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Ricci. G.I.L. Aragona, 1938

    Renato Ricci. Casa della GIL, Aragona, 1938
    b
    « di 2 »

    Comando Federale G.I.L. Agrigento

    15 210/ 15-10-38

    Si approva il contratto
    di appalto stipulato con
    la ditta Tantaleme Al=
    fonso per l’esecuzione
    dei lavori di riparazione
    nei locali della
    casa della G.I.L. di Aragona

    Il G. di S. M

    Ricci[1]

    Casa G.I.L.[2]
    Agrigento

    2-11-38 -XVI

    retro

    14.350,73
              4,2
    __________

      2870146
    5740292
    __________
    60273,066

    14.350,73
           602,73
    __________
    13.748,00


    Note

    [1] Renato Ricci. – Nacque a Carrara il 1° giugno 1896 da Ernesto e da Emma Checchi, in un contesto umile.

    Il padre faceva il cavatore (per la precisione il riquadratore) nelle miniere di Carlo Fabbricotti, uno dei più grandi ‘baroni’ del marmo, in condizioni di lavoro durissime e con salari minimi. La difficile esperienza in miniera aveva creato nella famiglia Ricci un sentimento di solidarietà per la classe operaia e di ostilità verso il mondo degli industriali. Ciononostante queste tendenze non si concretizzarono mai in un’adesione politica a ideali socialisti o anarchici: il nonno di Ricci era infatti garibaldino e monarchico, ed educò il figlio nel culto degli ideali patriottici, che Ernesto trasmise a Renato.

    Avviato dal padre con molti sacrifici agli studi di ragioneria, il giovane Renato Ricci si arruolò volontario il 14 luglio 1915, meritandosi, come tenente dei Bersaglieri e degli Arditi, due medaglie di bronzo al valor militare e una Croce al merito di guerra.

    Terminato il conflitto, Ricci si persuase, come tanti altri, del mito della ‘vittoria mutilata’. Prese parte all’impresa di Fiume, conquistandosi la stima di Gabriele D’Annunzio. L’incontro con il ‘Vate’ fu importante per Ricci: l’esperienza al seguito del ‘poeta soldato’, con i suoi miti e liturgie eroiche, aveva accentuato la sua propensione verso l’attivismo e il rischio della dannunziana ‘bella morte’, come ideale di vita quotidiana al servizio della patria, da contrapporre alla ‘mollezza’ borghese dell’Italia liberale.

    Congedato dopo la conclusione dell’esperienza fiumana, colmo di disprezzo per il ‘vile’ governo liberale che l’aveva soffocata, Ricci, ebbro di nostalgia per gli anni intensi appena trascorsi, faticava a reinserirsi nel grigiore della vita normale. Assisteva inoltre con sgomento alla crisi italiana del primo dopoguerra, persuadendosi che potesse avere come possibile esito una rivoluzione socialista. Lo sbocco di Ricci in un fascismo che nel 1920-21 si era già messo al servizio degli interessi della grande borghesia industriale e agraria, oltre che dei miti revanscisti della piccola borghesia, fu la naturale conseguenza dei suoi stati d’animo.

    Pochi mesi dopo la sua iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF), fondò il fascio di Carrara, città con una importante tradizione sindacale, anarchica e socialista.

    Il fascismo carrarese agì, anche con la violenza squadrista, da ‘guardia bianca’ della borghesia industriale locale nel quadro della grande offensiva agrario-industriale del 1920-21, ma non solo: riuscì ad attrarre nelle sue fila la piccola e media borghesia commercial-impiegatizia e anche aliquote non irrilevanti di lavoratori del marmo.

    Nel luglio del 1921 Ricci rimase coinvolto nei sanguinosi fatti di Sarzana, caso raro di reazione vittoriosa allo squadrismo. Nel 1923 sposò Maria Figala, figlia di un industriale del marmo. Da questa unione nacque Giulio (1926-2008).

    Sempre nel 1923 diventò alto commissario politico del PNF per la Lunigiana e console generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN).

    Era in atto uno scontro tra normalizzatori e intransigenti, con il proliferare del dissidentismo fascista, che spesso tuttavia nasceva da una lotta per il potere tra i fascisti più in vista, che se lo contendevano anche con le maniere forti.

    Episodio indicativo di questo clima fu l’offensiva ricciana contro il sindaco fascista di Carrara Bernardo Pocherra, insofferente alle sue continue ingerenze. Pocherra fu costretto a dimettersi per disciplina di partito. In quel periodo sorsero anche contrasti con i baroni del marmo, che mal vedevano la sua decisione di fissare un listino unico per i prezzi del marmo e di aumentare del 10% le paghe degli operai.

    Ricci era ormai il ras di Carrara, come Roberto Farinacci a Cremona, Italo Balbo a Ferrara, Mario Giampaoli a Milano, Cesare Maria De Vecchi a Torino, Dino Perrone Compagni a Firenze.

    Nel 1924 divenne deputato del Regno e commissario per l’Ente Portuale di Carrara.

    Dopo il delitto Matteotti (1924) il sindacalismo fascista attuò una strategia fatta di scioperi e rivendicazioni sindacali, cercando di evitare il riflusso a sinistra di masse popolari faticosamente strappate alle loro tradizionali organizzazioni socialiste e cattoliche. In questo quadro Ricci e il fascismo carrarese promossero, alla fine del 1924, un grande sciopero degli operai del marmo contro il rifiuto di alcuni industriali (in primis Fabbricotti) di migliorare le condizioni salariali dei lavoratori. Si ebbero momenti di grande tensione nei quasi cinquanta giorni dell’agitazione. Benito Mussolini (estremamente bisognoso in quel momento, dopo la crisi Matteotti, dell’appoggio del mondo moderato-conservatore) diede però ragione agli industriali. Lo sciopero si risolse con modestissime concessioni.

    Nel 1925 Ricci fu nominato vicesegretario del PNF, carica che ricoprì fino al 1929, salvo una breve parentesi tra il giugno 1925 e il marzo 1926. Nel 1925 fu anche commissario straordinario di Parma e Trieste, chiuse il fascio di Parma e fece espellere Luigi Lusignani; nel 1926 pose il console della MVSN, Raoul Forti, a capo del fascio parmense.

    Verso la fine degli anni Venti l’industria del marmo apuana fu colpita da una grave crisi, tanto che l’associazione degli industriali (con l’eccezione di Fabbricotti) richiese l’intervento del governo. Nacque così alla fine del 1927 il Consorzio per l’industria ed il commercio dei marmi di Carrara, con a capo Ricci.

    La nascita del consorzio segnò la fine della libertà di iniziativa incondizionata dei singoli industriali. Esso era l’unico legittimato alla trattazione di affari, allo stabilimento dei livelli di produzione e alla formazione dei prezzi. La vita del consorzio fu sin dall’inizio agitata, a causa dell’opposizione degli industriali, che gli addebitavano una crisi di cui erano quantomeno corresponsabili, e dell’arrivo della grande tempesta finanziaria del 1929, che avrebbe completamente arrestato l’esportazione del marmo. Alla fine prevalsero le istanze degli industriali per un allontanamento di Ricci, che avvenne alla fine del 1929. Il consorzio fu affidato a un commissario straordinario e fu poi sciolto nel febbraio del 1930. Una sconfitta per Ricci, ma una vittoria di Pirro per i principali gruppi marmiferi carraresi che nel 1935, travolti da debiti e ipoteche, subirono una vera e propria espropriazione: la Banca nazionale del lavoro mandò all’asta le loro proprietà che furono acquistate dalla Montecatini. Lo stesso Fabbricotti dopo aver rifiutato di vendere le sue proprietà alla Montecatini per 65.000.000, se le vide acquistare all’asta dalla stessa Montecatini, per 9.796.042 lire.

    Al periodo del consorzio risale anche l’estrazione, la lavorazione, il trasporto e l’innalzamento dell’obelisco Mussolini del Foro italico, idea di Ricci, immortalato in un documentario dell’Istituto Luce.

    Ricci, gerarca trentenne, aveva sempre avuto grande interesse e attenzione verso il mondo dei giovani: nel 1924 il PNF lo incaricò di «studiare il problema della educazione fisica e morale della gioventù in rapporto a quanto in tale campo si faceva in tutti gli altri paesi» (R. Ricci, Memoriale di Procida, manoscritto cit. in Setta, 1986).

    Già presidente delle Avanguardie giovanili fasciste nel 1925, nel 1927 divenne presidente della costituenda Opera nazionale balilla (ONB).

    L’ONB nasceva con il fine di «preparare i giovani fisicamente e moralmente, in guisa da renderli degni della nuova norma di vita italiana» (ibid.)Si trattò di un gigantesco esperimento di irreggimentazione della gioventù che nel tentativo di creazione dell’‘uomo nuovo fascista’ doveva provvedere a: «a) infondere nei giovani il sentimento della disciplina e della educazione militare; b) alla istruzione premilitare; c) alla istruzione ginnico sportiva; d) alla educazione spirituale e culturale; e) alla istruzione professionale e tecnica; f) alla educazione ed assistenza religiosa» (Regolamento tecnico-disciplinare per l’esecuzione della legge 3 aprile 1926, approvato con r.d. 9 gennaio 1927)Il tutto per più di tre milioni di iscritti.

    Ricci assunse gli architetti Enrico Del Debbio e Luigi Moretti all’ufficio tecnico della ONB e disseminò l’Italia di Case del Balilla e di centri sportivi. I giovani italiani subivano una incessante propaganda e irreggimentazione, ma scoprivano anche lo sport e la cura del proprio corpo.

    L’ONB si trasformò in Gioventù italiana del littorio (GIL) nel 1937, passando sotto il diretto controllo del PNF e di Achille Starace. Ricci, privato della sua ‘creatura’, venne ricompensato con un posto da sottosegretario al ministero delle Corporazioni, un ambiente non certo a lui congeniale per indole e formazione. Nel 1939 arrivò la nomina a ministro delle Corporazioni all’interno del gabinetto Ciano, formato da ministri vicini al genero di Mussolini, Galeazzo Ciano.

    La scelta di Ricci, non proprio un economista, per un dicastero economico così importante fu dovuta al fatto che Mussolini voleva preparare l’Italia a una guerra che riteneva inevitabile: mettendo un fedele esecutore e ‘mastino’ a capo del ministero, che non lo avrebbe certo infastidito con inconcludenti teorizzazioni, sarebbe riuscito a bloccare il dibattito sul corporativismo.

    Ricci svolse da ministro un lavoro di routine: per Sandro Setta (1986) «non rimane traccia, negli oltre tre anni di permanenza di Ricci a capo del Ministero delle Corporazioni, di una sua particolare impostazione della problematica economico-produttiva» (p. 201).

    Ricci, come Mussolini, nutrì sentimenti contrastanti riguardo ai tedeschi, di cui ammirava organizzazione ed efficienza, ma di cui temeva le mire egemoniche sull’Europa. Ebbe rapporti con Heinrich Himmler e con Baldur von Schirach, capo della gioventù hitleriana. All’inizio contrario all’intervento a fianco del Reich, si allineò su posizioni interventiste influenzato dal carisma di Mussolini, quando quest’ultimo decise per l’entrata in guerra.

    Unico vero volontario fra i gerarchi mobilitati da Mussolini per la campagna di Grecia nel gennaio del 1941, si rese presto conto delle drammatiche carenze materiali e organizzative in cui si dibatteva l’esercito italiano, ma senza che questo lo portasse a un tentativo di riflessione sul vero, primo responsabile di quel disastro, il fascismo stesso. Ricci credette infatti fino all’ultimo nel mito di Mussolini avvicinandosi sempre più (in particolare nel 1942-43) all’alleato tedesco, che vedeva ormai come unico garante della vittoria finale. Con la visita di Himmler a Roma, nell’ottobre del 1942, i tedeschi presero contatti confidenziali con fascisti di sicura fede sul ‘che fare’ nel caso di una scomparsa dalla scena di Mussolini. Tra quei fascisti vi era Renato Ricci.

    Il crollo del fascismo, il 25 luglio 1943, colse Ricci di sorpresa: come altri gerarchi cercò rifugio e protezione in Germania, dove suo figlio, adolescente, fu curato dal medico di Hitler, Theodor Morell.

    La reazione tedesca all’armistizio italiano (8 settembre) fu la costituzione di un governo fascista provvisorio composto da gerarchi esuli. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre Ricci, Alessandro Pavolini e Vittorio Mussolini diressero un appello agli italiani da una stazione radio organizzata sul treno speciale di Hitler. Con la liberazione di Mussolini, Ricci fu messo da quest’ultimo a capo della ricostituita MVSN. Testardo sostenitore della necessità di un esercito politicizzato per la Repubblica sociale italiana (RSI), dopo un lungo braccio di ferro con Rodolfo Graziani, sostenitore della tesi opposta, ebbe il comando della costituenda Guardia nazionale repubblicana (GNR), dove confluì la MVSN.

    La GNR si rivelò un ibrido tra carabinieri e volontari fascisti, privo di una coesione e di una efficacia reali. A causa di contrasti con i tedeschi che gli lesinavano mezzi e provocavano il suo orgoglio di nazionalista con requisizioni e soprusi contro i militi della GNR, Ricci venne destituito da Mussolini nell’agosto del 1944 conservando però la carica di presidente della ricostituita ONB fino alla fine della guerra. La sua GNR confluì nell’esercito di Graziani.

    Nei giorni convulsi della Liberazione abbandonò Milano poco dopo Mussolini, riuscendo a nascondersi. Venne riconosciuto e arrestato tra il 24 e il 26 giugno 1945. Processato con vari capi di imputazione, beneficiò della ‘amnistia Togliatti’ (22 giugno 1946) e uscì dal carcere nel 1950. Si occupò di affari con la Germania e fu vicepresidente dell’Associazione combattenti della RSI.

    Morì a Roma per un tumore al fegato il 22 gennaio 1956.(fonte)

    [2] La Gioventù italiana del Littorio (GIL) era un’organizzazione giovanile fascista. Fu l’ultima organizzazione giovanile del Partito Nazionale Fascista.
    Fu istituita il 27 ottobre 1937 con il R.D.L. n. 1839  dalle ceneri dei Fasci giovanili di combattimento (18-21 anni), con lo scopo di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani fondata sui principi dell’ideologia del regime. In essa confluì anche l’Opera nazionale balilla, creata per i giovani di ambo i sessi dai 6 ai 18 anni, e tutte le organizzazioni che ad essa facevano capo, alle dirette dipendenze della segreteria nazionale del PNF. Nel 1939 fu fondata la Gioventù italiana del Littorio all’estero (GILE). Sciolta dopo il 25 luglio 1943 con il R.D.L. 2 agosto 1943 n. 704 che ne passò le competenze al ministero dell’educazione nazionale, con decreto del Capo del governo del 6 maggio 1944 venne nominato un commissario per la rinominata “Gioventù italiana” (GI), il cui fine era provvedere alla conservazione e amministrazione temporanea del patrimonio dell’ex GIL.(fonte)