CRONACA MARINA.
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La Rivista Marittima e il concorso che ha bandito. = La questione della
chiusura del Bosforo e dei Dardanelli secondo la nuova geografia marit=
timo-politica. = Ancora delle cannoniere fluviali. =
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Lodo, ogni volta che il destro me ne capita, la Rivista Marittima[1]. È
l’esponente della nostra cultura navale: ed è altissimo. I miei compa=
trioti leggono poco la Rivista Marittima. E hanno torto, perché è noto=
rio che provano una passione veemente per la politica estera di cui non
ignorano i più reconditi segreti, ma sdegnano tenersi al corrente della
condizione in cui versano le forze di terra e di mare, senza la perfezio=
ne delle quali non v’ha modo di acquistare riputazione, credito e l’
orecchio benevolo delle Cancellerie. Al qual proposito mi vietne a ta=
glio un aneddoto. Federico di Prussia[2], accomiatando un suo ministro che
andava a rappresentarlo a Londra, vuolsi dicesse: “ Non ho denari da
darvi perché teniate carrozza e cavalli; per conseguenza andrete a piedi
nelle vie di Londra. Se qualche altro ministro ne stupisse, non ve ne
crucciate; ma dite che dietro di voi camminano centomila prussiani ca=
pitanati dal vecchio Fritz.” Dal quale torno alla Rivista Marittima.
Essa ha bandito un concorso a premio sul tema seguente[3]:
A) – Requisiti desiderabili e possibili della nave di linea (“Battleship
più adatta alla marina italiana di fronte agli insegnamenti che possono
dedursi dalle più recenti risultanze pratiche e dai progressi della tec=
nica industriale.
B) – Esame critico degli ordini di marcia, delle manovre e delle forma=
zioni più convenienti per prendere il contatto tattico con un’armata
navale costituita con navi del tipo prescelto contro un presupposto av=
2
versario di forza equipollente.
Sono stati conferiti due premi; il primo al tenente di vascello Romeo Ber=
notti, il secondo al tenete di vascello Marco Viani.
Il Moniteur de la Flotte, in due numeri successivi, ha riassunto i
lavori, riproducendo anche i disegni che li decorano. Chi avrebbe mai cre=
duto che i giovani succhioni spendessero il loro tempo allo studio di sì
gravi problemi? Che il Bravetta[4], altro succhione, pubblicasse un leggia=
dro ed erudio volumetto sulle superstizioni della gente di mare? Tem=
pero la lode al Bravetta con una gocciolina d’amaro. Riferisce nel testo
ed in nota appiè di pagina, i luoghi ove ha tratto le peregrine notizie.
Fa per me un’eccezione, ma è lusinghiera. Riporta letteralmente una pagi=
na mia sulla Nave di Papà Lucerna[5] tratta dai Bozzetti di mare.
È segno che l’ha trovata insuperabile e, come Molière a detto: ”je prends
mon bien où je le trouve.”[6]
Mi occorre metter la pulce all’orecchio del mio confratello Domenico Oli
va[7]. La questione della chiusura del Bosforo e dei Dardanelli alle forze
navali cristiane è di sua pertinenza; ma v’è in essa un rilievo marittimo
da fare, e piglio licenza d’occuparmene.
Quando col trattato di Parigi del 16 aprile, ratificato il 27 dello
stesso mese dell’anno 1856[8], il Mar Nero fu dichiarato neutro, interdetto
alle navi da guerra di tutte le nazioni e libero alle commerciali, prati=
camente ciò significava che i Russi, unici ad avere un arsenale anzi due,
Nicolaief e Sebastopoli ( ma questo smantellato ) nel Mar Nero, non avrebbero
potuto scendere nell’Egeo con navi da guerra. Ma indinnanzi, si potrà
mantenere la medesima condizione a tre marine militari, che hanno naviglio
ed arsenali sul Mar Nero. Ohi come tre? Sicuro, V’è la marina rumena e
3
v’ è la bulgara. La rumena possiede sin dal 1887 l’incrociatore protetto
Elizabeta di 1320 tonnellate[9], la cannoniera Mircea di 360, il Grivitza di
100; due cannoniere di 45, e tre torpediniere di prima classe. Ma v’
è un programma votato dal Parlamento che dispone della costruzione di 8
monitors da 600 tonnellate ciascuno per il Danubio ( di cui 4 lavorati a Trieste son
stati compaginati a Galatz ) 12 torpediniere e 8 vedette anche per il Danubio;
ma contempla già di 6 incrociatori di 3500 tonnellate ciascuno, 4 cacciator=
pediniere di 300 tonnellate e 12 torpediniere, tutta roba da alto mare.
La marina del nuovo Zar di Bulgaria è anch’essa in via di aumento.
Alla Nadyezda di 715 tonnellate[10] e ai tre cacciatorpediniere di 26 nodi
già esistenti e costruite a Bordeaux, conviene aggiungerne altri tre com=
paginati a Varna e due cannoniere corazzate.
Non trattasi dunque di mettere un veto umiliante ad una nazione sola, ma
bensì a tre di cui due, giovani, audaci, e poco remissive, a quanto
sembra.
Ritorno alla marina fluviale onde m’occupai nell’ultima cronaca. Le
Yacht, giuntomi ora da Parigi, illustra un disegno tratto dall’Engeneering
e che riproduce l’effige di due cannoniere austro-ungariche per ser=
vizio sul Danubio, costrutte all’uopo in Inghilterra e che saranno spedite
di colà al Amburgo ove l’Ammiragliato austriaco le piglierà in consegna.
Hanno motrici Napier a benzina ( la Napier nazionalizzata italiana è la
San Giorgio[11] ) e correranno a 22 nodi. Lo scafo è in acciaio inperfora=
bile a palle di carabina Lee-Merford[12]; ma le motrici, gli schermi dei due
cannoni, i cassoni da benzina e il deposito di munizioni, sono protetti da
corazze di acciaio -Cromo.
Non faremo nulla noi per il Benaco, nulla per il Po, nulla per la laguna
veneta. In pieno carico la pescagione delle cannoniere di cui sopra è 81
centimetri. Servirebbero in Po ed in laguna egregiamente.
Constato intanto che l’Austria si è preparata all’ annessione della
Bosnia_Erzegovina, col mettere navi per il Danubio. La Bulgaria alla di=
chiarazione d’ indipendenza, col commettere navi da fiume e da mare. E la
Rumania col far votare un programma navale. per acquisto non proposito
Per opporci a codeste cose che facciamo?
Comizi, discorse, ed articolesse.
Jack la Bolina[13]
Carissimo Alberto, sono guarito e potrò
mettere in moto tra pochi giorni
preparo il chègne* per la fine di
questo momento triste. Mando
a Roma la presente scrittura
per non perder tempo
tuo aff.mo
Jack la B
Barone Alberto Lumbroso[14]
Direzione della
Rivista di Roma
Via Firenze
Roma
da Jack la Bolina
timbro POSTE ITALIANE Cent 15[15]
annullo FIRENZE 19 -10 -08 II 5 FERROVIA[16]
in prima pagina in alto nota a matita corpo 9
*in portoghese “Sia portato” o “arrivare”
Note
[1] La Rivista Marittima, pubblicazione mensile della Marina Militare italiana, è stata fondata dal Ministero della Marina nel 1868 e, come riportato nel primo articolo del suo Ordinamento del 1911, ancora in vigore, era stata “istituita per esercitare ed alimentare la cultura professionale del personale della Marina, è palestra di studi navali, tecnici e scientifici, per chiunque sia in grado e desideri contribuire con gli studi stessi all’interesse scientifico e allo sviluppo della Marina Militare e Mercantile“.
La Rivista Marittima dal 1868 ad oggi è sempre stata lo specchio della Marina Militare e il suo scopo attuale continua ad essere quello di promuovere e diffondere la cultura marittima all’interno e all’esterno della Marina Militare coinvolgendo il mondo accademico, scientifico, diplomatico e istituzionale tramite articoli di attualità, geopolitica, tecnico scientifici e di storia militare.
Dopo quasi 150 anni di storia della Rivista è infatti rimasta immutata per l’umanità e per il suo sviluppo sostenibile l’importanza fondamentale del mare, quale vettore principale della globalizzazione. L’Italia, in particolare, continua ad essere fortemente dipendente dal mare per l’approvvigionamento delle risorse energetiche e per lo scambio delle materie prime e dei prodotti finiti e nello stesso tempo la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo (a sua volta situato tra l’oceano Atlantico e l’Indiano) e i suoi 8.000 chilometri di coste fanno di essa un paese strategico dal punto economico-commerciale per l’intera Europa.
La Rivista Marittima è aperta a collaborazioni esterne con l’invio in redazione di articoli inediti e liberi da vincoli di copyright.(fonte)
[2] Federico II di Prussia, Figlio (Berlino 1712 – Castello di Sans-Souci 1786) di Federico Guglielmo I e di Sofia Dorotea di Hannover, fu educato, secondo precise disposizioni del padre, con la massima severità: accanto allo studio accurato della più recente storia europea e dell’economia politica, i più duri esercizî militari. Ma F., che manifestava in contrasto con le preferenze paterne un vivo interesse per le lettere e per la filosofia, seppe formarsi una cultura letteraria, grazie anche alla complicità del precettore, il calvinista francese Duhan de Jandun. L’insofferenza per la rozzezza e il formalismo militaresco dell’ambiente prussiano maturò, nel 1730, la decisione di F. di fuggire dal regno. Ma il tentativo fallì e fu occasione di ogni sorta di efferatezza da parte del padre che aveva temuto un complotto contro la sua persona: F. fu sottoposto a un processo davanti a un consiglio di guerra e rinchiuso nella fortezza di Küstrin. Quivi, uscito di prigione piegato alla volontà paterna, funse da uditore della Camera dei demanî, acquistando una diretta esperienza dei problemi amministrativi del regno, che finirono per interessarlo profondamente. Sposatosi nel 1733 con la principessa Elisabetta Cristina di Brunswick-Lüneburg-Bevern, da cui non ebbe eredi, e ritiratosi nel castello di Rheinsberg, ebbe nuovamente l’occasione di dedicarsi allo studio delle lettere, circondandosi di letterati e di pensatori, fautori delle nuove idee illuministiche. Ivi redasse anche le Considérations sur l’état présent du corps politique de l’Europe e L’Antimachiavel, dimostrando la sua spregiudicata conoscenza di problemi di cultura e di politica. Succeduto al padre il 31 maggio 1740, alla morte dell’imperatore Carlo VI seppe trar profitto dalla difficile posizione in cui era ridotta l’Austria in seguito alla contrastata successione di Maria Teresa per muoverle guerra con l’intento di entrare in possesso della Slesia. Dimostrandosi geniale condottiero, occupò Bre slavia il 3 genn. 1741 e conseguita la vittoria di Mollwitz (10 apr.), ottenne da Maria Teresa, stretta dai nemici da ogni parte, con la convenzione di Klein-Schnellendorf (9 ott.) la Bassa Slesia. Ripresa quindi la guerra, con il trattato di Breslavia (11 giugno 1742) ottenne anche l’Alta Slesia e la contea di Glatz. La morte di Carlo VII di Baviera e le mai sopite speranze di Maria Teresa di ricuperare la provincia perduta, spinsero F. nel 1745 a una nuova guerra contro l’Austria. Le vittorie prussiane di Hohenfriedberg, di Soor e di Hesselsdorf furono il preludio alla pace di Dresda del 25 dicembre: Maria Teresa confermò a F. il possesso della Slesia, mentre il re di Prussia riconobbe come imperatore il di lei marito, Francesco I. Intanto dava mano alla riorganizzazione dello stato secondo i criterî di un intelligente, positivo illuminismo e nello spirito del più rigido accentramento: costituì una forte e onesta magistratura per l’applicazione di un nuovo codice di procedura (1747) e di un codice civile (Corpus iuris fredericianum, 1745-51). Si interessò anche all’economia nazionale incoraggiando il commercio e l’industria (tessile principalmente), favorendo l’agricoltura con lavori di bonifica (la regione dell’Oder tra Swinemünde e Küstrin) e di colonizzazione. Ma l’alleanza fra Austria e Francia (trattato di Versailles, 1756), fino ad allora nemiche, convinse F., già alleato dal 16 genn. dello stesso anno all’Inghilterra, a prevenire il concentrico attacco asburgico-borbonico, sostenuto anche dalla Russia. Ebbe così inizio la guerra dei Sette anni. Costretta nel 1756 alla capitolazione la Sassonia che aveva rifiutato di allearsi con la Prussia, F. penetrò nella tarda primavera del 1757 in Boemia, giunse fino ad assediare Praga, ma la sconfitta, inflittagli dal Daun a Kolín il 18 giugno, lo obbligò a ritirarsi in Sassonia. Da lì, per impedire il congiungimento con gli Austriaci, si rivolse contro i Francesi battendoli il 5 nov. a Rossbach, quindi a marce forzate ritornò in Slesia, affrontò l’esercito austriaco due volte superiore e lo sconfisse a Leuthen (5 dic.). Ma la guerra non era ancora al suo termine. Nel 1758 i Russi, dopo aver occupato Königsberg e la Prussia Orientale, stavano per unirsi agli Austriaci: con la vittoria di Zondorf (25 ag.), F. impedì tale evento. Non così l’anno seguente. Battuto a Kunersdorf (12 ag. 1759), F. ebbe l’esercito disfatto, disperò definitivamente della sua sorte, e solo l’indecisione e il di saccordo degli avversarî lo salvarono dalla rovina. L’anno successivo Austriaci e Russi occuparono rispettivamente la Sassonia e il Brandeburgo, e per tre giorni la stessa Berlino. Malgrado la vittoria di F. a Torgau (3 nov. 1760), la situazione restava quasi insostenibile, quando sopravvenne la morte della zarina Elisabetta e l’ascesa al trono di Pietro III, grande ammiratore di F., che abbandonò l’Austria stringendo poco dopo un patto di alleanza con la Prussia, con la quale firmò la pace nel maggio 1762. Il 21 luglio 1762 F. batté ancora una volta gli Austriaci a Burkers dorf e meno di un anno dopo, il 15 genn. 1763, anche Maria Teresa si rassegnò a porre termine al conflitto con la pace di Hubertsburg. F. era salvo, la Slesia era rimasta alla Prussia. In questo lungo periodo di guerra, F. rivelò in pieno le sue qualità di organizzatore e di condottiero, per le quali occupa un posto preminente nella storia dell’arte militare. A capo di uno stato di soli due milioni e mezzo di abitanti e senza unità territoriale, F. seppe creare un esercito ben addestrato, fatto di milizie di leva obbligate al servizio, ma rafforzate col mercenariato. Alleggerì le ordinanze della cavalleria, aumentò la proporzione dei cannoni leggeri dell’artiglieria, curò la manovrabilità della fanteria, sì da poter formare la linea di battaglia in qualunque direzione. F. riprese dal magistero del Montecuccoli il principio della “battaglia di ala”, cioè dell’azione frontale, ma pronta a farsi avvolgente, contro un’ala avversaria, derivandone la tattica dell’ordine obliquo. Praticò in strategia l’offensiva anche quando la guerra ebbe scopi politici difensivi, paralizzando così le mosse del nemico; e per aumentare il raggio d’azione della sua manovra strategica nel campo dei servizî logistici, ridusse i magazzini fissi a soli depositi di farina, incaricati di rifornire i forni di campagna mobili. Nella seconda campagna della guerra dei Sette anni (dal 1757 in poi) si delineò perfetta l’attuazione della manovra per linee interne, che doveva costituire il suo capolavoro, frutto dei numerosi accorgimenti logistici, organici e tattici. Dalla guerra dei Sette anni F. era uscito con il paese prostrato. Con nuova genialità seppe promuovere l’opera di ricostruzione; favorì l’agricoltura e l’industria, riprese la colonizzazione e la bonifica delle regioni depresse. Non trascurò tuttavia di salvaguardare il prestigio e la posizione di rilievo che aveva procurato in Germania e in Europa al suo regno a prezzo dei sacrifici sopportati durante la guerra dei Sette anni. Estese ancora il suo dominio alla Prussia occidentale in virtù della prima spartizione della Polonia (1772), e sui principati di Ansbach e di Bayreuth in seguito alla guerra di successione di Baviera (pace di Teschen, 1779). Sospettoso dell’Austria, promosse nel 1785 una lega dei principi tedeschi (Fürstenbund) per costituire un contrappeso alla politica di Giuseppe II nell’Impero. Né fu solo uomo politico e grande condottiero di eserciti, ma anche generoso sebbene incostante protettore di artisti, filosofi, letterati. Ammiratore di Voltaire, intrecciò con lui una fitta corrispondenza, e lo volle con sé a Berlino nel triennio 1750-53: dopo questo soggiorno, tuttavia, i loro rapporti si guastarono. Cultore della musica, fu valente flautista e anche compositore. Abbellì Berlino e Potsdam di chiese, palazzi, castelli e altri edifici. Fu raccoglitore assiduo di opere d’arte prevalentemente francesi e rispondenti al gusto del lieto e del piacevole, che poi confluirono nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino.(fonte)
[3] IL CONCORSO VINTO DA ROMEO BERNOTTI Tra le iniziative promozionali portate avanti dalla Rivista nel periodo in esame, va ricordato il concorso bandito nel gennaio del 1907 per la trattazione dei seguenti profili tecnici:
1) requisiti desiderabili e possibili della nave di linea battleship più adatta alla Marina italiana di fronte agli insegnamenti che possono dedursi dalle più recenti risultanze pratiche e dai progressi della tecnica industriale;
2) esame critico degli ordini di marcia, delle manovre e delle for-mazioni più convenienti per prendere il contatto tattico con un’armata navale costituita con navi del tipo prescelto contro un presupposto avversario di forza equipollente.
La Commissione incaricata di valutare gli elaborati presentati al concorso, nel marzo del 1908, conferì il primo premio al Tenente di vascello Romeo Bernotti e il secondo al parigrado Marco Viani con i lavori dei vincitori pubblicati poi nel supplemento del mese di giugno dello stesso anno. Il Bernotti nelle sue Memorie si soffermerà ovviamente su tale episodio, ricordando che il suo studio «ispirato al concetto di frenare la corsa verso i grandi dislocamenti, proponeva una nave armata di otto cannoni da 305 mm, 8 da 152 e 12 da 76 con due tubi di lancio subacqueo laterali, una velocità di 12 nodi ed un disloca-mento di 16mila t.». Un saggio dunque molto originale che, nelle sue 77 pagi-ne, esprime il punto di vista contrario alla tendenza generale — «assiomatica» dirà l’autore — col successo della dreadnought nelle diverse marine del mondo. Il Bernotti, infatti, vuole rivalutare la funzione delle medie artiglierie «in vista anche della difesa contro le torpediniere e le siluranti» e, soprattutto, invoca la protezione subacquea dell’unità, com’egli afferma con piglio profetico, «per te-ner conto dell’azione dei sottomarini in una prossima guerra».(fonte)
[4] Ettore Bravetta. Nato ad Alessandria l’11 ag. 1862 da Ferdinando e da Amelia Gallinotti, entrò nel 1876 nella Scuola di marina di Genova e fu nominato guardiamarina nel 1881. Con il grado di tenente di vascello, egli venne incaricato (1889-1891) dell’insegnamento di navigazione piana e di armi portatili nell’Accademia navale; ebbe poi una lunga serie di imbarchi su torpediniere, tra il 1894 ed il 1897. Come capitano di corvetta comandò (1899-1901) il balipedio di Viareggio; da capitano di fregata fu relatore (1903-1904) della commissione permanente per gli esperimenti del materiale da guerra.
Il B. si era formato una vasta cultura teorica e pratica, nel campo delle armi navali, specialmente dedicandosi alla balistica esterna e interna, alle teorie degli esplosivi, agli studi sui proiettili, le corazze, la costruzione delle artiglierie, gli affusti. Come relatore della commissione, diresse con successo gli studi sperimentali sul caricamento dei proiettili con alti esplosivi e sulla perforazione delle piastre di corazzatura delle navi.
Dopo essere stato vicedirettore di artiglieria ed armamento del 3º dipartimento marittimo (1905-1906), il B. nel 1911, col grado di capitano di vascello, era collocato a riposo a domanda per un’infermità dovuta a cause di servizio (diminuzione della capacità uditiva). Promosso contrammiraglio nella riserva nel 1916, divenne animiraglio di divisione nel 1923.
Grande ufficiale della Corona d’Italia, ufficiale dell’Ordine mauriziano, medaglia d’oro di prima classe per l’incremento delle scienze navali, il B. morì a Torino il 26 marzo 1932.
In correlazione con la sua attività e alta competenza di tecnico delle armi, il B. redasse anche una serie di saggi, tra i quali si ricordano: Memoria sulla balistite, con un’appendice sulle formule dei Guevara e dei Mata, Roma 1901; Artiglierie navali: proietti a cappuccio, erosioni, turavento, Città di Castello 1904; Determinazione delle costanti teoriche della balistite, ibid. 1904: I fenomeni sonori prodotti dai proietti in moto e la utilizzazione di essi per la misura della velocità, ibid. 1904; Origine e progressi delle corazze, per navi, Roma 1910; L’erosione delle artiglierie, cause e rimedi, ibid. 1911; Note sul caricamento dei proietti con alti esplosivi, ibid. 1911; I supercalibri dal punto di vista della costruzione, ibid. 1912; Le polveri senza fumo e la nitrocellulosa, ibid. 1912; Artiglierie navali e corazze nel 1912, ibid. 1913; Circa lo scoppio di alcuni cannoni di grosso calibro, ibid. 1913; Cannoni e corazze nel 1913, ibid. 1914; Navi,artiglierie, corazze, ibid. 1914.
Dotato di una notevole cultura, il B. fu anche autore di scritti illustrativi e storiconarrativi, che miravano alla diffusione, durante e dopo la prima guerra mondiale, dei problemi e delle possibilità della marina militare e dell’artiglieria. Si ricordano: La geografia strategica e marittima e la difesa costiera, Roma 1910; Il mortaio da 420 MM e l‘artiglieria terrestre nella guerra europea, Milano 1915; Alcune manifestazioni del potere marittimo, ibid. 1915; Sottomarini,sommergibili e torpedini, ibid. 1917; Macchine infernali,siluri e lancia–siluri, ibid. 1917; L‘insidia sottornarina e come fu debellata, ibid. 1919; L‘artiglieria e le sue meraviglie (dalle origini fino ai nostri giorni), ibid. 1919; Le audaci imprese dei M.A.S., ibid. 1919. Particolare rilievo hanno le due opere storiche del B., la Grande guerra sul mare (2 voll., Milano 1925) e la biografia su Nelson (ibid. 1931). Quest’ultimo, ancor oggi lo studio italiano più vasto, al possesso della storiografia specialmente anglosassone unisce originali ricerche d’archivio e presenta un’ampia bibliografia. Si può ricordare infine, del B., un’attività di pubblicista e saggista di letteratura marinaresca.(fonte)
[5] A sentire i vecchi naviganti, l’isola Palmaria, quel piccolo frammento di terra e roccia che sembra staccato a viva forza dal promontorio di ponente del Golfo della Spezia, non è nata da un complesso succedersi di eventi geologici. E’ lì per l’abilità, il vigore, l’ostinazione dell’impagabile Papà Lucerna.
La storia di questo personaggio e stata definita “una variante ligure alla leggenda nordica del Vascello fantasma” anche Papà Lucerna in effetti viaggiava su uno scafo che non approdava mai in nessun porto, destinato a navigare, apparendo e sparendo inopinatamente, sino alla fine del mondo. Ma, ecco la differenza fondamentale, l’incontro con il suo veliero preannunciava una felice navigazione anziché, come per il Vascello fantasma, uragani naufragi e morte. Del tenebroso Olandese volante, dunque, Papà Lucerna rappresenta non una variante, ma la perfetta antitesi, in chiave solare, pittoresca, ricca di risvolti arguti.
La storia della Palmaria é assolutamente in linea con questi sorridenti umori. Papà Lucerna, di gracilissima costituzione, poco dopo la nascita era stato abbandonato dalla madre, che considerava una vergogna familiare un figlio così patito e mingherlino. Fu raccolto da una parente la quale adottò, per irrobustirlo, l’originale sistema di tenerlo appeso al soffitto perché il fumo e l’a- ria calda lo temprassero. La cura funzionò tanto che il ragazzo, acquisito un fisico da atleta, fu riammesso in famiglia, dove ritrovò i suoi quattro fratelli maggiori. Costoro, peraltro, non lo vedevano troppo volentieri; e sempre più lo maltrattavano, man mano che Lucerna dimostrava di essere in tutto migliore di loro. Egli inventava, ad esempio, nuovi apparecchi per pescare, con i quali rimediava notevoli bottini, facendo morire di invidia fratelli. I quali, comunque, non dovevano essere proprio delle aquile: il fatto delle nasse, quello che fece traboccare il vaso dei loro rapporti, la dice lunga in proposito.(fonte)
[6] ”je prends mon bien où je le trouve.”
“Prendo la mia proprietà dove la trovo ” è un detto di Molière. Tuttavia, il detto originale include riprendere invece di prendere ; quindi, il detto è in realtà ” riprendo la mia proprietà dove l’ho trovata “. che significa “mi avventa su ciò che è mio, ovunque lo trovi”.
Molière, il cui vero nome era Jean Baptiste Poquelin, era un attore e drammaturgo francese nato a Parigi il 15 gennaio 1622. Molte delle sue opere teatrali e le sue capacità di recitazione potevano essere viste al Palais Royal di Parigi. Morì nel 1673.(fonte)
[7] Domenico Oliva (Torino, 1º giugno 1860 – Genova, 28 aprile 1917) è stato un giornalista, politico e critico letterario italiano.
La sua famiglia ha origini napoletane. Si laurea in giurisprudenza all’Università di Parma, poi esercita l’avvocatura a Milano.
Nel capoluogo meneghino frequenta anche l’ambiente letterario. Nel 1888 è accolto al Corriere della Sera come critico letterario e commentatore politico. Nel 1890 collabora con Marco Praga alla stesura del libretto di Manon Lescaut per Puccini, in seguito terminato da Luigi Illica.
Nel 1897 si candida al Parlamento per la Destra, risultando eletto a Parma. Le sue Lettere di un giovane deputato vengono pubblicate sul settimanale a grande diffusione L’Illustrazione Italiana. L’anno seguente è il successore di Torelli Viollier alla direzione del Corriere, ma rimane stabilmente a Roma, preferendo seguire da vicino i lavori parlamentari. Nell’anno 1900 perde sia la carica di direttore, sia quella di deputato.
Grazie ai contatti con i politici Antonio Salandra e Sidney Sonnino, entra fin dal primo numero al quotidiano Giornale d’Italia, fondato nella capitale nel 1901. Oliva svolge mansioni di editorialista nonché di critico teatrale e letterario. Tiene una propria rubrica, «Note letterarie», dal 1901 al 1913.
Nel 1910 è tra i fondatori dell’Associazione Nazionalista Italiana. Nel 1913 lascia il Giornale d’Italia, in disaccordo con la linea neutralista decisa dagli editori, e passa a L’Idea Nazionale, organo dell’Associazione Nazionalista. Nel 1915 ne diventa direttore.
La morte lo coglie all’improvviso all’età di 57 anni.(fonte)
[8] Il trattato di Parigi fu un accordo di pace firmato il 30 marzo 1856 nella capitale francese dalle nazioni che parteciparono alla guerra di Crimea. Tale conflitto aveva visto una vittoria militare di Francia, Regno Unito, Impero ottomano e Regno di Sardegna ai danni della Russia e un momentaneo successo politico, conseguito senza il ricorso alle armi, dell’Impero austriaco.
Il trattato di Parigi fu il testo conclusivo delle decisioni prese dal Congresso di Parigi e dispose l’autonomia dei principati danubiani, la smilitarizzazione del Mar Nero (e delle isole russe delle Åland), la cessione russa della Bessarabia meridionale alla Moldavia, la salvaguardia dei sudditi cristiani dell’Impero ottomano, nonché la regolamentazione della navigazione sul Danubio.(fonte)
[9] Lo NMS Elisabeta fu un incrociatore protetto della Marina militare romena, unico della sua classe, costruito nel Regno Unito ed entrato in servizio nel 1888. Dopo vari servizi di rappresentanza in giro per il mondo, l’incrociatore servì operativamente durante la seconda guerra balcanica ma all’inizio della prima guerra mondiale, ormai obsoleto, fu disarmato e relegato a compiti secondari; lo scafo fu poi avviato alla demolizione nel 1926.(fonte)
[10] Nadezhda ( in bulgaro : Надежда ) era una cannoniera siluro del XX secolodella Bulgaria , la più grande nave da guerra mai posseduta dalla Marina reale bulgara . Era spesso indicato come incrociatore dai suoi proprietari bulgari, una designazione che potrebbe non essere troppo inverosimile, considerando che c’erano in effetti piccoli incrociatori aerosiluranti in servizio con le marine europee dell’epoca, come l’italiano Folgore -classe.(fonte)
[11] Il San Giorgio fu un incrociatore corazzato della Regia Marina che partecipò prima alla guerra italo-turca e successivamente, alla prima e alla seconda guerra mondiale e nel ruolo di nave ammiraglia, alla guerra civile spagnola.
La nave fu progettata dall’Ispettore generale del Genio navale Edoardo Masdea come perfezionamento degli incrociatori corazzati classe Pisa, nell’ambito del programma italiano di ampliamento della flotta della Regia Marina.
All’epoca dell’entrata in servizio era un’imbarcazione moderna e potentemente corazzata, con lo scafo in acciaio cementato ad elevata resistenza a quattro ponti: il ponte di coperta, il ponte di batteria, il ponte di corridoio e il ponte paraschegge. La protezione era assicurata da una cintura corazzata da 203 mm, oltre che dal ponte paraschegge e rivestimenti protettivi sui ponti superiori, che presentavano un rivestimento protettivo in grado di fornire una tra le migliori protezioni dell’epoca. L’armamento era costituito da quattro cannoni da 254/45 mm in due torri binate, otto cannoni da 190/45 Mod. 1908 in quattro torri binate, diciotto cannoni singoli da 76/40 Mod. 1916 R.M., due cannoni singoli da 47/50, due mitragliatrici Colt-Browning M1895 da 6,5 mm e da tre tubi lanciasiluri da 450 mm; le mitragliatrici Colt-Browning M1895 vennero camerate per la cartuccia d’ordinanza 6,5 × 52 mm Mannlicher-Carcano, e convertite per il raffreddamento ad acqua, con l’installazione di uno stretto manicotto d’ottone intorno alla canna.
L’apparato motore era costituito da due motrici alternative verticali a triplice espansione, alimentate da 14 caldaie tipo Blechynden a combustione mista con una potenza di 18.000CV su due assi, che consentivano all’unità una velocità che alle prove risultò di 23 nodi, raggiunta con un dislocamento di 9760 tonnellate e 146 giri alle due eliche.
La nave, impostata sugli scali del cantiere navale di Castellammare di Stabia il 4 luglio 1905, e varata nel 1908, venne consegnata il 1º luglio 1910. Dopo il varo, e al termine dell’allestimento, la nave venne attraccata a Pozzuoli al pontile dell’Armstrong, dove i tecnici completarono l’installazione dei nuovi e complessi meccanismi elettrici e di puntamento. Primo comandante del “San Giorgio”, designato fin dal 1 settembre 1908 con la nave ancora in costruzione, fu il capitano di vascello Guglielmo Capomazza di Campolattaro, che come contrammiraglio, dal 24 maggio 1915 al 18 ottobre 1915, avrebbe ricoperto la carica di aiutante di campo di Vittorio Emanuele III presso il Quartier Generale del Re a Villa Linussa di Martignacco e avrebbe terminato la sua carriera nella Regia Marina con il grado di viceammiraglio.
La nave, dopo aver preso parte alle grandi esercitazioni nel Mediterraneo del 1910, durante le quali fu scelta come Nave Bandiera dal Capo di Stato Maggiore della Marina Viceammiraglio Giovanni Bettolo, ricevette la bandiera di combattimento a Genova, città di cui San Giorgio è simbolo pur non essendone il Patrono, il 4 marzo 1911 dalla Duchessa di Genova, moglie di S.A.R. Tommaso di Savoia Duca di Genova. Il motto della nave, “Tutor et ultor“, venne poi cambiato in “Protector et vindicator” nel corso del primo conflitto mondiale.(fonte)
[12] Il Lee-Metford fu il primo fucile a otturatore girevole-scorrevole utilizzato dal British Army. Il suo nome deriva da quello dei due ingegneri che lo misero a punto. Venne prodotto dall’Arsenale reale di Enfield dal 1884 al 1896, ma venne adottato dall’esercito inglese nel 1889 che lo utilizzò però in prima linea solo per breve tempo, sostituendolo nel 1895 col migliore Lee-Enfield, che aveva il meccanismo praticamente identico, ma adottava una canna con una nuova rigatura più adatta alle munizioni con polvere senza fumo. Restò in uso comunque, soprattutto nelle colonie fino al 1926, e fu l’arma principale, usata dall’esercito britannico durante buona parte della Seconda Guerra Boera (1899-1902).(fonte)
[13] Augusto Vittorio Vècchi, Ufficiale di marina e scrittore di cose marinare, noto con lo pseudonimo di Jack La Bolina (Marsiglia 1842 – Forte dei Marmi 1932). Fu redattore, fra l’altro, del Caffaro e del Fanfulla, e pubblicò numerosi libri di divulgazione, di memoria e d’invenzione, i più dedicati ai ragazzi: ai quali, con stile semplice e vivace, cercò d’ispirare l’amore per l’avventura, per il rischio e soprattutto per la navigazione. Si ricordano: Bozzetti di mare (1874); Memorie di un luogotenente di vascello (1897); Storia generale della marina militare (1897); La marina contemporanea (1899); Vita di bordo (1914); La guerra sul mare (1915); Storia del mare (1923); Al servizio del mare italiano (1928); Cacce su terra e su mare (post., 1933).(fonte)
[14] Alberto Emanuele Lumbroso Nacque a Torino il 1o ott. 1872, in una famiglia israelita, unico figlio di Giacomo e di Maria Esmeralda Todros, di nazionalità francese.
Il nonno paterno, Abramo, protomedico del bey di Tunisi, aveva ottenuto nel 1866 da Vittorio Emanuele II il titolo di barone per meriti scientifici e per speciali benemerenze. Il padre del L., Giacomo, era nato a Bardo, in Tunisia, nel 1844. Ellenista e papirologo di fama internazionale, dal 1874 socio della Deutsche Akademie der Wissenschaften, influenzò fortemente l’educazione e la formazione intellettuale del Lumbroso. Trasferitosi a Roma intorno al 1877, divenne accademico dei Lincei (1878) e pubblicò la sua opera principale, L’Egitto al tempo dei Greci e dei Romani (Roma 1882), ottenendo nello stesso 1882 la cattedra di storia antica all’Università di Palermo. Con il medesimo insegnamento, nel 1884, si trasferì a Pisa, quindi, nel 1887, nuovamente a Roma dove insegnò storia moderna alla “Sapienza” (vedi le Lezioni universitarie su Cola di Rienzo, ibid. 1891). Giacomo morì a Rapallo nel 1925.
I trasferimenti del padre lasciarono notevoli tracce nella formazione del giovane L.; tra le sue prime esperienze romane si ricordano la frequentazione delle case di T. Mamiani e di Q. Sella, dove divenne amico di S. Giacomelli, nipote di questo; in Sicilia rimase affascinato da G. Pitrè e, nell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari da lui diretto, pubblicò nel 1896 il suo primo articolo.
Nel periodo pisano il L. continuò con successo gli studi e sviluppò una notevole passione per la cultura erudita, collezionando autografi, raccogliendo motti, proverbi e notizie folkloristiche, sempre in perfetta sintonia con il padre. Tornato a Roma si diplomò al liceo classico E.Q. Visconti, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e si appassionò al periodo napoleonico, laureandosi, intorno al 1894, con una tesi su Napoleone I e l’Inghilterra (poi rielaborata e pubblicata in volume: Napoleone I e l’Inghilterra. Saggio sulle origini del blocco continentale e sulle sue conseguenze economiche, Roma 1897). Gli studi napoleonici occuparono interamente il L. fra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento. La frequentazione di ambienti intellettuali ed eruditi italiani (soprattutto romani, torinesi e, più tardi, napoletani) e francesi, l’assoluta familiarità con la lingua della madre e lo sviluppo di un talento compilativo dimostrato fin dalla prima giovinezza portarono il L. alla realizzazione di un gran numero di pubblicazioni.
Tra il 1894 e il 1895 uscirono i cinque volumi del Saggio di una bibliografia ragionata per servire alla storia dell’epoca napoleonica (Modena), circa mille pagine dedicate alle lettere “da A a Bernays” (l’opera resterà incompiuta) e tra il 1895 e il 1898 le sei serie della Miscellanea napoleonica (Roma-Modena), altra cospicua opera erudita di oltre millecinquecento pagine che raccoglieva memoriali, lettere, canzoni, accadimenti notevoli e minuti forniti da studiosi europei e introdotti dal L.; nella Bibliografia dell’età del Risorgimento V.E. Giuntella li definì “saggi bibliografici che, sebbene arretrati, possono ancora essere utilmente consultati” (I, Firenze 1971, p. 405).
L’interesse per il periodo napoleonico portò il L. a Napoli, in cerca di notizie e documenti su Gioacchino Murat. Suo interlocutore privilegiato in quella città fu B. Croce: il L. frequentò la casa del filosofo negli ultimi anni del secolo e i rapporti epistolari tra i due si protrassero a lungo.
I maggiori lavori napoletani del L. furono la Correspondance de Joachim Murat, chasseur à cheval, général, maréchal d’Empire, grand-duc de Clèves et de Berg (julliet 1791 – julliet 1808 [sic]), (prefaz. di H. Houssaves, Turin 1899 e L’agonia di un Regno: Gioacchino Murat al Pizzo (1815), I, L’addio a Napoli, prefaz. di G. Mazzatinti, Roma-Bologna 1904.
Alla fine del secolo il L. fu organizzatore e presidente operativo del Comitato internazionale per il centenario della battaglia di Marengo (14 giugno 1800-1900): chiamò alla presidenza onoraria G. Larroumet, professore della Sorbona e accademico di Francia, ottenendo la partecipazione onoraria di noti intellettuali tra cui G. Carducci, B. Croce, G. Mazzatinti, C. Segre, A. Sorel, le cui lettere di adesione furono via via pubblicate nel Bulletin mensuel du Comité international; nel 1903, accompagnato da una lettera-prefazione di Larroumet, fu edito il primo tomo, poi rimasto senza seguito, dei Mélanges Marengo (s.l. [ma Frascati] né d.).
Ancora una volta il L. usa uno stile cronachistico, cerca e pubblica ogni genere di fonte, prediligendo quelle dirette. A tale scopo rintraccia figli e nipoti dei personaggi che descrive; caso emblematico quello dei “Napoleonidi”: e infatti, grazie ai suoi lavori e alle sue frequentazioni parigine, divenne “Bibliothécaire honoraire de S.A.I. le prince Napoléon” [Vittorio Napoleone]; pubblicò poi Napoleone II, studi e ricerche. Ritratti, fac-simili di autografi e vari scritti editi ed inediti sul duca di Reichstadt (Roma 1902), Bibliografia ragionata per servire alla storia di Napoleone II, re di Roma, duca di Reichstadt (ibid. 1905) e – più tardi – redasse le voci su Napoleone I e i Napoleonidi per il Grande Dizionario enciclopedico UTET (1937, VII, pp. 1100-1150). A coronamento dei suoi interessi per i Bonaparte, nel 1901 il L. fondò e diresse la Revue napoléonienne, bimestrale (ma, dal 1908, mensile) che uscì fino al 1913, coinvolgendo nell’iniziativa un gran numero di studiosi italiani e francesi.
L’interesse per la cultura d’Oltralpe lo portò a pubblicare anche lavori su Voltaire (Voltairiana inedita, Roma 1901), Stendhal (Stendhaliana: da Enrico Beyle a Gioacchino Rossini, Pinerolo 1902) e soprattutto Maupassant (Souvenirs sur Guy de Maupassant: sa dernière maladie, sa mort. Avec des lettres inédites communiquées par madame Laure de Maupassant et des notes recueillies parmi les amis et les médecins de l’écrivain, Genève-Rome 1905), scritto durante un lungo soggiorno parigino.
Nel 1898 il L. era intanto diventato consigliere della Società bibliografica italiana e probabilmente nel contesto culturale della Società conobbe Carducci, cui dedicò, postuma, una Miscellanea carducciana (con prefaz. di B. Croce, Bologna 1911), raccolta di notizie critiche, biografiche e bibliografiche sul poeta.
Nel 1897 aveva sposato Natalia Besso, dall’unione con la quale nacquero Maria Letizia (1898) e Ortensia (1901). Nel 1901 l’intera famiglia abbracciò la religione cattolica. Nel 1904 il L. donò la sua ricca biblioteca napoleonica (circa trentamila volumi e opuscoli) alla Biblioteca nazionale di Torino, da poco distrutta in un incendio. Nel 1907 assunse, con A.J. Rusconi, la direzione della Rivista di Roma e, a partire dal 1909, ne divenne direttore unico.
La direzione della Rivista rappresentò una svolta nei suoi interessi e nei suoi studi, che da internazionali ed eruditi divennero più “patriottici”, legati a eventi del Risorgimento e della storia italiana (in particolare il L. sì appassionò alla riabilitazione dell’ammiraglio C. Pellion di Persano e, oltre agli articoli apparsi nella Rivista, sull’argomento pubblicò La battaglia di Lissa nella storia e nella leggenda: la verità sulla campagna navale del 1866 desunta da nuovi documenti e testimonianze, Roma 1910, seguita da ulteriori approfondimenti, tra cui Il carteggio di un vinto, ibid. 1917). Tra coloro chiamati dal L. a collaborare alla Rivista – che dal primo momento egli volle “crispina, salandrina e antigiolittiana” e, dopo la guerra, “antibonomiana e antinittiana” (Premessa, s. 3, XXXII [1928], 1) – D. Oliva, E. Corradini, L. Ferderzoni, A. Dudan.
Dal 1909 G. D’Annunzio collaborò alla Rivista di Roma. Il contatto diretto portò in breve tempo il L., inizialmente piuttosto critico nei confronti del poeta (si veda del L. Plagi, imitazioni e traduzioni, in Id., Scaramucce e avvisaglie. Saggi storici e letterari di un bibliofilo(, Frascati 1902, pubblicazione che Croce aveva particolarmente apprezzato), a divenirne ammiratore e paladino, fino a entrare in forte polemica sia con lo stesso Croce sia con G.A. Borgese; nel 1913, nel cinquantesimo anniversario di D’Annunzio, volle dedicargli l’intero n. 6 della Rivista; nello stesso anno il L. fu attivo nel Comitato pro Dalmazia italiana e, nel 1914, diede vita a un Comitato pro Polonia del quale offrì la presidenza onoraria al poeta.
Approssimandosi la guerra, la Rivista di Roma svolse campagne in favore dell’intervento e, nel 1915, lo stesso L. partì volontario col grado di sottotenente. Promosso tenente, dal 1916 al 1918 fu addetto militare aggiunto presso l’ambasciata italiana ad Atene e, al termine del conflitto, fu insignito del cavalierato nell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per benemerenze acquisite in guerra.
Nel 1924, ormai di fatto separato dalla moglie, il L. si trasferì a Genova dove riprese la pubblicazione della Rivista di Roma, sospesa nel biennio 1922-23, che diresse fino al 1932. A Genova ebbe due figli, Emanuele e Maria Tornaghi, nati nel 1918 e nel 1919 da Adriana Tornaghi, con la quale aveva a lungo convissuto.
Dopo la morte del padre, il L. ne pubblicò la bibliografia (in Raccolta di scritti in onore di Giacomo Lumbroso, Milano 1925); fin dal 1923 aveva collaborato con Critica fascista, e nel 1929 inviò suoi libri a B. Mussolini e chiese l’iscrizione al Partito nazionale fascista. I lavori più consistenti del L. negli anni Venti e Trenta furono dedicati principalmente alla Grande Guerra e a personaggi della casa reale.
Bibliografia ragionata della guerra delle nazioni: numeri 1-1000 (scritti anteriori al 1 marzo 1916), Roma 1920; Le origini economiche e diplomatiche della guerra mondiale, dal trattato di Francoforte a quello di Versailles, I-II, Milano 1926-28; Carteggi imperiali e reali: 1870-1918. Come sovrani e uomini di Stato stranieri passarono da un sincero pacifismo al convincimento della guerra inevitabile, ibid. 1931; Cinque capi nella tormenta e dopo: Cadorna, Diaz, Emanuele Filiberto, Giardino, Thaon di Revel visti da vicino, ibid. 1932; Da Adua alla Bainsizza a Vittorio Veneto: documenti inediti, polemiche, spunti critici, Genova 1932; Fame usurpate: il dramma del comando unico interalleato, Milano 1934.
Fra gli ultimi volumi pubblicati dal L. si ricordano ancora: Carlo Alberto re di Sardegna. Memorie inedite del 1848, con uno studio sulla campagna del 1848 e con un’appendice di documenti inediti o sconosciuti tradotti sugli autografi francesi del re da Carlo Promis (s.l. 1935) nonché, per i “Quaderni di cultura sabauda”, I duchi di Genova dal 1822 ad oggi (Ferdinando, Tommaso, Ferdinando-Umberto), ed Elena di Montenegro regina d’Italia (entrambi Firenze 1934).
Grazie al suo prestigio personale e all’adesione al cattolicesimo risalente al 1901, i Lumbroso furono discriminati dall’applicazione delle leggi razziali del 1938, ma il L. non pubblicò più. Il L. morì a Santa Margherita Ligure l’8 maggio 1942.(fonte)
[15] Francobollo – 1906 Italia Regno Michetti cent. 15 grigio nero. Il Michetti a destra è una tipologia di francobollo emesso dalle poste del Regno d’Italia a partire dal 20 marzo 1906 come emissione ordinaria. I tipi prodotti furono quattro, tutti ricavati da un bozzetto disegnato dal pittore Francesco Paolo Michetti che raffigura l’effigie di Vittorio Emanuele III rivolta verso destra e che ha originato il nome con cui i francobolli sono noti. Ebbero validità fino al 6 aprile 1924.(fonte)
[16] Nel 1876 iniziò la sperimentazione di una macchina bollatrice delle Officine Dani di Firenze che imprimeva simultaneamente in un solo colpa un numerale posto tra due gruppi di tre linee orizzontali sul francobollo, ed a fianco un datario a cerchio grande. A Firenze vennero anche effettuati test con altri tipi di numerali, non abbinati però solidamente al datario.
Superata questa nuova fase di sperimentazione, si decise di adottare il c.d. “numerale a sbarre” abbinato ad un nuovo tipo di datario a cerchio grande. Ai nuovi uffici si continuò ad attribuire nuovi numeri, fino al 4473.
Cerchio grande tipo “italiano”. Entrò in uso dal 1877, contemporaneamente ai numerali a sbarre che accompagnava per indicare località di partenza e data. In combinazione ai numerali di norma non è apposto sul francobollo, mentre lo si riscontra di solito come annullatore unico nelle circolari a stampa. Diametro 26-27 mm.
Esistono vari sotto-tipi, i principali sono caratterizzati dall’assenza o presenza della stelletta in basso al centro. Nella parte bassa si trova anche, se necessaria, l’indicazione della succursale. In un secondo tempo (dal 1887), vennero anche forniti cerchi grandi con l’indicazione in basso della provincia.
In molti uffici rimasero in uso come unico annullatore dopo la sparizione dei numerali, talora fino agli anni ’10 (in qualche caso all’inizio degli anni’20).
Numerale a punti. In uso dal 1 maggio 1866 (in alcuni uffici minori da aprile) al 1877, poi sostituito dal numerale a sbarre. Ispirato agli annulli in uso in altri paesi, come l’Inghilterra, al fine di lasciare una traccia più pesante sui francobolli e scoraggiare così il riutilizzo. Contestualmente venne fornito un inchiostro di “migliore qualità”.
Recava il numero distintivo dell’ufficio postale. Utilizzato come annullatore abbinato ai datari di tipo “doppio cerchio” o “cerchio piccolo”.
Il sistema di annullamento prevedeva che quindi una doppia bollatura di ogni missiva: il datario a doppio cerchio e cerchio semplice venisse apposto sulla busta in modo da essere interamente leggibile, mentre il numerale doveva annullare pesantemente l’affrancatura.
Bolli di foggia analoga ai numerali a punti ma con lettere o numeri romani furono utilizzati per uffici di tipo particolare (posta militare della terza guerra d’indipendenza e della presa di Roma, ufficio postale di San Marino).(fonte)