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Beatrice Gulì, 1977

    Beatrice Gulì, 1977

    Roma, 18 maggio 1977

    Gentile amico,

    “Lacrimae rerum” è l’inchiostro nel quale intin-
    gerei la mia penna , se dovessi scrivere un articolo per
    il nostro e per qualunque altro giornale, disposto a dar-
    mi ospitalità: ma, poi, non consiglierei a nessuno di leg-
    gere quell’articolo, perché il mio scoramento è tanto
    grave da farmi temere di contagiarne anche gli altri.
    Scoramento, depressione, quasi inettitudine a reagi-
    re, nuova per me che ho sempre cercato di ribellarmi agli
    eventi ingiusti, nelle situazioni più critiche, ricercan-
    do nel buio una sia pur piccola traccia di luce.
    Ricordate? Io Vi scrivevo (credendoci!) di lumici-
    ni, candeline e piccole fiamme, ostinandomi a non lasciar
    crollare le mie speranze, che erano poi anche le vostre,
    e continuando a credere che ci sono, talvolta, porte na-
    scoste e vie d’uscita inaspettate, pur nei più complica-
    ti labirinti.
    Oggi, invece, ho paura! La carne viva della Patria è
    tutta lacerata, non più solo una parte: Il tradimento è
    dilagato, non risparmiando più nulla.
    Solo “tenendoci per mano” possiamo ancora illuderci (e
    sperare?) che un ristretto numero di Italiani esista anco-
    ra, in questa terra di apolidi: così io Le scrivo, per
    confermarLe che in ogni momento, sempre vicino ai cari
    fratelli fiumani, io mi sentirò Italiana fra Italiani, e
    chissà che questo non mi aiuti a ritrovare la fede nell’av-
    venire, che oggi mi sembra di avere perduta.
    Con i più cordiali saluti[1]


    Note

    La velina contiene la bozza della lettera scritta da Bice Gulì a commento delle vicende relative al trattato di Osimo e pubblicata sul giornale “La voce di Fiume” del  25 giugno 1977.

    [1]DOPO OSIMO

    Dopo la ratifica dell’iniquo trattato di Osimo hanno continuano a pervenire al nostro Libero Comune e alla direzione del nostro notiziario lettere di adesione e di solidarietà da parte di cittadini, di Organizzazioni combattentistiche e d’arma, di ex combattenti, di patrioti.
    Mentre ringraziamo tutti questi amici per averci voluto confortare con la loro solidarietà, scegliamo tra le molte una lettera scrittaci dalla gentile signora ing. Bice D’Ancona Gulì che riteniamo potrà essere letta con piacere da tutti i nostri lettori.
    Detta Signora, romana di nascita ma fiumana d’elezione perché coniugata con il nostro concittadino ing. Enrico D’Ancona, ci ha scritto:

    Gentile amico,
    “Lacrimae rerum” è l’inchiostro nel quale intingerei la mia penna , se dovessi scrivere un articolo per il nostro e per qualunque altro giornale, disposto a darmi ospitalità: ma, poi, non consiglierei a nessuno di leggere quell’articolo, perché il mio scoramento è tanto
    grave da farmi temere di contagiarne anche gli altri.
    Scoramento, depressione, quasi inettitudine a reagire, nuova per me che ho sempre cercato di ribellarmi agli eventi ingiusti, nelle situazioni più critiche, ricercando nel buio una sia pur piccola traccia di luce.
    Ricordate? Io Vi scrivevo (credendoci!) di lumicini, candeline e piccole fiamme, ostinandomi a non lasciar crollare le mie speranze, che erano poi anche le vostre, e continuando a credere che ci sono, talvolta, porte nascoste e vie d’uscita inaspettate, pur nei più complicati labirinti.
    Oggi, invece, ho paura! La carne viva della Patria è tutta lacerata, non più solo una parte: Il tradimento è dilagato, non risparmiando più nulla.
    Solo “tenendoci per mano” possiamo ancora illuderci (e sperare?) che un ristretto numero di Italiani esista ancora, in questa terra di apolidi: così io Le scrivo, per confermarLe che in ogni momento, sempre vicino ai cari fratelli fiumani, io mi sentirò Italiana fra Italiani, e chissà che questo non mi aiuti a ritrovare la fede nell’avvenire, che oggi mi sembra di avere perduta.
    Con i più cordiali saluti

    Bice D’Ancona Gulì

    La sig.ra D’Ancona Gull ci ha inoltre informato di avere anche lei scritto a suo tempo una lettera a Montanelli, Direttore de «II Giornale-nuovo», per lamentare le conseguenze del Trattato di Osimo. Anche lei, come l’amico Remorino, non ha avuto risposta, eppure Montanelli avrebbe dovuto rendersi conto dalle lettere pervenutegli che «non tutti gli italiani sono indifferenti alle sorti della Patria».

    Da “La voce di Fiume” de 25 giugno 1977. Pag. 2 (fonte)

    Il trattato di Osimo (in francese Traité d’Osimo; in inglese Treaty of Osimo; in serbo-croato Osimski ugovor) è un accordo, siglato a Osimo il 10 novembre 1975 tra i ministri degli affari esteri di Jugoslavia e Italia, con cui si fissarono in maniera definitiva i confini tra i due Paesi nel cosiddetto Territorio Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra del 1954.

    Esso concluse la fase storica iniziata nel 1947 con il trattato di pace di Parigi, allorquando si decise la cessione alla Jugoslavia di gran parte della Venezia Giulia (Fiume e le isole del Quarnaro, la quasi totalità dell’Istria e gli altopiani carsici a est e nord-est di Gorizia) e la creazione del Territorio Libero di Trieste comprendente l’attuale provincia di Trieste e i territori costieri istriani da Ancarano a Cittanova (oggi rispettivamente in Slovenia e Croazia). La mancata attivazione delle procedure per la costituzione degli organi costituzionali del TLT impedì di fatto a quest’ultimo di nascere. La successiva cessione del potere di amministrazione civile del TLT rispettivamente all’Italia (zona A) e alla Jugoslavia (zona B) creò le condizioni per gli sviluppi successivi che portarono al trattato di Osimo.(fonte)

    Beatrice Gulì è nata il 7 gennaio 1902 a Roma. Frequenta il liceo classico Tasso, dove consegue la maturità nel 1921. La sua formazione classica le resterà per tutta la vita, permettendole di declamare in greco e in latino. La sua aspirazione sarebbe stata iscriversi a Medicina, ma l’opposizione del padre la spinge ad orientarsi per la facoltà di Matematica. Mentre segue i corsi scientifici, conosce Enrico D’Ancona e insieme si iscrivono alla Scuola di Applicazione per Ingegneri. Originario di Fiume, Enrico vive a Roma con i fratelli per frequentare l’università. Beatrice ed Enrico si laureano entrambi nel novembre 1927 e si sposano un mese dopo. Avranno quattro figli: Fabrizio (1928) avvocato; Bruno (1929) Ingegnere; Annamaria (1933) e Giuliana (1935) entrambe si sono occupate di scienze naturali come lo zio Umberto D’Ancona. Poco dopo la laurea trova lavoro presso le Assicurazioni d’Italia, a tempo pieno fino al 1942, quindi come consulente del ramo furto/incendio fino al 1980. Nel suo lavoro è molto apprezzata per l’accuratezza e l’approfondimento con cui porta a termine le perizie di cui è incaricata. Affronta e supera l’esame di Stato nel 1937, con lo scopo di firmare i progetti elaborati in coppia con il marito. Tra i loro lavori: la casa di famiglia a Monteverde (1930) e la casa al mare a Tor Vajanica (1958), oltre ad alcuni piccoli incarichi ottenuti da amici. Beatrice ha una bellissima grafia ed è un’abile conversatrice. Estroversa e motivata, si impegna a fondo e ottiene risultati soddisfacenti in tutte le sue attività. Ha attitudine alla ricerca e all’apprendimento che cerca di soddisfare in tutto il corso della vita. Coltiva interessi letterari: scrive poesie, declama in greco e in latino. Dopo il pensionamento si iscrive all’università della Terza Età, per seguire corsi di medicina e poi latino, greco e letteratura.«… L’aspetto ingegneristico era supportato dall’aspetto umanistico, che era la sua vera passione. Ma ancora più importante è stato essere riuscita a prendere una laurea in ingegneria ed esercitare, che all’epoca non dev’essere stato facile. Di mia nonna ricordo una personalità di grande carisma.» (Laura D’Ancona, nipote, durante l’intervista)
    FONTI: Annuari della Scuola di Applicazione per Ingegneri; Intervista condotta il 25/02/2019 da Chiara Belingardi e Claudia Mattogno al figlio ing. Bruno D’Ancona, alla nipote Laura D’Ancona, all’amica ing. Marina Torre. Ricerca di Ateneo Tecniche Sapienti tecnichesapienti.ingegneria@uniroma1.it Scheda a cura di Chiara Belingardi (fonte)