Non ho bisogno di sperare per intraprendere ne di riuscire per preservare.
Guglielmo il Taciturno
Piroscafo “SICILIA”
IL COMANDANTE MILITARE
7 Sett. 36 Barcellona.
Casa Maria Vittoria. Il “Giussa-
no”[1] parte stanotte per Napoli e ne approfitto
per scrivere anche a te. Qui le cose vanno malis=
simo tutti i giorni ci sono fucilazioni. Ma se tor_
neremo, forse giovedì prossimo portando 4 o 500 mo-
nache spagnole. Dovevamo imbarcare anche un migliaio
di frati ma all’ultimo momento i “rossi” hanno ri=
tirato il permesso perché gli hanno messi nell’alter-
nativa di arruolarsi nell’esercito rosso o di morire fu-
cilati! [2] Qui ci sono sei neri italiani e due tedeschi che
stanno in rada e non hanno comunicazioni con
la terra, uno pare inglese ed una francese che stanno
in porto perché sono nelle grazie dei “Rossi”. Nessu-
no può scendere a terra quindi è proprio come se si fos-
se in navigazione. Anche qui però c’è la comunicazione
che i falangisti del generale Franco[3] finiranno col vin-
cere e i rossi avranno la peggio.
Spagna! Pensare che degli Italiani la invidiavano per-
ché era riuscita a non fare la guerra mondiale! –
Ma occupiamoci di Te. Dunque ti dirò che fui
molto contento che quel pomeriggio tu venissi con noi
a Rapallo in modo che si potè stare un po’ insieme
e scambiarsi qualche idea. Ho un bel cercare di convi-
cermi che i giovani devono stare fra loro e i vecchi da se,
soffro di questa quasi completa separazione che a casa c’è
fra me e voi e penso con tristezza che mano a mano
che il tempo passerà, sotto questo punto di vista le cose
peggioreranno piuttosto che migliorare e mi farebbe molto
piacere che di tanto in tanto mi dedicate una mez-
z’ora confidandovi con voi in modo da trattarmi
come il vostro migliore amico ( e unico amico che pensa
Sempre a voi, che vi vuole bene senza nessun interesse egoisti=
co, che vi può consigliare ed è pronto anche a sacrificarsi
per voi) e in modo che io possa mantenermi al corrente
dei mutamenti che avvengono nel vostro carattere. Tu
poi che sei la maggiore, forse perché ti ho seguito di più durante
la tua infanzia, e perché mi sei stata lontano per due anni mi
interessi anche più degli altri- Mi è sembrato di notare dai
discorsi che facevi sugli uomini in generale che tu stavi di-
ventando un po’ scettica – Ti sei fatta un’opinone piu-
tosto mediocre di chi ti circonda e su questa ti basi
per stabilire una tua linea di condotta. . Per questa gente, colpe-
do i unici difetti sono anche troppo buono! Questo è il tuo
ragionamento ed è sbagliato. Pur troppo non credo che tu abbia
avuto molta fortuna nelle tue amicizie ma questo è dipeso anche
un po’ da te che non cercato sempre piuttosto di divertirti che
di lavorare seriamente, e fra la gente che si diverte non si posso-
no trovare che mezzi caratteri e mezza coscienza- Avrei piacere che
tu rimanessi giovane con la tua volontà ed i tuoi entusiasmi, giu-
dicando col tuo cervello (che è sano) e non accontentandoti di fa-
re quello che fanno gli altri- Ciò che ci rende possibile la vita
è un ideale, da perseguire. Senza un ideale molto elevato che
ci obbliga a fatiche e sacrifizi al quale si deve tendere per tutta
la vita senza raggiungerlo mai, l’esistenza diventa impossibile.
Lo scettico, che non crede in niente e che segue la corrente di con-
dizioni che lo circondano è un debole e un deficiente, che può ap-
pena servire come impasto nelle mani del costrutto. I costruttori
sono invece gli entusiasti che vedono chiaro lo scopo da rag-
giungere. Tu sei intelligente e di carattere forte (anche troppo!)
non ti fare impegolare dalla “serva calca”. Pensa alla Patria, alla
Famiglia all’umanità lavoro e sacrificati se occorre, subordinando
a questo tuo ideale tutte le tue azioni e le tue idee. Potrai fare
moltissimo bene attorno a te plasmando la gente più malleabile che
ti sta attorno, e che non riesce a pensare con la propria testa, e ne avrai
un intima soddisfazione che ti renderà interessante l’esistenza – Medita
su quella sentenza che ti ho scritto in principio del foglio- Addio a presto voglimi bene pensa
a me e tanti baci da papà[4].
Sg na Maria Vittoria Fedeli
Corso Rainusso 10
Santa Margherita Ligure
Timbro PIROSCAFO POSTALE ITALIANO
CENT. 50 POSTE ITALIANE
Piroscafo “SICILIA”[5]
IL COMANDANTE MILITARE Timbro S. MARGHERITA LIGURE GENOVA 10 9 36-6
Note
[1] L’Alberto di Giussano fu un incrociatore leggero, primo della sua classe della Regia Marina, battezzato in onore di Alberto da Giussano, il cavaliere che secondo la leggenda guidò la difesa del Carroccio nella battaglia di Legnano.
La pianificazione militare della Regia Marina d’anteguerra aveva preso a confronto soprattutto la marina militare francese (dove molte unità erano costruite tenendo conto della velocità come fattore fondamentale) e si basava sul presupposto, teoricamente corretto ma in pratica superato dai fatti, che un’elevata velocità fungeva da protezione contro i siluri e le motosiluranti e permetteva agli incrociatori di attaccare in condizioni di superiorità e fuggire in condizioni di inferiorità (anche perché nella prima guerra mondiale sovente piccole squadre veloci della flotta austro-ungarica erano riuscite a sottrarsi agli scontri, o a bombardare le coste adriatiche prima dell’arrivo della flotta italiana). La minaccia rappresentata dalle mine e dai sommergibili venne invece sottovalutata, malgrado le lezioni della prima guerra mondiale in Adriatico.
Come tutte le unità della sua classe ed i successivi Diaz, era molto veloce ma praticamente priva di corazzature e protezioni (tra i 20 e i 40 mm, con alcune aree pressoché scoperte), tanto che persino i proiettili da 102 e 120 mm dei cacciatorpediniere britannici potevano perforarne lo scafo anche a distanze di tiro normali. Inoltre questa scarsa corazzatura era mal posizionata, essendo più estesa e pesante nel torrione (dove risiedevano gli organi di controllo del tiro) invece che attorno ai motori: questi erano infatti la parte più “pregiata” ed importante della nave, che doveva contare sulla velocità per rompere il contatto contro forze superiori. Per questo motivo le prime due classi dei Condottieri furono variamente detti “cartoni animati”, “incrociatori di carta” o “incrociatori di carta velina”. Carente era anche la protezione subacquea in confronto alle unità impostate dalla Regia Marina negli anni successivi. Buono (per l’epoca) risultava invece l’armamento, che però allo scoppio della guerra era divenuto insufficiente nel ruolo antiaereo, visto il rapidissimo sviluppo dell’aviazione nella seconda metà degli anni ’30 e negli anni ’40.
L’unità venne impostata nel 1928 e varata il 27 aprile 1930.
Negli anni trenta l’incrociatore partecipò alle normali attività in tempo di pace della flotta come unità del 2º Squadrone, inclusi servizi connessi alla guerra civile spagnola. Il 10 giugno 1940 insieme al 1º Squadrone fece parte della IV Divisione Incrociatori e partecipò in luglio alla battaglia di Punta Stilo, nel corso della quale lanciò un idrovolante IMAM Ro.43 per la ricognizione. Eseguì poi una sortita per deporre mine al largo di Pantelleria in agosto e per il resto dell’anno agì come copertura a distanza per convogli truppe e rifornimenti diretti in nord Africa.
Il 9 dicembre 1941, al comando del capitano di vascello Giovanni Marabotto, lasciò il porto di Palermo insieme alla nave gemella Alberico da Barbiano per trasportare rifornimenti urgenti di carburante per aerei a Tripoli. Tuttavia l’ammiraglio Toscano, comandante della IV Divisione, ritenendo, dopo l’avvistamento da parte della ricognizione aerea britannica, che la sorpresa (indispensabile per la riuscita della missione) fosse ormai sfumata, ordinò il rientro.
Il 12 dicembre, tuttavia, essendoci in Libia un disperato bisogno del carburante, i due incrociatori dovettero ripartire. Vennero intercettati al largo di Capo Bon e affondati dai quattro cacciatorpediniere nemici (i britannici Sikh, Legion e Maori e l’olandese Hr. Ms. Isaac Sweers) della 4th Destroyer Flotilla della Royal Navy: il Di Giussano reagì sparando tre salve, ma fu poi colpito da almeno due siluri del Maori (che ne aveva lanciati sei) e da colpi d’artiglieria; alcune tubazioni scoppiarono, ustionando i macchinisti e bloccando l’elica sinistra. L’incendio si sviluppò in maniera meno rapida e violenta che sul Da Barbiano, ma la nave, immobilizzata ed in fiamme, dovette essere abbandonata e affondò, spezzandosi in due, alle 4.20 del 13 dicembre.
Morirono 283 uomini dei 520 che componevano l’equipaggio. Da una testimonianza di un marinaio a bordo risulta che dopo essere colpita la nave si incendiò immediatamente e lo sversamento del carburante estese l’incendio nella zona di mare circostante. Alcuni marinai morirono tra le fiamme, mentre altri furono dispersi in mare.(fonte)
[2] La guerra civile spagnola (in spagnolo Guerra civil española, nota in Italia anche come guerra di Spagna) fu un conflitto armato nato in conseguenza al colpo di Stato militare del 17 luglio 1936, che vide contrapposte le forze nazionaliste guidate da una giunta militare, contro le forze del legittimo governo della Repubblica Spagnola, sostenuta dal Fronte popolare, una coalizione di partiti democratici che aveva vinto le elezioni nel febbraio precedente. Obbedendo a un piano prestabilito, la guarnigione militare di stanza nel Marocco spagnolo si era ribellata al governo della Repubblica, e nei tre giorni successivi un gran numero di unità militari al comando di cospiratori si sollevarono anche sul territorio metropolitano, cercando di assumere il controllo di più vaste aree del paese e di saldarsi le une con le altre.
Il capo del governo, Santiago Casares Quiroga, incapace di trovare una soluzione alla crisi, si dimise due giorni dopo l’inizio del colpo di Stato a favore di Diego Martínez Barrio. Questi, messosi in contatto con il generale Emilio Mola, il principale artefice del golpe, fu informato dallo stesso che i cospiratori non intendevano neppure parlare di una soluzione pacifica, manifestando così la volontà di dare inizio a una spietata guerra civile se il golpe non avesse avuto pieno successo. Martínez Barrio si dimise quello stesso 20 luglio, ma il colpo di Stato non ebbe l’esito sperato; Madrid, Barcellona, Bilbao, Valencia e Malaga, nonché le aree più industrializzate e ricche della Spagna, i Paesi Baschi, la Catalogna e le Asturie, rimasero sotto controllo delle forze fedeli al governo, mentre le forze nazionaliste controllavano le zone rurali della Castiglia, le zone montuose della Navarra e gran parte dell’Andalusia con la sua capitale Siviglia, unica grande città nelle mani degli insorti grazie all’azione del generale Gonzalo Queipo de Llano. Il nuovo governo di José Giral decise così di distribuire le armi al popolo, che in diverse località combatté efficacemente contro gli insorti, mentre sotto il profilo militare la sollevazione (alzamiento nel lessico militare spagnolo) delle forze nazionaliste presentava molte problematiche legate al mancato appoggio di buona parte dell’esercito metropolitano, che continuò a rimanere fedele alla Repubblica, privando i ribelli della superiorità numerica che avrebbe loro consentito di avere ragione delle forze popolari.
Sulla carta dunque si trovarono contrapposte forze più o meno della stessa proporzione, tuttavia i nazionalisti potevano contare sulla decisiva totalità dell’Armata d’Africa, il fulcro dell’esercito spagnolo, integrata dalle Fuerzas Regulares Indígenas marocchine comandate da ufficiali spagnoli, gli africanistas, tra i quali emerse rapidamente il generale Francisco Franco. L’armata stanziata in Africa ebbe bisogno di alcune settimane per trasferirsi sul territorio spagnolo, tempo in cui le forze repubblicane poterono coordinarsi e rinforzarsi; in tal modo l’alzamiento si trasformò in una logorante guerra civile che sconvolse il paese per quasi tre anni, fino al marzo 1939, quando Francisco Franco – che nel frattempo assunse la guida politica e militare di tutte le forze nazionaliste – entrò nella capitale Madrid, sancendo la fine della guerra civile e dando inizio a una repressione politica che si protrarrà per molti anni.
La fine del conflitto sancì contemporaneamente l’inizio della lunga dittatura oppressiva di stampo fascista del generale Franco, che durò fino al 1975, terminando con l’avvio della transizione democratica. Nella Spagna franchista i sindacati furono messi fuori legge; venne attuata una divisione classista dove braccianti e operai furono mantenuti in condizioni miserevoli a favore dei ricchi possidenti terrieri e dei dirigenti d’industria; gli scioperi furono vietati; migliaia di repubblicani furono imprigionati e costretti ai lavori forzati, mentre nelle campagne il regime di Franco si impegnò a restaurare la struttura sociale tipica dell’ancien régime, dove il potere era in mano all’aristocrazia terriera e alla Chiesa cattolica. A livello internazionale la guerra civile spagnola riuscì a catalizzare le simpatie della sinistra e della destra in Europa e nelle Americhe, nonostante la storia della Spagna fosse rimasta costantemente slegata da quella del continente nei secoli precedenti, per poi tornare una nazione periferica e isolata per tutta la durata del regime franchista. Dal 1936 al 1939 però la Spagna divenne il simbolo di una lotta globale dove da una parte vi era la sinistra e la giustizia sociale, e dall’altro lo schieramento della reazione, ispirato dalla Chiesa cattolica, dalle forze monarchiche e di destra, che si opponevano alle riforme sociali.
Questo conflitto coinvolse vecchie e nuove potenze internazionali, soprattutto Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Sovietica, che direttamente o indirettamente si confrontarono nelle vicende spagnole, sia a livello diplomatico, sia con un sostegno concreto in uomini e armi alle due fazioni. Nonostante la politica di appeasement proposta da Regno Unito e Francia, che si proponeva di evitare qualsiasi ingerenza nel conflitto – ma che di fatto favorì le forze nazionaliste – le altre tre potenze fornirono grossi quantitativi di armi e uomini alle parti in lotta: l’Italia fascista e la Germania nazista ebbero un peso determinante a favore della causa nazionalista, mentre l’Unione Sovietica si impegnò a fornire armi alla Repubblica. Allo stesso tempo migliaia di volontari spinti dagli ideali di libertà e democrazia si recarono a combattere in Spagna nelle file dei repubblicani, dando vita alle Brigate internazionali, che comprendevano uomini di circa cinquanta nazionalità diverse, i quali diedero un importante contributo militare e morale alle forze armate repubblicane, ottenendo allo stesso tempo risalto internazionale, dovuto alla militanza e all’appoggio dato loro da decine di intellettuali antifascisti.(fonte)
[3] Franco Bahamonde, Francisco, detto il Caudillo. Generale e uomo politico spagnolo (El Ferrol 1892 – Madrid 1975). Ufficiale, si distinse in Marocco nella riconquista di Melilla (1921), poi a capo del Tercio Estranjero, guadagnandosi la nomina a generale (1924). Richiamato in patria nel 1928, attese alla direzione dell’Accademia generale militare. Dal nuovo regime repubblicano fu inviato come comandante militare alle Baleari (1933). Richiamato allo scoppio della rivoluzione del 1934, dopo essere riuscito a reprimere rapidamente i moti locali, ebbe l’incarico come capo dello stato maggiore generale di riorganizzare l’esercito. Confinato al comando militare delle isole Canarie dal governo di fronte popolare, a motivo delle sue posizioni monarchiche, passò in Marocco dove guidò la ribellione dell’esercito contro il governo repubblicano (17 luglio 1936). Sbarcato in Spagna diede inizio – poi appoggiato con uomini e mezzi da Hitler e Mussolini contro l’intervento dell’URSS e delle brigate internazionali – a una lunga e sanguinosa guerra civile, nella quale ebbe il sopravvento e che si concluse, dopo spaventose distruzioni e pesanti perdite delle due parti, il 1º aprile 1939. Capo, col titolo di generalissimo, dello stato costituito a Burgos, del governo e delle forze militari (caudillo) dal 30 genn. 1938, F. diede una struttura autoritaria e dittatoriale allo stato spagnolo; non volle schierarsi con l’Asse nella seconda guerra mondiale nonostante le pressioni di suoi consiglieri appartenenti alla Falange, e quelle di Hitler (convegno di Hendaye, 1940) e Mussolini (convegno di Bordighera, 1941). In politica estera F. seppe abilmente utilizzare il clima di “guerra fredda” per stipulare accordi nel campo occidentale presentandosi come strenuo assertore dell’anticomunismo. Il 22 luglio 1969 F. designò quale suo successore col titolo di re di Spagna il principe Juan Carlos di Borbone, salito poi al trono alla sua morte. Negli ultimi anni di vita F. riuscì a mantenere la coesione del regime grazie al suo prestigio personale e alla repressione di ogni opposizione. La sua scomparsa segnò l’avvio della rinascita democratica in Spagna.© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)
[4] Michelangelo Fedeli. Nato a Vernio (FI) nel 1879. Morto nel 1962. Su: Il catalogo dei diari “Memorie del Capitano di Vascello Michelangelo Fedeli”. L’autobiografia di un ufficiale di marina, che, entrato giovanissimo nell’esercito, partecipa, uscendone incolume, alle quattro guerre che, in questo secolo, hanno visto l’Italia protagonista, riuscendo, tra l’una e l’altra guerra, a sposarsi e a costruire una famiglia.(fonte) e (fonte)
… A Portoferraio si trovavano ormai oltre venti unità da guerra italiane, provenienti dalla Liguria, dall’alta Toscana e dalla Corsica, che avevano preso parte anche alla battaglia di Piombino. Nell’isola, ben fortificata, erano di stanza circa diecimila uomini. Comandante delle forze dell’isola e delle vicine isole minori era il generale di brigata Achille Gilardi; il Comando Marina era retto dal capitano di vascello Michelangelo Fedeli. All’alba del 10 le batterie dell’isola poste nella parte orientale respinsero un tentativo di sbarco tedesco. La presenza delle navi, con a bordo il duca d’Aosta e l’ammiraglio Nomis di Pollone, consentì una difesa coordinata e attiva condotta, principalmente, dalle navi e dalle batterie della Marina. Il 13 mattina un violento fuoco incrociato respinse un attacco di bombardieri tedeschi. All’alba del 10 le batterie dell’isola poste nella parte orientale respinsero un tentativo di sbarco tedesco. La presenza delle navi, con a bordo il duca d’Aosta e l’ammiraglio Nomis di Pollone, consentì una difesa coordinata e attiva condotta, principalmente, dalle navi e dalle batterie della Marina. Il 13 mattina un violento fuoco incrociato respinse un attacco di bombardieri tedeschi. Fu attuato un difficoltoso collegamento radio con Brindisi, dove si trovava ora il Comando Supremo italiano, e furono richiesti immediati aiuti e l’invio di rinforzi. Invece venne l’ordine alle navi di procedere verso Palermo, in pignolesca applicazione delle clausole d’armistizio, come richiesto espressamente, in particolare, dai britannici. L’allontanamento delle navi diede un forte colpo al morale già non saldo della difesa. D’altra parte la caduta di Piombino aveva già fatto venir meno uno dei due pilastri sui quali si basava il controllo dello stretto fra l’Italia e l’Isola d’Elba. Il 15 mattina parlamentari tedeschi giunsero a Portoferraio da Piombino illustrando la situazione e chiedendo la resa dell’isola sotto la minaccia di pesanti bombardamenti aerei. Sostenuti anche in questo caso dal Comitato di Resistenza e dalla popolazione, i militari italiani tennero duro. Il 16, poco prima di mezzogiorno, sette bombardieri tedeschi lanciarono grappoli di bombe sul comando, sulle caserme e sulla città, causando più di cento morti e 150 feriti, la maggior parte dei quali fra la popolazione civile. L’intera rete di comunicazioni fra le batterie andò distrutta e la batteria antiaerea Grotte (quattro pezzi da 76) ebbe sette morti e otto feriti. Assieme alle bombe furono lanciati volantini che ingiungevano alle truppe di arrendersi. Ora la popolazione, spaventata dai danni subiti e sotto la minaccia di altri bombardamenti, spinse per l’accettazione delle condizioni di resa che, tra l’altro, imponevano di consegnare navi, armi e infrastrutture senza causare altri danni. Alle 16 il generale Gilardi accettò le condizioni di resa. Il 17, traghetti e motozattere tedesche, cariche di truppe, scortate dall’incrociatore ausiliario Magdeburg, da due torpediniere e da dragamine veloci, sbarcarono soldati a Portoferraio, Porto Longone, Marina di Campo, Golfo del Procchio e Golfo di Lacona, mentre un battaglione paracadutisti del generale Student, circa 500 uomini, effettuò un lancio a Schiopparello e San Giovanni, nel centro dell’isola. Nello stesso giorno le batterie della Marina e le navi militari presenti in porto, perché non in grado di allontanarsi, furono consegnate ai tedeschi. Data la presenza di molte migliaia di militari italiani, i tedeschi mantennero in carica i comandanti italiani con il compito di smaltire questa massa di uomini. Il 27 settembre cambiò il comandante tedesco, e gli ufficiali italiani furono arrestati e inviati in campo di concentramento in Germania assieme a buona parte dei marinai. Stranamente nessuno si ricordò del comandante Fedeli che, in borghese, assieme alla sua ordinanza, raggiunse con un’imbarcazione Piombino e procedette in treno per Arezzo, dove rimase fino alla liberazione della città. Da G. Manzari – La partecipazione della Marina alla Guerra di Liberazione. Pagg. 37-38(fonte)
Anche su: La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto. Pag. 129 (fonte)
Regio sommergibile F 5 “Te desponsamus mare” (Ti sposiamo, o mare)
Cantiere: FIAT-San Giorgio, La Spezia
Impostazione: 23 maggio 1915
Varo: 12 agosto 1916
Consegnato : 26 novembre 1916
Radiazione: 20 luglio 1929
Attività operativa
Consegnata alla Marina il 26 novembre 1916, l’unità, dopo un lungo periodo addestrativo effettuato nel Golfo di Spezia, nel febbraio 1917, al comando del tenente di vascello Michelangelo Fedeli, raggiunse la 2^ Squadriglia Sommergibili di Ancona, da dove venne distaccato nelle sedi di Porto Corsini e Venezia.
L’attività bellica dell’unità fu di 26 missioni offensive lungo le rotte commerciali austriache e nei canali di accesso ai porti di Pola e Trieste.
Dopo l’armistizio e al comando del tenente di vascello Edoardo Somigli, partecipò all’occupazione di Umago.
Nel 1919 l’unità raggiunse la sede operativa di Brindisi e nel maggio venne trasferita a Napoli. Partecipò alle esercitazioni navali del 1924, 1925, 1926 e 1927, che comportarono lunghe crociere nelle acque della Sicilia.
Il 20 luglio 1929 l’unità venne radiata.(fonte)
Sicilia – Al suo secondo viaggio in acque spagnole – (comandante militare C.V. r.n. Michelangelo Fedeli).
Effettuarono il viaggio in convoglio scortato dal ct. Scirocco.
Partiti da Gaeta 1’ 1/2/1937 giunsero a Cadice il 7/2. Vi sbarcarono rispettivamente: Tevere: 36 uff., 70 sottuff., 595 uomini di truppa, 14 automezzi, 10 motociclette, 37 tonn. di materiali vari. Sicilia: 81 uff., 1902 sottuff. e militari di truppa.
Ripartirono ambedue da Cadice il 7/2 rientrando a Napoli rispettivamente: Sicilia 11/2, Tevere 12/2.
Da: L’impegno navale italiano durante la guerra civile spagnola (1936-1939). Pag.223.(fonte)
[5] La Sicilia (già Coblenz) è stata una nave ospedale della Regia Marina, già piroscafo misto italiano ed in precedenza tedesco.
Costruita a Brema tra il 1923 ed il 1924 per la grande compagnia di navigazione tedesca Norddeutscher Lloyd, la nave, un piroscafo misto da 9449 tonnellate di stazza lorda (successivamente incrementate a 9646 tsl), aveva originariamente il nome Coblenz. Per oltre un decennio il piroscafo venne quindi utilizzato come transatlantico sulle linee passeggeri verso l’America settentrionale.
Nel 1935, durante i preparativi della guerra d’Etiopia, il governo italiano decise, per dotarsi di un adeguato numero di grandi unità passeggeri da adibire al trasporto delle truppe, di acquistare da compagnie straniere nove grosse navi passeggeri (con stazza lorda compresa tra le 9.000 e le 20.000 tsl) che vennero ribattezzate con nomi di regioni italiane: tra queste navi vi fu appunto la Coblenz, che, comprata nell’agosto 1935, venne ribattezzata Sicilia (le altre unità erano Calabria ex Werra, Liguria ex Melita, Lombardia ex Risolute, Piemonte ex Minnedosa, Sannio ex General Mitre, Sardegna ex Sierra Ventana, Toscana ex Saarbrucken – gemella del Sicilia – ed Umbria ex Bahia Blanca). Date in gestione alla società Italia, che figurava anche come loro proprietaria[1] (e successivamente, nel 1936, al Lloyd Triestino[1][3]), le nove unità della serie «Regioni» non vennero in realtà mai impiegate per servizio passeggeri di linea, venendo invece sempre utilizzate per conto del governo, del Ministero delle colonie o della Regia Marina.
l pari delle altre unità della “classe” Regioni, pertanto, il Sicilia, iscritto con matricola 2048 al Compartimento marittimo di Genova, venne impiegato come nave trasporto truppe dapprima nella guerra d’Etiopia e poi nella guerra civile spagnola. Durante tale conflitto i trasporti truppe viaggiavano solitamente in convogli scortati da unità della II Squadra Navale (incrociatori o cacciatorpediniere) sino a Malaga o Gibilterra, per proseguire alla volta di Cadice sotto la scorta di unità provenienti da Tangeri, Ceuta e Palma di Majorca. Tra gli ultimi viaggi del Sicilia nella guerra di Spagna vi fu quello della sera del 31 maggio 1939, quando il piroscafo, alle otto di sera, lasciò Cadice per rimpatriare i reparti del Genio del Corpo Truppe Volontarie ed il loro comandante.
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, il Sicilia si trovava, insieme al similare Toscana, nel Dodecaneso, dove le due navi erano da poco giunte con a bordo alcune centinaia di militari di complemento.
Nei mesi successivi le due navi rimasero sostanzialmente inattive in quelle isole, finché nel dicembre 1940, lo Stato Maggiore della Regia Marina decise la loro trasformazione in navi ospedale, sia in virtù delle loro grandi dimensioni e capienza, sia per salvarle dalla perdita in caso della caduta – allora ritenuta molto probabile, timore che permase sino alla caduta della Grecia nell’aprile 1941 – del Dodecaneso, in seguito al blocco navale oppure ad uno sbarco turco o britannico. La decisione venne comunicata alla sede della Croce Rossa Internazionale a Ginevra, e vennero inviati nel Dodecaneso i materiali sanitari ed il personale medico necessario ad armare le due navi, prima a mezzo aerei (sul finire del 1940) e poi, nel gennaio 1941, mediante la moderna motonave Vettor Pisani. Requisita ufficialmente dalla Regia Marina il 1º febbraio 1941, iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato in egual data e ridipinta secondo le norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra per le navi ospedale (scafo e sovrastrutture bianche, fascia verde interrotta da croci rosse sullo scafo e croci rosse sui fumaioli), la Sicilia, dotata di adeguate attrezzature sanitarie ed imbarcato il personale medico, entrò in servizio come nave ospedale dotata di 780 posti letto nel marzo 1941. Nella prima metà di quello stesso mese l’unità lasciò Lero poco dopo la Toscana e, dopo aver attraversato il canale di Cerigo ed il Mar Egeo, giunse a Taranto, da dove poi, dopo un turno di lavori in quell’Arsenale, venne trasferita a Trieste per ultimare l’allestimento. La nave divenne infine operativa nell’aprile-maggio 1941. Nell’aprile 1941 l’unità, da poco operativa, effettuò cinque missioni di rimpatrio di feriti e malati (principalmente affetti da congelamento, dissenteria, nefrite, febbre enterica, pleurite, reumatismi) dall’Albania. Nei giorni successivi al 24 maggio 1941 la Sicilia venne inviata, insieme alla nave ospedale Arno, alla ricerca dei superstiti del trasporto truppe Conte Rosso, silurato ed affondato alle 20.45 del 24 maggio dal sommergibile britannico Upholder, mentre era in navigazione in convoglio da Napoli a Tripoli.
Perirono con la nave 1297 uomini (per altre fonti 1544), mentre le unità della scorta e quelle inviate in soccorso salvarono 1432 naufraghi. La Sicilia non riuscì tuttavia a rintracciare alcun superstite.
Nel dicembre 1941 la nave ospedale riportò alcuni danni causati dalle avverse condizioni meteomarine.
Alle 14.25 del 19 luglio 1942 la Sicilia, in transito nel canale di Doro, venne attaccata al largo dell’isola di Mantili dal sommergibile greco Nereus, che, avendola scambiata per un trasporto nonostante le ottimali condizioni di visibilità, le lanciò quattro siluri: nessuna delle armi andò a segno.
Il relitto della nave ospedale adagiato su un fianco accanto al molo Pisacane.
Il 4 aprile 1943, durante un pesante bombardamento aereo su Napoli, durato dalle 15.07 alle 16.17, ad opera di 99 bombardieri della 9th e 12th USAAF con obiettivo il porto, l’aeroporto di Capodichino e gli scali ferroviari (molte bombe caddero tuttavia anche sulla città, causando 225 vittime tra la popolazione civile), la Sicilia, all’ormeggio al molo Pisacane del porto partenopeo, fu colpita ed incendiata da diverse bombe, iniziando a sviluppare un graduale sbandamento sul lato sinistro.
Durante la notte la nave, pesantemente danneggiata ed in fiamme (specie nella zona prodiera delle sovrastrutture), si rovesciò sul lato sinistro, rimanendo parzialmente emergente. Dato che la nave era stata affondata durante un bombardamento a tappeto, le autorità italiane non considerarono l’attacco intenzionalmente diretto contro la Sicilia, pertanto l’accaduto non venne denunciato alle autorità di Ginevra. Il relitto venne successivamente recuperato e smantellato.
Complessivamente la Sicilia aveva svolto 47 missioni come nave ospedale (3 di soccorso e 44 di trasporto infermi), trasportando in tutto 4476 tra feriti e naufraghi e 28.959 malati dai fronti della Libia, della Grecia e dell’Albania.(fonte)