo posti di responsabilità nell’industria privata e fu, tra l’altro, direttore centrale della società Pirelli. Nel 1924 sembrò che dovesse succedere a Diaz quale ministro della Guerra, ma la candidatura tramontò – pare – per dissensi circa gli stanziamenti in bilancio.
    Nel maggio 1925, dopo l’assunzione dei ministeri militari da parte di Mussolini, il C. fu nominato sottosegretario per la Guerra. Tale rimase fino al 1928 presiedendo al riordinamento dell’esercito insieme con Badoglio, assurto a capo di Stato Maggiore generale. Durante il sottosegretariato il C. divenne rivale acerrimo di Badoglio: quasi certamente a una sua iniziativa si deve la riforma legislativa del 1927 con cui i poteri del capo di Stato Maggiore generale furono grandemente ridotti. Nel 1928 il C. fu rimosso dalla carica per intervento del re, dopo un clamoroso episodio d’intolleranza tra lui e Badoglio.
    A una cerimonia militare i due generali non si salutarono: Badoglio, ritenendosi superiore come maresciallo e capo di Stato Maggiore generale, aspettava il saluto del C. che, a sua volta, aspettava il saluto di Badoglio ritenendosi superiore in qualità di sottosegretario.
    All’atto della cessazione della carica, il C., che era senatore dal 1926, ricevette il titolo di conte. Tornato all’industria, assunse la presidenza della società Ansaldo, dove si adoperò per l’ammodernamento del materiale bellico navale e terrestre (artiglieria contraerea, carri leggeri). Nel 1933 peraltro dovette lasciare l’Ansaldo per l’insorgere di gravi sospetti.
    Le corazze applicate a un incrociatore non corrispondevano ai campioni i cui marchi erano stati contraffatti. La documentazione disponibile non consente di stabilire se vi fosse una sua responsabilità personale: la circostanza tuttavia non può tacersi poiché da essa originano – fondate o meno – le accuse di approfittamento mosse al C. da qualche storico e da numerosi memorialisti della seconda guerra mondiale.
    Dopo un periodo in cui fu delegato italiano alla conferenza di Ginevra per il disarmo, il C. venne richiamato in servizio agli ultimi del 1937 e, col grado di generale di corpo d’armata, comandò le truppe nell’Africa orientale appena conquistata. Richiamato in patria nella primavera del 1939 per dissidi col viceré Amedeo d’Aosta, divenne vicepresidente della commissione economica e militare per l’applicazione del “patto d’acciaio” con la Germania. In questa qualità il C. fu latore a Berlino, nel giugno 1939, di una lettera con cui Mussolini avvertiva Hitler che l’Italia non sarebbe stata pronta alla guerra prima del 1943: sarà tale documento, successivo alla firma del patto, a ingenerare più tardi l’errata credenza che il trattato contenesse il reciproco impegno a ritardare la guerra.
    Scesa in campo l’Italia, il C. fu nominato capo di Stato Maggiore generale il 6 dic. 1940 in seguito alle dimissioni di Badoglio. Inviato in Albania (dove il 30 dicembre assunse il comando del locale gruppo d’armate in sostituzione del gen. Soddu), si occupò esclusivamente di tale fronte fino alla primavera 1941, mentre a Roma le sue funzioni erano esercitate dal sottocapo gen. Guzzoni. In Albania, il C. riusciva a evitare la rotta completa delle nostre truppe bloccando a fine gennaio 1941 l’iniziativa greca. Falliva invece la controffensiva italiana in Val Desnizza (marzo 1941), voluta da Mussolini e dal C. nella speranza di prevenire l’imminente calata tedesca in Balcania. L’ultima fase della guerra trova il C. impegnato a sfruttare il successo tedesco in Grecia e in Iugoslavia: respinto un attacco iugoslavo su Scutari, avanzò fino a Ragusa, in Dalmazia, e si congiunse con le avanguardie tedesche a Dibra e a Struga in Macedonia. Infine le sue forze sospinsero faticosamente i Greci verso il confine albanese, lungo il quale peraltro già si trovavano i Tedeschi risaliti dalla Tessaglia per i passi del Pindo (aprile 1941).
    Nel maggio 1941 il C. rientrava a Roma per esercitare anche di fatto la carica di capo di Stato Maggiore generale. Provocata una legge (27 giugno 1941) che gli dava poteri direttivi sui capi di Stato Maggiore delle tre forze armate, organizzò in modo ampio e razionale il nuovo comando supremo mirando a un’effettiva coordinazione interforze e a penetranti interventi in tutti i settori della nazione in guerra.
    La corretta valutazione dell’opera del C. non può prescindere da due circostanze determinanti: innanzi tutto, l’irreversibile preminenza del comando tedesco anche nel nostro teatro di guerra, alla quale era difficile opporsi; in secondo luogo l’invadenza di Mussolini alla quale il C. non pose neppure quei freni che la sua indubbia preparazione tecnica gli suggeriva.
    L’acquiescenza del C. a velleità mussoliniane (e non a richieste tedesche) costò all’Italia l’invio di crescenti forze in Russia con conseguenze non solo umane (la tragedia dell’Armir) ma anche strategiche.
    Le dieci divisioni inviate in Russia tra il 1941 e il 1942 assorbirono la quasi totalità delle nostre artiglierie moderne nonché oltre 16.000 automezzi, ossia più di quanti il C. stesso ne stimava indispensabili per la programmata motorizzazione dell’esercito africano. Vicenda tanto più grave se si considera che i maggiori armamenti destinati alla Russia furono accumulati proprio nel primo semestre del 1942, quando l’allentamento della pressione inglese sulle rotte mediterranee consentiva più larghi e sicuri invii oltremare.
    Nell’organizzazione dell’esercito il C. finì con l’avallare il desiderio mussoliniano di moltiplicare le divisioni. Gli smisurati programmi del 1941 (ottanta divisioni di cui ben sei corazzate) non si realizzeranno per la deficiente produzione bellica e il sopravvenire delle perdite.
    Tuttavia è certo che anche la loro semplice adozione ebbe effetti dispersivi contrastanti con la vera natura del problema militare italiano che, come il C. ben sapeva e affermava in vari documenti, avrebbe richiesto solo piccole forze altamente qualificate. Va invece ascritta a suo merito l’acuta percezione dei problemi della guerra mediterraneo-africana che era del tutto mancata al predecessore Badoglio.
    Il C. non tardò a capire che le brillanti qualità tattiche dimostrate da Rommel nel deserto sarebbero rimaste sterili fin quando non si fosse eliminata Malta, il principale ostacolo alle nostre comunicazioni marittime. Alla fine del 1941 diede perciò impulso alla preparazione di un assalto anfibio da sferrare nell’estate successiva. Per quanto sia vano ipotizzare l’esito di un’operazione rimasta poi solo sulla carta, è certo che a essa egli dedicò attività instancabile e professionalmente valida.
    Il disegno strategico del C. fu vanificato nel giugno 1942 quando Hitler, dopo la presa di Tobruk, decise l’inseguimento a fondo in Egitto, rinunciando all’attacco di Malta, che pure aveva approvato solo due mesi prima in un incontro al Berghof con Mussolini e Cavallero.
    Questi fu promosso maresciallo d’Italia il 1º luglio 1942 soprattutto per la necessità politica di equipararlo a Rommel, nominalmente suo subordinato. È tuttavia curioso che la promozione del C. coincida con l’accantonamento dei suoi piani. Nel luglio-agosto 1942 il definitivo arresto a El Alamein dell’avanzata Rommel, dovuto anche alla rinnovata capacità offensiva di Malta, sembrò dar ragione al C., sul quale gravava peraltro la già accennata responsabilità per l’imprevidente dispersione di mezzi in Russia. Nell’autunno 1942,con l’offensiva inglese a El Alamein e lo sbarco anglo-americano nell’Africa francese, inizia l’ultimo e più difficile periodo del comando Cavallero. Il maresciallo, impegnato nei complessi problemi dello sgombero della Libia e nell’audace improvvisazione di una testa di ponte in Tunisia, doveva anche difendere la sua posizione in patria. Uomini delle forze armate e del regime (soprattutto Ciano) vedevano in lui un pericoloso concorrente nei rivolgimenti politici che la crisi militare pareva rendere inevitabili e che la malattia di Mussolini (novembre 1942) fece per un momento sembrare anche più imminenti.
    Il 31 genn. 1943 il C. fu rimosso dalla carica e sostituito dal gen. Ambrosio. La sua caduta va principalmente addebitata al bisogno di Mussolini di trovare un capro espiatorio per i disastri militari (a quelli africani si aggiungeva la perdita dell’armata in Russia). Vi influirono però anche profonde correnti di ostilità che lo avevano sempre avversato nell’esercito e nel mondo politico. Nel luglio 1943 Badoglio, divenuto capo del governo, provvide subito, e senza precisi motivi, a far arrestare il C., che fu liberato per intervento del re. Il 23 agosto successivo Badoglio lo fece nuovamente arrestare imputandolo di un molto dubbio complotto. Tradotto al forte Boccea, il C. dettò al gen. Carboni, capo del Servizio informazioni militari, un documento (noto come “memoriale Cavallero”), nel quale rivendicava il merito di aver cospirato contro Mussolini fin dal novembre 1942 e quello di aver previsto il governo Badoglio. Tali affermazioni non salvarono certamente il loro autore agli occhi di Badoglio, ma lo compromisero di fronte ai tedeschi che sembra abbiano ritrovato il documento sul tavolo dello stesso Badoglio l’8 sett. 1943. La posizione del C. divenne difficile quando il maresciallo tedesco Kesseiring, suo amico personale, dopo averlo liberato, gli offrì il comando delle forze armate della nascente repubblica fascista.
    La mattina del 14 sett. 1943 il C. fu trovato ucciso da un colpo di pistola nel giardino dell’albergo Belvedere di Frascati, all’indomani di una cena e di un colloquio con Kesselring.
    È controverso se egli si sia tolta la vita o se i Tedeschi l’abbiano assassinato. È comunque certo che aveva espresso fermo proposito di rifiutare la collaborazione che gli veniva sollecitata.(fonte)

    [2]Alberto Baldini. Nato a Bologna il 9 ott. 1872, entrò nell’ottobre 1890 alla scuola militare di Modena, donde uscì sottotenente di artiglieria nel settembre 1893. Nel 1909 fu nominato titolare della cattedra di storia politica e militare moderna della stessa Scuola di Modena, dove insegnò fino al 1914. Raccolse le sue ricerche e le sue lezioni in una serie di monografie che pubblicò a Modena in quegli stessi anni (Le campagne del 1848 e 1849 in Italia, 1910La guerra franco-germanica del 1870-1871,1910; La guerra fra la Russia e il Giappone,1912).
    Promosso maggiore alla vigilia dell’entrata in guerra (1915), fu dapprima assegnato al Comando supremo, presso l’ufficio segreteria, dove diresse, fra l’altro, l’ufficio cifra e la sezione disciplina. Dal maggio 1916 al febbraio 1917 venne preposto alla sezione servizi del comando del IX Corpo d’armata, meritandosi un encomio solenne per l’opera svolta durante il ripiegamento dell’ottobre-novembre 1917.
    Di questa sua esperienza tecnico-logistica e della parte che ebbe nell’organizzare la manovra di ripiegamento della IV Armata dalle posizioni dei Cadore a quelle del Grappa e del Piave, il B. lasciò interessanti ricordi in uno studio pubblicato a Roma nel 1934, nella collana dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore: Con la quarta armata alla prima difesa del Grappa (nov. 1917). Note di guerra vissute dal gen. A. Baldini. In esso il B. mostrava come dopo Caporetto si trattasse di salvare le truppe che il nemico tendeva ridurre all’impotenza e di proteggerne la ritirata, ricostituendo su basi arretrate una nuova linea difensiva, mentre le difficoltà di mantenere il coordinamento fra i reparti e di reperire mezzi di trasporto sia per la ritirata sia per i rinforzi da convogliare al fronte, assorbivano tutte le energie del servizio logistico. Tali difficoltà si erano potute superare, secondo il B., soprattutto per lo spirito di resistenza e di sacrificio che animò i soldati italiani nel novembre del ’17: la resistenza sul Piave era stata possibile grazie a quella vasta manovra di ripiegamento durante la quale si erano palesati i più gravi problemi logistici della guerra moderna.
    Collocato in posizione ausiliaria speciale nel 1920, il B. fu posto in aspettativa per riduzione di quadri nel 1925. Monarchico di sentimenti moderatamente fascisti, fu richiamato in servizio pochi mesi dopo per assumere la carica di capo ufficio stampa del ministero della Guerra, che resse fino al 1926. Promosso generale di brigata nella posizione di aspettativa per riduzione di quadri, tenne, dal 1926 al 1939, la direzione della rivista Esercito e paese (poi La Nazione militare)Scrisse in quegli anni un breve profilo di Diaz (Firenze 1929) e uno studio su La guerra del 1848-49 per l’indipendenza d’Italia (Roma 1930).
    Raggiunse il grado di generale di divisione nell’ottobre 1934 e quello di generale di Corpo d’armata nel gennaio 1938. Critico militare del Giornale d’Italia, fu anche collaboratore per le scienze militari della Enciclopedia italiana. Dedicò gli ultimi anni della sua attività scientifica alla compilazione di testi e manuali d’insegnamento, tra i quali si ricordano Elementi di cultura militare per le scuole medie inferiori (Roma 1935), Nozioni di cultura militare (Roma 1935), Note di cultura militare (Roma 1937).
    Già collocato nella riserva, per limiti di età, nel 1934, fu posto in congedo assoluto nell’ottobre 1950.
    Morì a Roma il 22 genn. 1953.(fonte)

    [3]Amelio Dupont
    Cavaliere Ordine Militare d’Italia
    Tenente Colonnello di Stato Maggiore
    Data del conferimento: 17/05/1919 (fonte)

    La battaglia del Piave fu combattuta nel giugno del 1918 e rappresentò l’ultima offensiva dell’esercito austro-ungarico prima del definitivo successo italiano nell’ottobre-novembre successivi. Tra il 15 e il 22 giugno lo stato maggiore austriaco, pur consapevole delle difficoltà interne che stava vivendo l’impero, lanciò un’offensiva con l’obiettivo primario di varcare il fiume Piave e sfociare nella Pianura padana al fine di costringere il nemico alla resa. All’analisi delle operazioni di intelligence e a quelle militari che le seguirono, agli errori e alla sottovalutazione della capacità di reazione dell’esercito italiano e alle vicende drammatiche non solo nella zona del Piave ma anche in quella del Montello e del Monte Grappa, il colonnello Amelio Dupont dedicò nel 1928 questo saggio che ancora oggi merita un posto di rilievo nella memorialistica sulle grandi battaglie della Prima guerra mondiale. Accanto al quadro generale, l’autore dedica la giusta attenzione anche alle vicende dei singoli reggimenti e ai sacrifici di tanti ragazzi gettati nella mischia nemmeno ventenni: al lettore di oggi potranno apparire ridondanti i richiami alla retorica delle medaglie d’oro, allo spirito di corpo e a tutti gli episodi di eroismo individuale e di dedizione citati dall’autore e a cui la società del benessere ci ha resi inadeguati. Eppure in quei frangenti l’esercito italiano riuscì a mettere in campo, oltre ai mezzi bellici e a una oculata gestione di uomini e riserve, anche un’insperata concordia di obiettivi tra fronte interno e prima linea. Concordia che fece la differenza rispetto all’avversario. «Dite ai borghesi che tegnin dur lori che nualter non dem manc un pass indarè!», così le parole di un semplice fante, a metà tra leggenda e realtà. La battaglia del Piave fu vinta anche così.(fonte)

    [4]Amedeo Tosti da Pietracupa, il gigante della storiografia militare del XX secolo. Il molisano (Pietracupa 1888, Roma 1965) è stato fra i massimi cultori della storia militare del Novecento. Fu autore di numerose opere e collaborò con l’Enciclopedia Treccani. Scrisse per le case editrici Mondadori, Alpes, Bona, Faro, Rizzoli. Il suo pseudonimo era Historicus.
    Era molisano il maggiore storiografo italiano della prima metà del Novecento, vale a dire Amedeo Tosti, alias Historicus, nato a Pietracupa il 22 agosto 1888.
    Dopo aver conseguito tre lauree – in Giurisprudenza, in Lettere e in Scienze politiche –, Tosti partecipò alla Prima Guerra Mondiale quale ufficiale di complemento dell’arma di artiglieria, meritando quattro ricompense al valore e due promozioni per merito: Capitano e Maggiore. Dopo la fine del conflitto, fu segretario della Commissione per gli studi storici sulla guerra mondiale e, nel 1932, fu incaricato dell’insegnamento di storia militare presso l’Università di Roma.
    Il 24 giugno 1935, durante il periodo fascista, il “Sottosegretariato per la stampa e la propaganda” fu trasformato in Ministero per la stampa e la propaganda. All’interno della Direzione generale per la stampa di tale Ministero, venne creata la Divisione III, ossia la Divisione Libri, diretta proprio da Amedeo Tosti e il cui personale era formato da otto giornalisti per i libri italiani e trentadue per i libri stranieri. Il Ministero per la stampa e la propaganda sottrasse, in tal modo, la competenza al Ministero dell’Interno. Restò ai Prefetti, però, il compito di individuare i libri sospetti di contenere sentimenti antifascisti e di segnalarli, tramite il Ministero, alla Direzione Libri che decideva se censurarli, sequestrarli, proibirne la ristampa o richiederne la revisione.
    Come storiografo pubblicò numerose opere per alcune delle maggiori case editrici italiane (Mondadori, Alpes, Bona, Faro, Rizzoli e altre ancora) e collaborò con l’Enciclopedia Treccani. Importanti i suoi volumi sulla Grande Guerra, con particolare riferimento ai fatti salienti accaduti sul fronte trentino dove egli stesso fu presente come ufficiale dello stato maggiore. Trattò numerosi argomenti anche della Seconda Guerra Mondiale e delineò biografie di personaggi di rilievo (i duchi d’Aosta Emanuele Filiberto e Amedeo, il maresciallo Pecori-Giraldi, il maresciallo Mannerheim, il generale Pietro Badoglio). Si interessò, altresì, a varie tematiche di letteratura (poesia dialettale, l’opera di Ippolito Nievo, nemesi carducciana). Alcuni suoi libri sono firmati con lo pseudonimo Historicus, che non sta ad indicare “uno storico” bensì “lo storico”.
    Amedeo Tosti è morto a Roma il 22 gennaio 1965. Di Alessandra Gioielli(fonte)

    [5]Scipione Scipioni. (Citerna, 18 aprile 1867 – Roma, 28 ottobre 1940) è stato un militare italiano, generale di Corpo d’armata del Regio Esercito e senatore del Regno d’Italia.
    Figlio di Giuseppe ed Assunta Ragnini, il 2 febbraio 1886 si arruolò come soldato semplice volontario nella compagnia d’istruzione del 15º reggimento artiglieria con ferma stabilita per i sottufficiali. Qui fu rapidamente promosso caporale e quindi sergente. Con questo grado, fu trasferito al 17º reggimento artiglieria il 16 settembre 1887, dove il 31 marzo 1889 assunse l’incarico di furiere. (fonte)