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Fascio di Londra, 1938

    Fascio di Londra, 1938
    « di 2 »

    Personale
    FASCI ITALIANI ALL’ESTERO

    FASCIO DI LONDRA
    “ARNALDO MUSSOLINI”[1]

    4, CHARING CROSS ROAD, W.C.2.

    Londra, 23.XI.38 XVII,[2]

    On. le e illustre Professore,
    Mi è stato riferito che il 28 agosto
    n. v. nel treno che conduceva a Ro=
    ma gli italiani residenti (un numeroso gruppo) in Gran
    Bretagna, e partecipanti al Radu-
    no indetto da questo Fascio, uno dei
    partecipanti al Raduno stesso, e pre=
    cisamente il camerata Alighiero
    Perosino, impiegato presso questa
    segreteria
    , si sarebbe assai ma=
    le comportato con Voi, nella car=
    rozza-ristorante, nel tratto da
    Pisa a Grosseto. Sembra che
    il camerata Perosino

    Si sia così condotto,(abbia tenuto questo contegno molto
    riprovevole e nei riguardi vostri e del
    pubblico in generale)
    non trovandosi in condizioni
    normali per aver emoti=
    vamente
    abusato di
    bevande alcoliche. Comun=
    que, prima di prendere
    qualsiasi (eventuale) provvedimento
    A suo carico, vi sono
    grato se vorrete
    mettermi al corrente di
    quelli che effettivamente
    è accaduto.

    Gospi(?)


    Note

    [1] Arnaldo Mussolini. Nacque a Dovia di Predappio, vicino Forlì, l’11 gennaio 1885 da Alessandro, fabbro, e da Rosa Maltoni, maestra elementare. Neonato, venne dato a balia alla famiglia Gaiani e visse parte dell’infanzia separato dal nucleo familiare, alla quale si univa solo durante l’estate. Aveva due fratelli: Benito, nato nel 1883, ed Edvige nel 1888. Fece le elementari a Meldola e fu ospite di un cugino a Cesena per frequentare la scuola media agraria dal 1899 al 1903. Nel 1904 la mancanza di prospettive di lavoro lo spinse a emigrare, come il fratello, a Thun, in Svizzera, dove si guadagnò da vivere come manovale e come giardiniere. In quegli anni Arnaldo e Benito si incontrarono saltuariamente a Berna e a Friburgo, oltre che nella stessa Thun.
    I due fratelli furono influenzati politicamente dal padre, sia pur con effetti diversi: Benito si avvicinò al Partito socialista proprio durante l’esperienza svizzera, mentre sin da giovanissimo Arnaldo fece parte del Partito repubblicano, dal quale si distaccò nel 1919, quando decise di iscriversi ai Fasci italiani di combattimento.
    Rientrato in patria nel 1905 (mentre era in viaggio morì la madre), Mussolini riuscì a trovare lavoro come prefetto di disciplina e sottocapo coltivatore alla scuola di agraria di Cesena, dove si era diplomato, per poi divenire capo coltivatore a Monza e, successivamente, insegnante di agraria nell’istituto Falcon Vial a San Vito al Tagliamento.
    Malgrado questi interessi non fossero centrali per il suo lavoro, negli anni successivi Mussolini mantenne una forte attenzione alla dimensione agricola e forestale, come si può rilevare da molti suoi articoli e discorsi del periodo fascista (tra gli altri, L’agricoltura nella vita italiana, pronunciato il 25 maggio 1928; Discorso ad Asiago per la giornata forestale, pronunciato sull’Altopiano di Asiago l’8 settembre 1928; Tradizione agricola, 8 aprile 1929), dal suo ruolo nella fondazione di riviste su questi temi (in particolare la Domenica per gli agricoltori e Il Bosco) e dagli incarichi e riconoscimenti pubblici (fu presidente della Commissione nazionale forestale dal 1928, anno in cui gli fu assegnata una laurea honoris causa in agraria dal Real Istituto superiore agrario di Milano).
    Aveva 22 anni quando conobbe e si fidanzò con Augusta Bondanini, di qualche anno più anziana di lui, e sorella di un suo compagno di scuola a Cesena. Augusta apparteneva a una famiglia di possidenti, cattolici e molto devoti, di Paderno, un paese non lontano da Cesena. I due si sposarono il 14 aprile 1909 e nel luglio 1910 nacque il primo figlio, Alessandro (Sandro) Italico.
    In quegli anni Mussolini intraprese anche gli studi magistrali, conseguendo nel 1911 il diploma che gli permise di insegnare nelle scuole elementari, come già facevano la madre e il fratello. Dopo il diploma ottenne la patente di segretario comunale, grazie alla quale fu assunto dal Comune di Travesio e da quello di Morsano al Tagliamento. Nel 1912 nacque il secondo figlio, Vito.
    Non sono note le opinioni di Mussolini nei mesi caldi dell’intervento nella Grande Guerra, ma l’entrata dell’Italia nel conflitto non cambiò la sua vita familiare e il suo lavoro. Nel 1917 la moglie diede alla luce la loro terzogenita, Rosina, a Morsano. Con la rotta di Caporetto (novembre 1917) l’intera zona dove vivevano subì l’invasione delle truppe austriache. Mussolini dovette quindi andarsene, dopo aver messo in salvo le carte comunali, seguendo la sua famiglia che si era già trasferita a Paderno. Furono questi anche i mesi del difficile e inizialmente contrastato avvicinamento di Mussolini al Popolo d’Italia. Inizialmente l’ingresso al giornale non fu facile, tanto che piuttosto che continuare quell’attività – come lui stesso confessò all’amico Manlio Morgagni (Roma, Arch. centrale dello Stato, Morgagni Manlio, b. 37) – preferì lasciare Milano e partire per il fronte. In quella fase Mussolini riceveva compensi economici dal fratello, probabilmente come riconoscimento per il lavoro svolto al Popolo d’Italia. Nel febbraio 1918 fu mandato alla scuola allievi a Caserta, nel maggio, alla scuola di fanteria a Parma. Giunse al fronte nel giugno 1918 e partecipò alla seconda battaglia sul Piave nel comando di reggimento del battaglione complementare della brigata Potenza.
    Alla fine della guerra si trasferì definitivamente a Milano con la famiglia: con Benito fu l’inizio di un vero e proprio sodalizio, che durò per tutta la vita. Al Popolo d’Italia ebbe immediatamente la carica di direttore amministrativo, collaborando in un primo tempo con Morgagni. Per Benito divenne un interlocutore privilegiato, sebbene i due avessero fin dall’infanzia un’indole assai diversa. Non mancarono in questa prima fase i contrasti, soprattutto – probabilmente – in relazione ai rapporti di Benito con Ida Dalser: fu Arnaldo infatti a tenere, fino alla morte, i rapporti con il figlio che Benito ebbe dalla Dalser, Benito Albino, e a divenire anche sul piano giuridico protagonista di quella complicata e terribile vicenda, cercando di allontanare in tutti i modi Ida e Benito Albino dal fratello per evitargli uno scandalo politico potenzialmente molto pericoloso e di riavvicinare il fratello alla moglie, Rachele Guidi. Negli anni successivi continuò ad avere un ruolo di rilievo nei confronti di Benito: fu lui a favorire l’incontro tra la difficile e amata figlia di Benito, Edda, e il suo futuro marito, Galeazzo Ciano; fu sempre lui l’autore dell’autobiografia che Benito pubblicò negli Stati Uniti d’America nel 1928, come Benito stesso riconobbe dopo la morte di Arnaldo.
    Al Popolo d’Italia si occupò inizialmente soprattutto dei conti che, nel 1919 e nei primi mesi del 1920, faticavano a tornare. L’incarico era tanto più importante perché in quella fase il bilancio del giornale si confondeva facilmente con quello del movimento fascista. Ancora nel primo dopoguerra per lui il clima al Popolo d’Italia non era migliorato e il rapporto più stretto fu quello con Morgagni, col quale discuteva della crisi di rapporti con la redazione che a suo avviso non lo stimava e, nel maggio 1922, del suo desiderio di dimettersi.

    Con la marcia su Roma, nell’ottobre 1922, il ruolo di Arnaldo e la fiducia di Benito in lui divennero pubblicamente visibili con la decisione di Benito di affidargli la direzione del Popolo d’Italia, malgrado fino a quel momento non avesse mai svolto attività di giornalista. Arnaldo accettò l’incarico pubblicando un articolo, il 30 ottobre, nel quale si riferiva a Benito che «con infinita bontà» gli concedeva questo «alto onore», ma nel quale si presentava con un profilo modesto («non mi nascondo la gravità del compito affidato»), oltre che con la sua assoluta devozione («obbedisco»).
    Nella prima fase della direzione la sua firma non comparve frequentemente, ma Mussolini si affermò a poco a poco come strenuo difensore della politica del fratello: si vantava di essere «il destro dei più destri» (Milano, Archivio storico di Banca Intesa San Paolo, Banca commerciale italiana, Amministratori delegati, Segreteria dell’amministratore delegato Giuseppe Toeplitz, f. 36, cc. 306-307: lettera di Pietro Fenoglio a Toeplitz, 13 settembre 1924), oltre che pugnace sostenitore del fascismo anche nelle ore più dure. Negli stessi anni definì un suo profilo di giornalista a tutto tondo, al punto che Benito sostenne che «la sola vera rivelazione del fascismo è quella di Arnaldo» (Amicucci, 1932, p. 14).

    Nel corso degli anni Venti fu anche l’ideatore, o il sostenitore, di nuove pubblicazioni e iniziative editoriali; tra le nuove testate aperte sotto la sua direzione: La rivista illustrata del popolo d’Italia (1922), condirettore Morgagni; La domenica dell’agricoltore (1925); Il bosco (1925), organo del Comitato nazionale forestale; Historia (1927); L’Illustrazione fascista (1928), condirettore Umberto Favia.
    Queste imprese riflettevano il ruolo centrale e politico del giornale, che tuttavia fu sempre, e prima di tutto, il giornale di Benito Mussolini, nel quadro di un regime in cui il proprietario ed ex direttore era divenuto dittatore e faceva del controllo e della partecipazione delle masse al suo progetto politico un cardine. Sono per altro noti e ampiamente documentati i contatti giornalieri tra Benito e il fratello per commentare la situazione politica e gli articoli del giornale (e anche i rimbrotti per articoli non ritenuti efficaci), oltre al ruolo di privilegio del Popolo d’Italia nel ricevere le notizie dall’Ansa di Morgagni.
    Non si può tuttavia dire che questa attività giornalistica, negli anni della direzione di Arnaldo Mussolini, fosse coronata da successo imprenditoriale, dal momento che queste riviste (e quelle fondate precedentemente) incisero negativamente sul bilancio del quotidiano, frequentemente in perdita come testimoniano le lettere tra Arnaldo e Benito. Le vendite del Popolo d’Italia peraltro non aumentarono e, almeno fino alla guerra di Etiopia (1935-36), le tirature non superarono mai le 92.000 copie.
    In qualità di uomo di fiducia del fratello, Mussolini ebbe un ruolo fondamentale anche nella riorganizzazione del sistema della stampa nel regime, soprattutto a partire dal 3 gennaio 1925, con la fine della crisi Matteotti e la repressione seguita al discorso tenuto da Benito alla Camera dei deputati. Successivamente a quella svolta, infatti, Arnaldo divenne presidente della Commissione superiore per la stampa e assunse anche la direzione – che tenne fino alla morte – dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (INPGI), un’istituzione previdenziale fondamentale per veicolare, controllare e tenere i giornalisti nell’orbita del regime. Oltre a questi incarichi nazionali, importante fu anche il suo ruolo in altre testate. Nel marzo 1925 acquisì la direzione del consiglio di amministrazione de Il Resto del carlino, grazie all’acquisto da parte della famiglia Agnelli di quote rilevanti di quel giornale. Nel 1929 risultava anche presidente della Casa editrice Alpes, fondata da Franco Ciarlantini, che dal 1923 ebbe sede al Popolo d’Italia. Dal 1929, inoltre, Mussolini divenne vicepresidente dell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (EIAR), costituito due anni prima, segno della centralità dei nuovi mezzi di comunicazione nella politica del regime. Tramite la Società anonima milanese editrice di cui era presidente, arrivò a controllare diversi giornali, tra i quali il Secolo-Sera e L’Ambrosiano.
    Dal 1924 alla morte, assunse più volte posizioni tutt’altro che moderate nelle fasi di crisi e nelle polemiche più importanti. Particolarmente note furono le dichiarazioni a favore del fascismo durante la vicenda Matteotti e in occasione delle polemiche di Benito con Roberto Farinacci, che lo coinvolsero in alcuni casi anche direttamente. Lo sguardo e le parole di Mussolini appaiono spregiudicate quanto quelle del fratello, se non di più: nelle lettere ricordava con una certa frequenza a Benito quello che considerava «uno dei migliori cardini della rivoluzione»:  «chi tradisce perisce» (Carteggio, 1954, p. 26).

    Il ruolo e gli interessi, anche economici, di Arnaldo Mussolini – in combutta con il fratello – non furono palesi e sono ben lungi dall’essere chiariti. Appaiono tuttavia ormai evidenti il legame con gli esecutori del delitto Matteotti e il suo ruolo, centrale, di mediatore negli interessi editoriali (e non solo) della famiglia Mussolini. Fu nel consiglio d’amministratore di diverse società, in alcuni casi grazie anche al sostegno della Banca commerciale italiana; curò i rapporti con alcuni gruppi industriali (tra i quali in particolare le società elettriche UNES e SADE, la Banca italiana di sconto, la Compagnia fondiaria di Angelo Pogliani e alcune società immobiliari), cosa che in alcuni casi lo mise al centro di polemiche. Quale fosse il rapporto tra le attività compiute per rafforzare il regime e il giornale e quelle svolte per arricchimento personale e familiare è difficile sapere. Tutto ciò fa comunque di Arnaldo Mussolini una figura meno cristallina e scialba di quello che la storiografia ha in passato intravisto nei pochi momenti in cui si è occupata di lui.
    Anche sul fronte personale, per altro, malgrado l’immagine integerrima di marito fedele che il fascismo ha voluto accreditare, le cose erano più complesse: appare evidente che vi furono ricchezze accumulate, necessarie anche per mantenere un’amante, la scrittrice Maddalena Santoro, cui regalò, oltre a una discreta somma, due appartamenti arredati a Firenze e a Roma.
    Interessante appare il ruolo attribuito da Benito ad Arnaldo nel definire il rapporto tra il regime e la Chiesa cattolica e nel lavoro finalizzato alla Conciliazione. Arnaldo aveva una sensibilità religiosa più spiccata del fratello e si considerava cattolico, almeno dopo l’incontro con la moglie. Intervenne più volte su Il Popolo d’Italia a favore della conciliazione tra Stato e Chiesa e, anche per questo, divenne uno degli interlocutori del gesuita Pietro Tacchi Venturi, che in alcune testimonianze Benito sostenne gli fosse stato presentato proprio dal fratello. Questa sensibilità non lo limitò nella sua avversione dichiarata contro il Partito popolare italiano, il giornale Il Popolo e Luigi Sturzo, e neppure nelle sue espressioni di contrarietà contro il giornale cattolico L’Osservatore romano per le sue non infrequenti critiche contro il fascismo. Mussolini tuttavia sottolineava l’importanza della «spiritualità nel fascismo» e la natura non opportunista di tale tema, ponendo esplicitamente la questione della centralità della religione nel regime e nella vita dei fascisti, non senza sottolineare i vantaggi ottenuti dalla Chiesa grazie al fascismo, idee espresse nel durissimo articolo pubblicato su Il Popolo d’Italia il 13 settembre 1926 (Un problema difficile). Proprio l’attenzione ai valori spirituali del fascismo, esemplificati nel discorso Coscienza e dovere, diventato il «manifesto etico politico del movimento» (Marchesini, 1976, p. 19), lo portò a essere una importante figura di sostegno alla Scuola di mistica fascista, fondata a Milano nel 1930 e dedicata alla memoria di suo figlio Sandro Italico.
    Mussolini giocò anche un ruolo nella definizione della linea politica e delle gerarchie di potere, a Milano in modo particolare ma anche in Lombardia e nell’Italia settentrionale. Tra il 1926 e il 1927 le tensioni tra Benito Mussolini e Farinacci coinvolsero anche Arnaldo, riguardo ai rapporti tra Il Regime fascista di Farinacci e il Popolo d’Italia, nonché alle mire di Farinacci su Il Secolo di Milano, che avrebbe potuto divenire un diretto concorrente del giornale di Arnaldo. Erano tensioni direttamente collegate al fenomeno del dissidentismo all’interno del fascismo e, per molti versi, un effetto diretto delle rivalità tra gruppi di potere, fenomeno tipico del sottobosco governativo di quegli anni. Tali questioni non erano archiviate quando, nel 1928, Arnaldo assunse in prima persona un ruolo importante nella marginalizzazione del segretario milanese, Mario Giampaoli, e nel commissariamento del fascio locale, voluto da Benito, a opera del segretario del Partito nazionale fascista, Achille Starace.

    Mussolini ebbe dunque un ruolo decisivo nella stabilizzazione del regime: rappresentò uno snodo rilevante del regime con i gruppi capitalistici e finanziari, milanesi e genovesi in particolare, e con la stampa. Non fu esclusivamente un fedele seguace del fratello, malgrado questa rappresentazione sia a lungo prevalsa, anche perché fortemente suffragata da Arnaldo stesso. Negli scritti e nella corrispondenza emerge in realtà una certa sua autonomia di posizioni, come quando gli fu proposta la presidenza della Provincia di Forlì, un incarico che il fratello gli ingiunse, senza successo né conseguenze, di rifiutare.
    Nel 1928 cominciò una fase sfortunata. Dapprima, nel maggio, fu vittima con la moglie di un incidente d’auto tra Cesena e Forlì. A ottobre fu diagnosticata una grave malattia a Sandro Italico, che morì nell’agosto 1930, a soli vent’anni. Mussolini gli dedicò, subito dopo la morte, un volume di ricordi e riflessioni, Il libro di Sandro (Milano 1930), uno scritto pervaso da un anelito profondamente religioso, al punto che il figlio viene rappresentato con l’immagine di un santo in terra, nel quale si scorge tuttavia, oltre allo sfogo privato, anche la forza dell’autorappresentazione pubblica e della consapevolezza di essere al centro dell’attenzione della nazione.
    Con la perdita del figlio sembrò svanire – secondo quanto affermarono molti dei suoi amici – anche la voglia di vivere del padre. Alcuni suoi collaboratori raccontarono infatti che qualche giorno prima di morire, dopo aver avuto una piccola crisi cardiaca, Mussolini raccontò di aver sentito la morte vicina e di averla aspettata con gioia.
    Il 21 dicembre 1931 – il giorno successivo a una cerimonia politica a Milano alla presenza di Starace – morì in seguito a un infarto.
    La camera ardente fu allestita nel suo studio al Popolo d’Italia. Dal pomeriggio di quel giorno si diffusero voci e sospetti sulla sua morte, sugli stress e le tensioni che l’avrebbero causato. I funerali si svolsero con grande solennità il 28 dicembre 1931 e le celebrazioni si susseguirono nei mesi e negli anni successivi. A Milano gli fu intitolata via Lovanio, dove il Popolo d’Italia aveva la sua sede.
    Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Arnaldo e negli anni che seguirono, Benito si sforzò di sottolineare l’assoluta estraneità del fratello agli affarismi che gli erano stati addebitati, mostrando – anche attraverso la pubblicazione del testamento – che non si era arricchito. Anche per questo favorì la pubblicazione immediata di un testamento spirituale, tutto volto a difendere la correttezza del fratello, la sua attenzione alla famiglia e la sua lontananza da speculazioni economiche. Poco tempo dopo, tracciò un ritratto del fratello (Vita di Arnaldo, Milano 1932; ripubblicata a Milano nel 1934 insieme al Libro di Sandro) in cui ne delineò un profilo a tutto tondo, riflettendo anche sulle loro differenze tanto caratteriali che spirituali e ribadendone il disinteresse e la fedeltà.
    Opere: tra le pubblicazioni di Arnaldo Mussolini, oltre agli articoli apparsi sul Popolo d’Italia tra il novembre 1922 e la morte, si ricordano le numerose prefazioni a volumi di altri su vari temi, la cura delle opere di Benito e di diverse raccolte di suoi scritti (tra cui Il mio diario di guerra 1915-17, in collaborazione  con Dino Grandi). Tra i diversi volumi: L’agricoltura nella vita italiana: conferenza tenuta a Milano il 25 maggio 1928, Milano 1928; Commento alla carta del lavoro, ibid. 1928; Le forze dominanti, Firenze 1928; Polemiche e programmi: articoli del 1926, Milano 1928; Commenti all’azione: articoli del 1927, ibid. 1929; Forlì, Roma, 1929; Stile fascista stile di vita, Milano 1929; Verso il nuovo primato, ibid. 1930; Ammonimenti ai giovani e al popolo, Roma 1931; Il memoria di Sandro Italico Mussolini, s.l. né d.; Coscienza e dovere, Roma 1932; Tripolitania, ibid. 1932. Arnaldo Mussolini è anche l’autore del volume pubblicato a nome del fratello, My autobiography, che apparve dapprima sul Saturday Evening Post di Filadelfia nel 1928. Dopo la morte i suoi scritti e i discorsi furono raccolti in quattro volumi, che significativamente iniziavano con il ricordo del figlio (Scritti e discorsi, Milano 1934-37). © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)

    [2] Il Partito Nazionale Fascista aprì anche sedi all’estero, sia per coinvolgere gli Italiani emigrati sia per motivi di politica e di propaganda. La prima sede ad essere aperta fu quella di Londra, nel 1921; nel 1937, però, a seguito della proclamazione dell’Impero, fu inaugurata la nuova e più prestigiosa sede londinese nel palazzo che oggi ospita una biblioteca pubblica (Charing Cross Library) ed è sito al n. 4 di Charing Cross Road, vicino a Trafalgar Square. Alla iniziale sede di Londra, fecero seguito oltre 700 ulteriori sedi in numerosi Paesi.(fonte)