Vai al contenuto

Elementi comuni nella storia Italiana e Germanica, 1940

    Elementi comuni nella storia Italiana e Germanica, 1940
    4
    « di 25 »

    JOHANN VON LEERS[1]

    Elementi comuni nella storia
    Italiana e Germanica

    Wien 1940
    Verlag Anton Schroll & Co.


    La conferenza fu tenuta per invito del Circolo di Studi italo-tedesco all’Istituto Germanico di Storia della Cultura (Kaiser Wilhelm Institut für Kulturwissenschaft im Palazzo Zuccari) il 19 giugno 1940 e ripetuta il 27 dello stesso mese per invito dell’Istituto Fascista per le relazioni culturali con l’ Estero (I.R.C.E.) al Teatro delle Arti.
    Alle Rechte Vorbehalten
    Printed in Italy
    Druck : “ Fides” – Roma
    Urbana, 13
    PRESENTAZIONE
    Il Professore Johann von Leers, ordinario di Storia nella celebre Università di Jena, ed uno dei più noti e profondi studiosi tedeschi della questione giudaica, ha tenuto in lingua italiana questa conferenza all’Istituto Germanico di Storia della Cultura il 19 giugno 1940-XVIII e l’ha ripetuta al Teatro delle Arti il 27 dello stesso mese.
    La lapidaria chiarezza della sua ricostruzione storica dimostra l’identità delle aspirazioni nazionali dei popoli italiano e tedesco, la complementarità della loro natura psicologica, gli sforzi eroici assieme durati per giungere al coronamento delle proprie
    legittime aspirazioni di indipendenza nazionale, razziale ed economica; la esatta visione delle origini delle Rivoluzioni Fascista e Nazionalsocialista, la limpida percezione dell’avvenire che attende è due fieri popoli che più che ogni altro hanno contribuito al progresso della civiltà umana per nobiltà d’ingegno, e grandiosità di opere, l’ineluttabilità della soluzione della questione giudaica che grava su tutti i paesi del mondo.
    Il tutto rende ben degno che sia dato alle stampe questo studio diligente di un puro germanico, così schietto ammiratore della romanità e sincero amico dell’Italia Fascista. Possano il genio di Mussolini e di Hitler colla loro opera lungimirante realizzare tutte le nobili aspirazioni dei due popoli e moltiplicare il numero di questi studiosi da ambo le parti. La storia, come ce l’ha illustrato : Prof. Leers, costituisce la miglior dimostrazione che i popoli italiano e tedesco sono stati prescelti dal destino per operare assieme e per dare in questi anni memorabili un assetto migliore all’umanità.
    CARLO BARDUZZI[2]
    4

    Al tempo dei lunghi anni della nostra lotta per il trionfo del Fuhrer, prima del 1933, gli avversari più d’una volta indirizzarono il loro odio contro di noi coll’accusa: «Voi nazionalsocialisti siete semplicemente dei fascisti ».E più d’una voltai comunisti, i plutocratici, i clericali e tutti i partiti guidaizzanti lanciarono il loro grido di rabbia: « Bisogna abbattere i fascisti dovunque si trovino! ».
    L’odio tenace degli avversari non mancava di accennare a una aperta affinità spirituale, ad elementi e tratti comuni della nostra ideologia, della nostra politica col movimento rivoluzionario della giovane Italia. La borghesia ci accusava di essere un partito italianizzante; degli imitatori sciocchi del fascismo italiano ed i rappresentanti dei partiti del giudeosocialismo ci tenevano responsabili di cose esclusivamente italiane, ci interpellavano circa le riforme e la vita sociale del1’Italia che essi svisavano colle solite freddure e menzogne.
    A noi il Fuhrer, invece, mostrava sempre la grandezza secolare del Duce. Per grandi che potessero essere le differenze circa il punto di vista dei singoli problemi della vita nazionale, condizionati dallo sviluppo diverso e talvolta eterogeneo dei due movimenti politici, Egli ci ammoniva ’a riconoscere nel Fascismo un’idea, un movimento, una rivoluzione, diretta contro gli stessi nemici, contro il giudaismo, contro le dottrine sovversive del marxismo, contro la plutodemocrazia.
    Nel suo libro « Mein Kampf» egli aveva intuito perfettamente la genialità della rivoluzione fascista. « La lotta che l’Italia fascista conduce contro le tre maggiori armi del giudaismo forse inconsciamente (io credo però consapevolmente) è ottimo indizio del f atto, che sia pure per via indiretta, a questa velenosa potenza superstatale si possono spezzare i denti. La soppressione
    della massoneria, delle società segrete e della stampa cosmopolita, la demolizione del marxismo internazionale e viceversa il costante consolidamento delle concezioni statali fascista permetteranno col tempo al governo fascista di servire sempre più gli interessi del popolo italiano senza curarsi delle strida dell’idra mondiale giudaica »
    5


    Così per molti anni, noi, nazionalsocialisti tedeschi, rappresentammo l’unico partito, di qualche importanza nel mondo, che fosse sin dal principio amico del fascismo italiano; che cercasse di comprendere questo fenomeno politico, che parlasse francamente della necessità di una collaborazione coll’Italia fascista.
    Così tutti coloro che per motivi politici ideologici’ erano in opposizione col fascismo, furono anche i nostri nemici accaniti. Me anche nei circoli’ dei nostri compatrioti, che erano pronti ad unirsi alla nostra idea, trovammo molti malintesi, molta opposizione e molti dubbi quando p8rlammo della collaborazione coll’Italia.
    Infatti, la conoscenza della nazione Italiana non fu molto divulgata nella Germania di quell’epoca. Ci furono molti ammiratori dei grandi pittori, architetti e scultori, ma la maggioranza sapeva pochissimo della vita politica, delle forze morali del popolo italiano. Ci furono anche coloro che una volta avevano visitato l’Italia in viaggio di nozze, un’occasione poco propizia per fare
    degli studi profondi su1l’avvenire politico di un’altra nazione; la maggioranza era di quelli che avevano veduto l’Italia venti o trenta anni or sono, al tempo che vi aveva posizione preminente la massoneria e la democrazia. Anche essi si mostravano quasi sorprese poco fiduciosi in questa Idea ed in uno possibilità di collaborazione.
    In talune provincie della nostra patria, come ad esempio in Austria, le difficoltà psicologiche ai ingrandivano ancor di più. Infatti in quegli anni, quando l’unione di queste regioni alla patria non era ancora un fatto compiuto, molta gente credeva che l’Italia anzitutto avrebbe fatto opposizione a questa aspirazione di tutta la nostra nazione. Il nostro compito di nazionalsocialisti non fu facile nel ripetere ai nostri compatrioti che il Ducee il Fuhrer avrebbero rivolto anche questo problema.
    I nostri avversari politici ci obbiettarono spesso, che l’antagonismo tra romanesimo e germanesimo era quasi una Iegge fondamentale della storia. E pur troppo, qualche volta, citarono anche scrittori italiani che avevano affermato questa tesi erronea.
    « E non versò forse il nostro popolo torrenti’ di sangue nel medioevo per le funeste conseguenze della politica dei nostri imperatori insensati, che consumarono la forza del loro popolo nelle spedizioni medioevali verso Roma? E adesso vogliono i « nazi» ricominciare tali esperimenti? » Così sì diceva.
    Oggi uniti da una fermissima alleanza, marciando verso una vittoria comune, questi obiettivi di allora ci sembrano infinitamente sorpassati, antiquati, superficiali; ma in quell’epoca ci
    6


    hanno creato molti fastidi. Il genio del vero statista riconosce sempre le necessità storiche prima della massa del popolo che non capisce che alcune frasi ad effetto ; il genio sa scoprire sempre il vero contenuto, il chiaro insegnamento della storia, mentre che gli altri ne discutono solo gli episodi secondari.
    Col loro vivo senso della vera grandezza, del vero avvenire dei rispettivi popoli, il Duce ed il Fuhrer non hanno indugiato a sviluppare l’alleanza, la marcia comune delle due nazioni, dando consistenza alla storia di un avvenire glorioso in comune, nonostante coloro che fraintendevano il passato.
    Si possono trovare elementi affini, parallelismi indiscutibili nella storia dei nostri due popoli. Ci sono stati anche contrasti e bisogna analizzarli con ogni franchezza, basandoci sulla evidenza degli elementi basilari della storia di entrambe le nazioni.
    Senza svalutare l’importanza della civiltà antica preromana nel Mediterraneo, che gli scavi degli ultimi decenni a Creta, Malta e sul suolo Italiano ci hanno mostrato, dobbiamo sottolineare che dal punto di vista linguistico, i dialetti italici, come il latino stesso, appartengono alla famiglia indoeuropea e che come tali essi sono vicinissimi ai dialetti germanici e celtici. Le prime concezioni del diritto, basate sul patriarcato del « pater familias », sulla proprietà gentilizia, sull’unità del podere sussistono tuttavia elementi comuni colle altre tribù della grande famiglia indoeuropea. Esiste dunque una sicura affinità primordiale, tra stirpe latina e germanica, fatto che non deve essere troppo esagerato ma neppure ignorato.
    Se si considerano i primi secoli di contatto tra romanesimo e germanesimo in un riassunto storico, essi possono apparire un ininterrotto susseguirsi di guerre e di battaglie. Infatti, osservati dal punto di vista della storia della civiltà, vi furono non solo molti periodi di pace tra le guerre, dal tempo della migrazione dei Cimbri fino alle grandi migrazioni di popoli, ma vi fu pure una penetrazione mutua tra le due civiltà. La romana era civiltà urbana, la germanica, civiltà rurale ; l’una erede di tutte le civiltà preesistenti dell’antichità, con una amministrazione ben congegnata, con strade ammirabili, in una parola coll’organizzazione dello Stato ; l’altra la germanica ancora in evoluzione, comparabile al tempo preomerico e omerico dei Greci, tempo di semplice agricoltura, dei villaggi di contadini, dei principi di tribù, e delle saghe cantate nelle case costrutte in legno.
    L’Impero medioevale « Sanctum Romanum Imperium Natione Germanica » non era nè una vittoria del romanesimo sul germanesimo, nè del germanesimo sul romanesimo. Come fu costrutto
    7


    da Ottone I nel 964 fu invece una sintesi. Lo Stato Romano, l’idea statale degli Imperatori romani successori di Augusto, fu saldata all’idea del re eletto, dei tedeschi ; l’autorità imperiale dello Stato Romano, alla fedeltà feudale germanica : la forza dei due popoli si fuse in una unione più forte che in ogni altro Stato d’Europa. La Chiesa, rispettando l’autorità consacrata dell’Impero, delegava i suoi vescovi all’amministrazione dello stesso, espressamente riconoscendo che essi fossero nominati dall’Imperatore, al quale competeva anche il sommo potere dell’organizzazione ecclesiastica, mentre al Papa era lasciato il sommo potere nel campo della dottrina.
    Questa unità romano-germanica chiamata «Sanctum Romanum Imperium Natione Germanica » fu così, non soltanto più forte di ogni altra nazione ma conseguì successi incontestabili nel campo della grande politica. I Bizantini furono cacciati dalla maggior parte dell’Italia Meridionale; gli attacchi dei Saraceni furono respinti; l’Ungaria, la Polonia, la Danimarca diventarono Stati vassalli dell’Impero. Conquistata la Borgogna da Corrado II nel 1034, un immenso quadrato si era formato nel mezzo dell’Europa dal Rodano ai Carpazi, dall’Jutlandia alle coste dell’Italia Meridionale e per molti decenni esso godette una pace più o meno completa e benefica.
    Sotto la protezione dell’Aquila Imperiale si sviluppò il primo commercio medioevale di carattere transcontinentale, col trasportare le spezie dall’Oriente su navi italiane sino a Venezia, Genova, Amalfi, Bari, Trani; poi su carri delle confraternità tedesche dei vetturini, oltre le Alpi, dove venivano barattate coi metalli dei monti della Germania Settentrionale. Per giovane, retrivo, non coordinato che fosse questo Impero, esso si forgiava tuttavia man mano una economia basata sulla grande disponibilità di ricchezze naturali, sul dominio delle strade di importanza economica, sull’artigianato perfezionantesi per potenza guerriera.
    Ma non mancavano le debolezze, i punti vulnerabili. Il popolo tedesco era bensì molto numeroso, ma obbligato alla difesa di assai vasti confini ; era orgoglioso della sua bravura militare, ma non bastantemente progredito dal punto di vista economico, essendo ancora in grande maggioranza rurale, privo di grandi città, che si svilupparono solo più tardi a poco a poco. Il popolo della penisola, anch’esso orgoglioso della sua antica civiltà, fondendosi in quell’epoca Longobardi con Romani, Veneziani con Meridionali in una nazione nuova, l’Italia, aveva una più sviluppata economia, ma anche dei problemi ignoti all’altro compagno il quale malamente conosceva il grande paese posto
    8


    dall’altra parte dei monti e col quale era unito. Ambedue le nazioni mostravano molte differenze nelle singole provincie, città, tribù. Avrebbero così avuto bisogno di molta buona volontà, di molta psicologia per evitare malintesi, probabilmente più di quanto non possedessero gli uomini di quell’epoca.
    La Chiesa, secondo la costituzione data all’Impero da Ottone I e sviluppata poi dai suoi successori, agiva da organizzazione intermediaria. Colla sua tradizione romana, col suo sistema amministrativo diffuso in ogni parte dell’Impero, era come incaricata di tenerne unite le parti. Questo era infatti il compito di vera pace della Chiesa.
    Ma se la Chiesa mancò poi a questo compito, se non si contentò di essere una forza di coesione, ma pretese il dominio di quel mondo che fingeva sprezzare, ne derivò inevitabile la discordia. Colla perspicacia che suggeriscono l’odio e l’invidia, gli avversari riconobbero in questo punto la vulnerabilità dell’Impero.
    Così mentre nelle tribù germaniche si sviluppava la coscienza del proprio valore, i germanici non venivano romanizzati, come lo erano ad esempio i Celtiberici della Spagna e i Galli della Francia, conservavano la loro lingua, il loro diritto e i fondamenti della loro civiltà patriarcale, seppure avessero imparato molte cose dai Romani, come ad esempio le costruzioni in pietra, l’arte del falegname, la coltivazione degli ortaggi e quella della vite.
    D’altra parte ogni conoscitore dello sviluppo storico del terzo, quarto, quinto e sesto secolo sa, che l’arte dell’orefice ad esempio era gestita da germani al servizio dello Stato Romano e che benché a capo dei suoi eserciti Roma non si sottraeva alle influenze che le venivano dalle tribù germaniche.
    Non furono dunque dei veri barbari che attaccarono una civiltà progredita ; e neppure queste povere tribù di pescatori delle paludi e di cacciatori dei boschi brumosi, potevano essere un problema insolubile per i legionari di Roma.
    E peraltro, non una civiltà decadente ha ceduto all’assalto della giovinezza, poiché alla fine della migrazione dei popoli l’Italia era rimasta Romana, i popoli germanici, che erano immigrati nella penisola, erano stati o sterminati o romanizzati, come i Longobardi celebri per la loro mirabile arte di orafi e di armaiuoli.
    In verità, anche dopo lunghi secoli di’ immigrazioni e di battaglie il campo del Mediterraneo era rimasto romano ; le Alpi Centrali erano diventate i confini delle due Nazioni. Nessuno aveva vinto definitivamente l’altro.
    9


    Quanto grande sarebbe stata la potenza di colui che fosse riuscito ad unire le forze di due popoli tanto ingegnosi !
    E’ davvero un compito attraente lo studiare la politica di Teodorico re dei Goti, in quanto egli tentò infatti di riunire romanesimo e germanesimo.
    L’impero di Carlomagno riuscì ad estendersi sui paesi più importanti d’Europa, associando Romani e Germani, ma si dileguò nelle mani di successori inabili. Probabilmente la sua costituzione non era abbastanza solida.
    Solo coll’Impero di Ottone I ci si trova dinanzi all’idea costruttiva, non di un Impero mondiale quale quello dei Carolingi, ma di una collaborazione tra romani italici e tribù germaniche riunite sotto lo scettro dei re Sassoni’, cioè di Enrico I, dopo il crollo dei Carolingi.
    Furono i monaci di Cluny, rigidissimo monastero della Borgogna, francesi di nazionalità, opposti alla concezione dell’Impero Romano, che svilupparono le tre idee della riforma ecclesiastica ; il celibato, il divieto del simonismo, cioè della vendita degli uffici ecclesiastici, e il divieto dell’investitura laica. Questa terza premessa, significava che nessuno laico, neppure l’Imperatore in persona, poteva installare un ecclesiastico, essa portò la morte al cuore dell’Impero, col privare l’Imperatore della facoltà di poter disporre dei propri clerici, cioè dei suoi migliori funzionari di quel tempo, quando solo i clerici sapevano scrivere e leggere; essi venivano sottomessi invece agli ordini del Papa, che li dispensava dai loro doveri verso l’Impero.
    Su questo Impero, in tal modo condannato a morte, i cluniacensi elevarono il potere unico, assoluto, della Chiesa, unito nelle mani del Papa. Come Dio domina l’umanità, il sole la terra, così il clero doveva dominare sui laici. Rigidissimi campioni del dominio dei Papi, i cluniacensi cominciavano col distruggere i fondamenti spirituali dell’Impero, basato sulla collaborazione della Chiesa coll’Imperatore, pretendendo la sottomissione dell’Imperatore, in ogni caso, all’autorità papale. E non si dimentichi che furono quelli dei francesi o degli oppositori della Borgogna, recentemente annessa all’Impero, come ad esempio il fratello del duca di Lorena, Federico di Lorena, relegato nel monastero di Monte Cassino a causa della sua opposizione all’Impero, poi abate di Monte Cassino e finalmente Papa; il primo Papa del movimento cluniacense. Borgognone fu il monaco Ildebrando, poi papa Gregorio VII, il più importante di quei rivoluzionari ecclesiastici che pensavano da francesi, e nutrivano un sentimento di viva avversione all’Impero. Tutti costoro
    10


    si erano raccolti nel monastero sull’Aventino funzionante da avanguardia della più grande rivoluzione spirituale contro l’idea dell’Impero.
    A ragione afferma il prof. Bock che in Francia il Richero, monaco di Reims, già nel decimo secolo aveva esposto nei suoi quattro libri delle « Storie » che la sovranità dei Carolingi francesi doveva estendersi «a tutto l’Impero di Carlomagno E come nella stessa Francia il Suger reclamò l’Impero per il Re di Francia, così lo spirito di Cluny era favorevole a queste pretese francesi, era cioè francese nell’essenza.
    Il successore di Gregorio VII, papa Urbano II, fu francese lui pure. Con sano istinto politico la nobiltà romana di quel tempo, si oppose a questi papi stranieri e sovvertori, negatori della tradizione. Tre volte le grandi famiglie romane elessero antipapi fedeli all’idea imperiale. Pur troppo in quel tempo, la vedova dell’Imperatore Enrico III, l’Imperatrice Agnese, tutrice del pargolo imperiale Enrico IV, era sotto l’influenza dei cluniacensi ed ella stessa era nata principessa di Poitou. Così essa non confermò quegli antipapi ghibellini.
    Quando Enrico IV salì al trono era troppo tardi. Gregorio VII spezzò la resistenza della Chiesa di Milano e della nobiltà romana e scatenò una lotta accanita contro il giovane Imperatore con piena connivenza della Francia.
    Urbano II promosse le crociate francesi, che dovevano dare carattere religioso alle guerre intraprese per assicurare l’egemonia francese nell’Oriente. La collaborazione fra il papato e il regno francese si stringeva sempre più. Celasio II andò personalmente in Francia nell’anno 1119 per sollecitare l’aiuto di Ludovico VI contro l’Imperatore Enrico V; Alessandro III si organizzò contro Federico Barbarossa coll’aiuto della Francia ; Innocenzo IV principiò la lotta decisiva centro Federico II col mezzo delle armi francesi.
    Urbano IV e Clemente IV, sanzionando lo smembramento dell’Italia, appena unita sotto lo scettro della Casa Sveva, avevano consegnato la Sicilia a Carlo d’Angiò. Quando il bello e giovane Corradino cogli ultimi fedeli della sua Casa fu catturato, fu il papa a dare quel tristo consiglio a Carlo d’Angiò: « Vita Corradini mors Caroli et mors Corradini vita Caroli ».
    Durante il mio soggiorno in questi ultimi tempi a Napoli ho veduto, profondamente commosso, il ceppo sul quale il nobile principe rappresentante dell’Impero fu giustiziato dal carnefice di Carlo d’Angiò dopo una procedura di nera ingiustizia.
    In questo giorno trionfarono l’odio e l’invidia sulla tradi-
    11


    zione gloriosa dell’Impero ; cadde il bel Corradino vittima degli intrighi nemici contro la grandezza e l’unità sia dell’Italia che della Germania.
    Quale ne fu la conseguenza? Già durante queste lotte accanite fra l’Impero e la Chiesa sotto l’influsso pernicioso dei re di Francia, gli Imperatori erano stati costretti a rinunciare a importanti diritti in favore di principi e signorotti della Germania. L’individualismo germanico, sventura e maledizione di tutta la nostra storia, trionfò. Da quel tempo la Francia avanzò verso il Reno occupando nel 1307 l’arcivescovado di Lione, nel 1316 il Valentinois, nel 1334 il Delfinato, paesi tutti già appartenenti alla Borgogna imperiale. Più la Germania era frazionata, più la Francia avanzava e nel 1551 il re di Francia potè impadronirsi delle importantissime fortezze di Metz, Toul, Verdun, approfittando delle lotte religiose che in quell’epoca aggravavano la debolezza dell’Impero.
    Mentre le famiglie dei diversi Imperatori cercavano più di aumentare il dominio territoriale che di restituire la grandezza avita all’Impero, i Papi erano forzati di trasferirsi ad Avignone sotto la stretta sorveglianza dei Re di Francia; si chè, per di più d’un secolo, la Santa Sede fu occupata dagli ex maestri di scuola dei Re di Francia.
    La Germania perdeva un territorio dopo l’altro, un diritto dopo l’altro, ed anche movimenti di grande portata quali l’espansione delle città settentrionali della Germania, riunite nella Hansa, andavano a vuoto perchè il frazionamento politico, l’individualismo, la mancanza di un centro di attività politica comune, impedivano ogni duraturo successo.
    In Italia era la stessa cosa. Vinti i ghibellini, i guelfi diventarono quasi un partito francese. Invano Dante aspettava la rinnovazione dell’Impero ; il frazionamento politico dell’Italia colle sue repubbliche, collo stato papale, coi suoi duchi, cogli Angiò a Napoli, rassomigliava assai alla disintegrazione della Germania. E ne derivarono le stesse conseguenze. Interessantissima è la storia d’Italia di quei secoli di guerre e di rivoluzioni, di audaci condottieri di popolo, di lotte drammatiche tra le grandi famiglie e le grandi città ; di Venezia contro Genova ; di Firenze contro Pisa ; era una danza quasi macabra che non consentiva all’Italia, nonostante tanti sacrifici, tanto sangue e tanto genio di potersi sviluppare in un complesso politico cui avrebbe avuto diritto per il numero dei suoi abitanti, per i vantaggi della sua posizione geografica, per la genialità dei suoi spiriti elevati.
    Annichilito l’Impero trionfò la Francia e con essa l’indivi-
    12


    dualismo. Anche in quel tempo molti elementi ci accomunavano. La storia del lavoro ci mostra la bravura degli artigiani italiani, tra cui primeggiavano i Maestri Comacini e gli architetti lombardi, ed in Germania gli artigiani di molte professioni ; si fa a t. menzione di minatori tedeschi da Venezia ; nelle città anseatiche di Lubecca e di Rostock, si trovano delle « Lombardstrassen ». Il Durer studiò a Venezia; studenti tedeschi apprendevano il diritto a Roma e a Bologna, importandone l’essenza in Germania dove lo sviluppo giuridico fu profondamente influenzato dal « Corpus Juris ». L’Imperatore, conservando il retaggio degli Imperatori Romani, si chiamò successore di Augusto, cercò la corona a Roma, dove più non aveva il diritto di risiedere.
    Non mancarono esempi di cameratismo guerriero ; il Frundsberg vinse i francesi nella battaglia di Pavia ; Ottavio Piccolo- mini, fu generale dell’Imperatore al tempo della guerra dei trentanni ; il conte di Montecuccoli fu celebre generale nelle guerre contro i Turchi, e infine il più illustre di tutti, il genio militare del suo tempo, fu il Principe Eugenio di Savoia.
    La situazione geografica dei due popoli per frazionati che fossero dall’individualismo, li obbligava talvolta nonostante la situazione interna, a riunire le proprie forze ; la repubblica di Venezia si oppose, assieme all’Impero Germanico, all’espansione dei Turchi con guerre gloriose combattute in Morea ed a Creta.
    Nella guerra di successione di Mantova (1629-1680) le armi sabaude e tedesche si opposero al cardinale Richelieu, tipico rappresentante della politica francese, e le forze del Piemonte e della Savoia si saldarono con quelle dell’Impero Germanico in uno stesso vivo sentimento, per difendere il suolo patrio dall’aggressione di Luigi XIV.
    In quei secoli la Francia sviluppava alla perfezione il suo sistema di smembramento e di frazionamento diretto contro i due popoli vicini, venendo così a conservare ingegnosamente un predominio innaturale basato solo sulla loro debolezza e sulle loro lotte interne, prodotte a forza di intrighi architettati dalla diplomazia francese.
    Negli stessi secoli l’Inghilterra sottraeva, uno dopo l’altro, il dominio del mare alla Spagna, ai Paesi Bassi, alla Francia. Nel 1707 occupava Gibilterra e chiudendo il Mediterraneo, incarcerava l’Italia nel proprio mare, mentre nel nord impediva alla nazione germanica ogni tentativo di usufruire delle ricchezze dell’oltremare.
    13


    Non mancarono elementi comuni nel seicento, nel settecento, nell’ottocento tra la storia italiana e tedesca, germinati dalla stessa situazione, dell’essere cioè sempre sottomessi alla politica materialistica ed insidiosa dei profittatori della nostra funesta disunione ed alle ripercussioni del debole sentimento nazionale dei due popoli.
    In tutto comune fu la tragedia dell’essere esclusi dalla grande colonizzazione. Quale nazione ha fatto tanto per l’esplorazione del nuovo mondo quanto l’Italia? Colombo, i due Caboto, Amerigo Vespucci sono i veri esploratori dell’America. Sulla tomba di Colombo si leggono le seguenti parole spagnole : « A Castilla e a Leon, nuevo mundo diò Colòn ». Ma che cosa potè dare all’Italia? Gloria e null’altro.
    Il popolo germanico coi suoi esploratori e geografi quali il Behaim, il Regiomontanus, il Waldseemuller ha lavorato con passione per l’esplorazione dei continenti nuovi.
    Lavorare per gli altri e rimanere poveri questo fu il destino nero dei due popoli. E per di più, in conseguenza delle nuove scoperte, le strade del nostro commercio si spopolarono man mano ; il Mediterraneo ed il Baltico non furono più come prima di grande importanza per il commercio, se comparati agli oceani dai quali fummo esclusi.
    Frazionati, impoveriti, vivendo più del pasato che dell’avvenire, nell’ottocento, sia l’Italia che la Germania, cedettero sotto i colpi della rivoluzione francese.
    Dopo le guerre di Napoleone gli Italiani come i Tedeschi per-dettero il diritto naturale all’unità nazionale e all’indipendenza. E sopra l’individualismo separatista dell’Italia e della Germania, sui granducati e sui principati, vegliava affinchè una nuova vita non si destasse, la Casa d’Asburgo, monarchia che pesava su molte nazioni, consolidata dal congresso di Vienna coll’aiuto dell’Inghilterra e della Francia ; la « arci-casa » come si intitolava, avvolta nello scampolo della porpora Imperiale, egoista, nemica allo sviluppo fatale della nazione Germanica come di quella Italiana.
    Gli Asburgo vollero conservare le provincie tedesche, e poiché le altre nazionalità del loro Stato mosaico, si opponevano ad essere unite ad una grande Germania, essi separarono per forza anche i sudditi germanici dalla vera Germania. Gli Asburgo vollero conservare le provincie dell’Italia e così si opposero accanitamente all’indipendenza e all’unità italiana, sfruttando la fedeltà dei loro sudditi tedeschi per continuare una politica di oppressione vicendevole che non soltanto era diretta contro i vitali
    14


    interessi della nazione germanica, ma andava anche complicando di proposito le relazioni di sentimento tra l’Italia e la Germania.
    A Vienna fummo delusi tutti e due, Italiani e Tedeschi. 11 congresso di Vienna sanzionava la vittoria dell’Inghilterra che poteva sbarrare il Mediterraneo ; sanzionava il frazionamento esiziale in Italia come in Germania e gli Asburgo, pretendendo di fare una politica germanica sacrificavano la gioventù delle provincie tedesche per mète razionarle e praticamente si opponevano a qualsiasi idea di nazionalismo, anche di quello germanico e vigili sorvegliavano che nessun alito di libertà si levasse.
    Per le due nazioni quella monarchia supernazionale, non simpatizzande per alcuna parte, ma sfruttante ambedue, fu il vero ostacolo all’avvenire cui avevano diritto.
    Mazzini da una parte, i rivoluzionari della giovane Germania dall’altra, furono i primi a riconoscere che l’eliminazione della Casa di Asburgo, di questo incubo di sterilità, era una necessità ineluttabile sia per gli Italiani che per i Tedeschi.
    Nel 1848 infatti, in uno stesso tempo, il popolo italiano e gli studenti di Vienna, convinti unitari germanici, insorsero contro gli Asburgo, non in conseguenza d’una collaborazione premeditata, ma perchè nè l’unità dell’Italia nè l’unità della Germania avrebbero potute essere realizzate senza il dissolvimento di quella monarchia mosaico, clericale, antiprogressista.
    E’ dunque in un parallelismo sorprendente, che l’unione nazionale dei due popoli venne attuata da due Stati, il Piemonte e la Prussia, i quali dovettero combattere, per realizzare l’unità nazionale, la Casa d’Asburgo. Questo fatto fu particolarmente penoso per la Prussia, perchè furono di nuovo i tedeschi dello Stato Austriaco, che si dovettero sacrificare per la politica del loro sovrano e pertanto il conflitto degenerò in una guerra fratricida, mentre in Italia l’unificazione degli spiriti era così avanzata che gli Asburgo non trovarono aderenti e la lotta contro l’egemonia straniera suscitava maggiore entusiasmo. Sia in Prussia che in Piemonte però una corrente liberale-democratica voleva attuare l’unità a mezzo d’una riforma democratica, vagheggiando la creazione d’una re-pubblica. I due geniali, statisti di quell’epoca Bismark e Cavour dovettero così, vedendo con tutta chiarezza i pericoli di un simile tentativo, lottare anche contro questi gruppi abbastanza influenti.
    La guerra del 1866 fu condotta dalla Prussia e dal Piemonte assieme, contro la monarchia Austriaca. La conclusione naturale di questa guerra sarebbe stata la dissoluzione completa dell’lm-
    15


    pero degli Asburgo, la riunione di tutte le provincie tedesche alla Germania.
    Ma ci si mise di mezzo ancora una volta la politica tradizionale della Francia e della Curia. Napoleone III richiese alla Prussia vittoriosa, compensi territoriali, come Magonza chiave della vallata del Meno, inaccettabili per l’avvenire della Germania. Così Bismark chiuse la guerra coll’Austria, che rimase intatta, e dovette prepararsi ad una nuova lotta, quella contro la Francia, per mettere fine alla tracotanza francese.
    Lo stesso Napoleone III si opponeva pertanto all’unità dell’Italia, occupando Roma in stretta collaborazione colla politica della Curia ; Oudinot faceva sparare contro le camicie rosse di’ Garibaldi e dopo il tradimento di Villafranca la Francia smascherava senza vergogna la sua politica verso l’Italia. Scrisse l’Amicucci :
    « Ma ritiratosi Cavour dal Governo, dopo Villafranca, il nuove Ministero Rattazzi-La Marmora si trovò di fronte al problema delle annessioni dell’Italia Centrale. La situazione mutò nuovamente. I successi della rivoluzione nell’Italia centrale ingigantivano la tenace, secolare, mai smentita ostilità francese contro l’Italia. La Francia fu colta da un vero accesso d’isterismo quando ebbe notizia delle imminenti annessioni dei Ducati dell’Emilia della Toscana al Piemonte. Tutta la Francia si schierò contro il Piemonte. Il governo, la stampa, le fazioni, i partiti iniziarono una violenta campagna antitaliana. Ribolliva ovunque l’eterna gelosia francese al profilarsi delle nostre fortune. Alla fine Napoleone III inviava a re Vittorio Emanuele quel telegramma da ricattatore : « Occorre che la questione di Nizza e Savoia sia immediatamente risolta. Se il vostro governo non prende misure energiche, io prevedo le più gravi sciagure, perchè oggi la Francia non rinuncierà per nulla al mondo a queste due provincie ». Così Napoleone III intascò la patria di Garibaldi per mezzo d’una manovra politica infatti assai poco corretta.
    Prima però della sconfitta dei francesi nella battaglia di Sédan e la resa di Napoleone III, crollò il dominio pontificio a Roma, ostacolo all’unità italiana e le truppe del Regno marciarono per porta Pia nella città eterna.
    Ma l’opera di Cavour e di Bismark rimasero soluzioni parziali ed incomplete. Nè l’unità della nazione tedesca nè l’unità della nazione italiana erano perfette. L’impero di Bismark era compresso tra la volontà nazionale unificatrice del popolo germanico e la sovranità dei singoli Stati mentre milioni di tedeschi vivevano ancora fuori del Reich nello Stato Austriaco. All’Italia mancavano le frontiere naturali e il movimento per la liberazione
    16


    dei fratelli irredenti infiammava sempre di nuovo i cuori della nazione.
    Per quanto la diplomazia si sia adoperata a stringere sempre più l’alleanza tra l’Austria, la Germania e l’Italia, il gran problema dell’unificazione del popolo italiano e del popolo tedesco era sempre presente. E poichè la diplomazia non riuscì a risolvere il problema e non seppe seppellire il cadavere della monarchia degli Asburgo al momento opportuno, scoppiò ancora una volta un conflitto che minacciò di rovesciare di nuovo la situazione.
    Bisognava avere una chiarezza una perspicacia di visioni, di grandissima portata, per riconoscere fra tutte le bugie di Versaglia, tra gli errori d’un periodo offuscato di tanta tragedia, gli elementi eterni della storia!
    L’aveva il Duce, che suscitando in Italia il movimento rivoluzionario del Fascismo, chiamava il popolo italiano a riesaminare la situazione. Dal primo momento della guerra il popolo italiano era stato ingannato dai suoi alleati; sì trovava accerchiato dalle plutodemocrazie invidiose, dall’Inghilterra che lo aveva fatto prigioniero nel suo mare. Col vivo intuito del grande condottiero il Duce riconobbe che si andava preparando il conflitto con gli alleati di allora.
    D’altra parte, sparita finalmente la monarchia Austro-Ungarica, nella zona a settentrione dell’Italia non restava che stabilire un’intesa col popolo germanico in quanto ai confini naturali, e da parte germanica non restava che la riunione delle provincie già Austriache, perchè la strada verso una durevole alleanza italogermanica fosse libera.
    Così il Duce criticando a fondo il sistema di Versaglia conglobò tutto il popolo italiano in una massa compatta, sbaragliò tutti i partiti e costruì ferreamente l’avvenire sui principii della volontà, della grandezza e del dovere.
    Il Fuhrer sino dai suoi primi anni di attività politica, convinto della necessità di riunire tutta la nazione germanica in un Reich, perciò nemico consapevole degli Asburgo, e già dall’anteguerra, aveva cominciato a riunire il popolo germanico inquadrandone i primi campioni dell’avvenire nazionale, nel partito nazionalsocialista e combattendo accanitamente gli avversari eterni della nazione, i giudei, i plutocratici, gli individualisti.
    Esaminando la situazione politica sociale ed economica dei loro rispettivi popoli, i due grandi Capi riconobbero che già da lungo tempo tutte le forze distruttive, sovversive, antinazionali, l’alta finanza, i circoli della potenza economica fossero influenzati e diretti da una gente che non si poteva ignorare, i giudei.
    17


    I giudei si erano impadroniti d’un potere sempre più vasto. Da usurai, da piccoli commercianti, da manutengoli, erano divenuti prima banchieri dei principi, poi maestri segreti del cambio e del denaro, poi, già nell’ante guerra, per mezzo della democrazia parlamentare, dominatori della vita politica. Nella grande guerra non ci fu uomo di una certa influenza politica che non avesse un «segretario » giudeo. Così Philipp Sassoon, fu segretario dell’alto comandante Britannico Sir Douglas Haig; il giudeo Giorgio Mandel fu segretario di Clemenceau e il rabbino Stefano Wise
    accompagnò il presidente Wilson sorvegliandolo, mentre Bernardo Baruch fu dittatore onnipotente dell’economia degli Stati Uniti durante la guerra.
    Ma i successi non bastavano loro. Aspiravano a mète ancor più alte, alla conquista del mondo per mezzo di rivoluzioni organizzate nei circoli marxisti e massonici, di crisi economiche provocate espressamente per rovinare l’economia dei popoli lavoratori.
    Ogni stato nazionalista era infatti minacciato da queste aspirazioni; bisognava difendersi o perire. L’Italia Fascista, come la Germania Nazionalsocialista per la loro pura essenza di Stati a carattere eminentemente nazionale non potevano ignorare il pericolo.
    I circoli dirigenti del giudaismo avevano in animo di rinnovare il macello della grande guerra, onde imporre il dominio giudaico sulle rovine del mondo dei popoli onesti; questo proposito era ben conosciuto dal nazionalsocialismo e dal fascismo.
    Volete alcune documentazioni su ciò? Il 16 gennaio 1919 un grande giornale dei giudei negli Stati Uniti d’America il « Jewish World » scrisse: «Il giudaismo internazionale ha costretto l’Europa a combattere questa guerra non al solo scopo di accumulare una grande massa di danaro, ma altresì per poter fomentare a mezzo di questo denaro una nuova guerra mondiale ».
    Gli scrittori giudaici non hanno esitato a dipingere con colori foschissimi il giorno dell’ultima sottomissione dei « goyim ».
    Sentivano che il tempo urgeva. Già in Italia il Duce aveva abbattuto il potere dei massoni, distruggendo quale un secondo Tito il tempio di Salomone, e mostrando agli italiani la strada gloriosa dell’antica grandezza. Era da temere che sorgessero movimenti analoghi in altri paesi. Il poeta e politico giudeo Samuel Roth e il famoso scrittore Israel Zangwill pubblicarono nel 1925 a Nuova-York un libro intitolato: «Ora e per sempre» (« Now and forever ») che dedicarono al cancelliere dell’università giudaica di Gerusalemme Judah Leon Magnes. In questo libro di-
    18


    pinsero la guerra futura, la guerra panebraica, il giorno del grande annichilimento dei goyim. Le masse di giudei saranno mobilitate in India, in Persia, in Cina e in tutti i paesi vicini; tutto l’Oriente si sveglierà con nuove concezioni sociali. Poi apparirà l’Uomo Terribile. Un uomo suo pari non fu mai sulla terra. Egli sarà il capo della spedizione della vendetta; avrà seco alcuni milioni di uomini, che porteranno fialette gialle nelle pieghe degli abiti. Il mumero dei suoi uomini aumenterà sempre più e la superficie della terra diventerà nera di orde innumerevoli. Per sei giorni e sei notti la luce sarà prigioniera delle potenze occulte, perchè in sei giorni Jehova creò il mondo. A poco a poco una nebbia gialla scenderà dall’alto e penetrando mei polmoni produrrà dolori simili a quelli che produce lo strappo delle unghie.
    Una enorme confusione dovrà estendersi in questi sei giorni di terrore, ogni uomo, uscendo dalla sua casa, sentirà che le piante dei suoi piedi si sono infracidite. L’acqua nel bicchiere saprà di sangue. Le ossa degli uomini diventeranno fragili come piccoli rami. La vita delle nazioni europee abbandonerà gli uomini attraverso la bocca, gli occhi, i pori della pelle dovunque l’Uomo terribile e il suo esercito silenzioso appariranno ».
    Non dei folli erano essi, ma giudei dirigenti ed influenti che già nel 1925 descrivevano in tal modo la guerra che essi bramavano saturi d’odio. Anche il famoso poeta giudaico Bialik celebrò « L’uomo del Terrore » che doveva apparire per sottomettere tutte le nazioni al dominio giudaico, e ne annunciò la venuta nella sua opera « Il rullo di fuoco ».
    Mentre i popoli non giudaici continuavano a litigare e a fraintendersi il giudaismo lavorava con tutti i suoi mezzi per infiammare di nuovo il continente, per minare il resto dell’ordine sociale, per scatenare l’ultima rivoluzione e l’ultima guerra.
    In tutti i paesi la stampa era giudaizzata, i partiti erano comandati da giudei, la letteratura, l’arte, il teatro, erano nelle mani di giudei, Già nella scienza era pericoloso per ogni studioso analizzare il problema giudaico o pubblicare i risultati delle sue ricerche; ogni giorno il giudaismo si avvicinava alla sua vittoria definitiva, all’ultima umiliazione dei popoli ariani.
    E i popoli ariani sembravano dormire, nè si avvedevano che si avvicinava la fine per mano del primo nemico del genere umano. Erano come il coniglio che sotto il fascino del pitone non osa muoversi; temevano persino di esprimere una verità semplice che cioè era in atto una guerra assai più vasta di tutti gli altri conflitti, la guerra del giudaismo contro i popoli lavoratori.
    In quel momento siamo stati noi nazionalsocialisti e fascisti
    19


    i primi ad avere questo coraggio quadrato, base di ogni rivoluzione, e cioè di dire ciò che è vero; di dire apertamente che la civiltà, l’onore, l’avvenire di ogni popolo onesto e laborioso erano minacciati dai giudei !
    Si comprende che la borghesia rideva, che la stampa giudaica levava alte strida, che il giudaismo accellerava il suo intrigo onde scatenare un nuovo conflitto. Quanto più il razzismo e l’idea nazionalsocialista si rafforzavano in Germania, tanto più aumentava l’istigazione alla guerra nei giornali giudaici. Già nel 1932 uno di essi, pubblicato in Polonia, il « Nasz Przegland » (Rivista Nostra) scriveva in occasione del congresso sionista di Ginevra, « che alla Polonia spetta il compito decisivo di distruggere con la forza il nazionalsocialismo germanico ».
    Quando il governo del Fuhrer si è formato, il grande giornale inglese e giudaico «Daily Espress» proclamò il 24 marzo 1933: « La nazione di Israele dichiara ufficialmente in tutto il mondo la guerra economica e finanziaria alla Germania. Nel momento che appare il simbolo della croce uncinata della nuova Germania anche il simbolo della croce del leone di Giuda, si è svegliato a nuova vita. Quattordici milioni di giudei si uniscono per dichiarare la guerra alla Germania ».
    Il consigliere scientifico del Labour Party inglese, il professore Beville Laski, giudeo, proclamò l’11 novembre 1933 a Manchester: «Quanto tempo vuol ancora aspettare il ministero a principiare un boicottaggio internazionale contro la Germania,
    che equivalga ad una dichiarazione di guerra? Tutte le nazioni d’Europa sperano che l’Inghilterra darà il segnale dell’azione ».
    Fu lo stesso giudeo Laski che fomentò le sanzioni economiche per mezzo delle quali il giudaismo britannico tentò di strangolare la nazione di Dante, il quale scrisse in una delle sue celeberrime terzine :
    « Se mala cupidigia altro vi grida
    uomini siate e non pecore matte
    sì che il Giudeo tra voi di voi non rida! »
    Dai primi giorni dei nostri movimenti, nazionalsocialista e fascista, siamo stati attaccati dai giudei e dai loro liberti, perché siamo stati i soli a voler salvare i popoli. In questa lotta ci siamo conosciuti; assieme siamo stati ingiuriati e vilipesi dai giornali marxisti, liberali, plutodemocratici, contro di noi uniti i giudei hanno aizzato gli assassini delle battaglie di strada, l’odio dei nemici non fu minore per l’uno che per l’altro.
    20


    Già nel settembre del 1983 al capodanno del 5698 del rito ebraico, furono pubblicate nelle comunità ebraiche della Polonia cartoline che mostravano il « gallo di Kapores », la vittima rituale dei giudei col volto del Fuhrer, destinandolo in tal modo all’assassinio giudaico.
    Assassinato nel 1986 Gustloff, capo della organizzazione nazionalsocialista dei cittadini tedeschi della Svizzera, il giudeo Vandamm ad Amsterdam, scriveva il ventinove febbraio 1936 sul giornale «De Vrijzinnig Democrat »: « E quanta gente avrebbe dato la sua vita per un uomo che avesse sparato a Mussolini nel settembre del 1935! Evitiamo ogni dogmatismo in quanto al comandamento del non uccidere! Non ogni assassino per motivo politico, è abietto o criminale. Guglielmo Tell è onorato nella Svizzera democratica; e quanto all’uomo che ucciderà Hitler nel momento giusto, io l’adorerò ». Così questo giudeo, già nel 1936, proponeva di assassinare il Duce e il Fuhrer!
    Mentre gli altri popoli dormivano siamo stati noi che abbiamo difeso l’avvenire delle nazioni contro le insidie del giudaismo.
    Il Fascismo vuole che l’Italia sia romana, esclusivamente romana, in virtù delle grandi tradizioni dell’idea romana.
    Il nazionalsocialismo vuole che la Germania sia esclusivamente germanica senza inquinamenti giudaici.
    Sia l’uno che l’altro riconoscono come base solo la propria tradizione, combattono gli stessi nemici, sono animati dalle stesse concezioni dell’eroismo, del dovere, della grandezza nazionale; si comprendono l’un l’altro sempre più. Riunita l’Austria al Reich, stabiliti i confini territoriali nella forma più solenne dalla volontà definitiva del Fuhrer, nessun ostacolo del passato si può più opporre alla marcia in comune, mentre si comprende, che coloro, che per secoli hanno sfruttato la sventura dei nostri popoli, abbiano cercato di logorare l’Asse. Quando non ci sono riusciti, hanno tentato di soffocare l’Italia eroica per mezzo delle indegne sanzioni. La Francia seguì, colla adesione alle sanzioni, niente altro che la politica tradizionale che Clemenceau formulò già, il 19 luglio 1919 parlando. alla Camera francese: « L’errore di Napoleone III nell’aiutare il compimento dell’unità italiana non fu minore di quello da lasciar compiere l’unità germanica. L’Italia cresce in raffronto alla stasi e dalla diminuzione demografica francese. La sostituzione dell’Italia alla Francia è dunque fatale, se la Francia non riesce ad impedire o almeno a paralizzare lo sviluppo italiano. Ma come paralizzarlo? Tenendo più che è possibile in soggezione economica l’Italia, negandole un possesso co-
    21


    loniale capace di darle le materie necessarie di cui difetta, negandole una espansione mediterranea per delle zone di popolamento e costringendola così a continuare a disperdere e a perdere la sua crescente forza demografica, nell’emigrazione transoceanica ».
    L’Inghilterra sì oppose accanitamente all’Italia, alleandosi con Tafari, aizzandole contro tutto il mondo, negando espansione al popolo italiano. Il giudaismo mobilitò tutte le sue forze contro il Duce. In quei mesi di tensione, la Germania del Fuhrer si pose a lato dell’Italia. E la plutodemocrazia dovette cedere.
    Crollato il regime del Negus, creato l’Impero italiano, la Società delle Nazioni fu costretta a riconoscere il fallimento delle sanzioni contro l’Italia; ma la plutocrazia giudaica aspettava un altra occasione.
    Più l’efficienza dell’Asse era manifesta, più i guerrafondai democratici soffiavano nella guerra, vedendo il progressivo e definitivo sgretolamento del sistema e delle concezioni ginevrine. Coll’Unione dell’Austria alla Germania, con l’annessione dei Sudeti, col protettorato sulla Boemia e sulla Moravia, con l’occupazione di Memel, coll’occupazione dell’Albania, colla sconfitta francese l’Asse ha riportato una vittoria dopo l’altra mentre le potenze plutodemocratiche sono state volta a volta battute.
    Così basandosi sulla tradizionale politica inglese dell’accerchiamento le democrazie avevano scatenato la guerra, la loro grande guerra giudaica. In questo momento però l’unione delle due Nazioni, l’amicizia fra i due grandi Capi trionfò gloriosamente.
    Le forze armate dell’Italia, dopo avere inchiodato per mezzo della geniale politica della « non belligeranza » una gran parte dell’esercito francese e della flotta inglese, nell’ora decisiva scesero sui campi di battaglia spalla a spalla colle nostre truppe vittoriose, che avevano occupato la Polonia, la Norvegia, i Paesi Bassi e il Belgio, protetto la Danimarca e sbaragliato gli eserciti della Francia. Davanti alla marcia delle due giovani Nazioni il mondo plutocratico deve crollare!
    Così siamo di nuovo uniti, di nuovo padroni del nostro destino non a mezzo di una concezione medioevale quale quella degli imperatori ghibellini, basata su idee e tradizioni che potevano essere distrutte dal di fuori, perchè imperfette! Ora due Nazioni moderne, consapevoli di sè stesse, rappresentanti idee nuove e di grande avvenire, coi. loro più grandi uomini in testa, marciano assieme.
    Dalla nostra grande, sebbene tragica, storia, abbiamo appreso una verità quadrata che i due primi capimuratori del mendo mo-
    22


    derno ci hanno ripetuto, verità chiara, innegabile, eterna «marciare sempre assieme ».
    Uniti saremo padroni del destino nostro e dell’Europa, dal capo Nord all’Africa, uniti possiamo opporci ad ogni nemico, superare ogni difficoltà, vincere ogni battaglia.
    Unite l’Italia e la Germania saranno sempre in grado di garantire una pace d’onore, di grandezza, di progresso verso le mete più alte del genere umano. Unite formano più di centotrenta milioni in una posizione centrale dominante sul continente; possiamo
    dare all’Europa un lungo periodo di pace benefica e di sviluppo di tutte le sue forze creatrici del quale essa ha veramente necessità.
    Questo compito ci obbliga a riflettere su ogni parola che diciamo, su ogni articolo che scriviamo, poichè siamo uniti e vogliamo lo sviluppo della nostra amicizia e del nostro cameratismo.
    Questa collaborazione, che come vedete ha fondamento nella storia, deve essere aiutata dalla consapevolezza del valore dello sviluppo storico e della mentalità dell’altro camerata. Sappiamo che i Romani rimarranno sempre dei Romani e i Germani rimarranno sempre dei Germani. Non possiamo e non vogliamo cambiare la natura. Vi saranno questioni che i nostri popoli vedranno da diversi punti di vista. In questi casi dobbiamo cercare di comprenderci e nel caso che sì tratti di cose che si sottraggono all’esame della ragione, di cose competenti l’intima coscienza, dobbiamo rispettare i penati del camerata.
    Non dimentichiamo mai l’idea fondamentale della nostra alleanza, che il Duce formulò colla sua incisiva parola contenente sempre una profonda saggezza : « Se sì ha un amico marciare con lui fino in fondo! ». Oggi dunque, domani e pei secoli venturi marciare assieme.
    Nulla potrà più fermare il progresso vittorioso delle concezioni che prima ancora di rinnovare la geografia politica dell’Europa, ne hanno rinnovato la coscienza, restaurando i valori eterni della morale, le tradizioni auguste della storia, difendendo le leggi della vita contro il giudeo, creatore dell’apocalisse.
    Uniti da una concezione della vita che ha trovato concreta attuazione nelle due Rivoluzioni che prendono nome di Fascismo e di Nazionalsocialismo sotto la guida dei due massimi Condottieri della storia, si vanno oggi creando le condizioni non soltanto per una pace duratura, ma per un nuovo ordine sociale nel mondo.
    23


    Note

    [1] Johann Jakob von Leers, nome musulmano dopo la conversione Omar Amin von Leers (in arabo عمر أمين يوهان فون‎?; Karbow-Vietlübbe, 25 gennaio 1902 – Il Cairo, 5 marzo 1965), è stato un militare, politico, esoterista e filosofo tedesco naturalizzato egiziano, Alter Kämpfer e Sturmbannführer onorario nelle Waffen-SS della Germania nazista, dove era un professore noto per polemiche antisemite durante il nazionalsocialismo. Nel mondo intellettuale del nazismo, aveva un dottorato di ricerca in giurisprudenza e una cattedra universitaria all’Università di Jena, da cui gli appellativi di professor von Leers o dottor von Leers.
    In gioventù si occupò di giurisprudenza ma anche di studi linguistici, come la slavistica; divenne un poliglotta: imparò il russo e il polacco, ma anche lo yiddish degli ebrei aschenaziti dell’Est Europa e del Mitteleuropa, l’ungherese e il giapponese; scriveva correntemente in latino.
    Fu un importante ideologo per il Terzo Reich (seppur di secondo piano come apparizioni pubbliche), fautore della realpolitik (chiese per tre volte l’esenzione, per le minoranze razziali non-ebraiche, dalle severe norme delle leggi di Norimberga) e del movimento Völkisch, funzionario per il Ministero della Propaganda di Joseph Goebbels e conoscente di Adolf Hitler e Heinrich Himmler, suo capo nelle SS.
    Per evitare la cattura e una possibile imputazione al processo di Norimberga per responsabilità “morale” in crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come successo agli altri propagandisti Julius Streicher e Alfred Rosenberg (principali ideologi del razzismo scientifico nazionalsocialista, impiccati nel 1946 come corresponsabili dell’Olocausto), nel 1945 von Leers scappò in Italia e dopo cinque anni, emigrò in Argentina. Più tardi, rifugiatosi in Medio Oriente, collaborò col dipartimento egiziano per le informazioni, un servizio segreto fondato nel 1954.

    Inquadramento ideologico

    Oltre che per Goebbels, pubblicò articoli propagandisti antisemiti, nazionalisti e poi antisionisti per il governo dell’Argentina di Juan Domingo Perón e soprattutto per Gamal Abd el-Nasser in Egitto, che allora era in guerra col giovane stato d’Israele per solidarietà coi palestinesi.
    Avversario del pessimismo storico di Oswald Spengler, anticristiano influenzato da Nietzsche e Julius Evola, vicino al misticismo nazista, all’etenismo politeista e alla religione solare classica (assorbiti dal cristianesimo dopo Eliogabalo, Aureliano e Giuliano), collaborò anche con Savitri Devi, agente segreta nazista e scrittrice greca di religione induista e atonista (anche von Leers era interessato alla devozione ad Aton e Amon-Ra nell’antico Egitto), fautrice dell’arianesimo indoeuropeo.
    Dopo la partenza per i paesi arabi, nei suoi ultimi anni von Leers si convertì infine all’Islam sunnita, nel cui monoteismo aniconico vedeva un baluardo anti-giudeocristiano e la vera continuazione dei culti del Sole enoteisti occidentali di ogni tempo.
    Assunse il nome arabo di Omar Amin e condusse trasmissioni radiofoniche di intonazione antisionista e nazionalista araba dopo le preghiere musulmane dell’emittente statale del regime nasseriano. Il suo interesse per il mondo islamico in sé risaliva ad anni prima. Jeffrey Herf riferisce che nel dicembre del 1942 von Leers pubblicò un articolo sulla rivista Die Judenfrage (“La questione ebraica”) un periodico appartenente al mondo intellettuale antisemita, intitolata “Giudaismo e Islam come opposti”. Come indica il titolo, la prospettiva dell’autore è hegeliana, presentando ebraismo e islam in termini di tesi e antitesi. Questo saggio rivela anche l’aggravante prospettiva nazionalsocialista che von Leers proiettava sul passato islamico, nonché l’intensità del suo odio per l’ebraismo come religione. Il seguente passaggio fa parte del testo originale:
    «L’ostilità di Maometto verso gli ebrei ha avuto una conseguenza: gli ebrei orientali (NDR: in questo caso non intende gli aschenaziti ma i sefarditi) sono stati totalmente paralizzati. La loro assise è stata distrutta. Il giudaismo orientale non ha partecipato alla straordinaria ascesa in potenza del giudaismo europeo nel corso degli ultimi due secoli. Disprezzati nelle sporche viuzze del Mellah (NDR: il quartiere ebraico fortificato di una città marocchina, analogo al ghetto europeo), gli ebrei vi vegetavano. Questi ebrei hanno vissuto sotto una legge speciale, quella di una minoranza protetta che contrariamente all’Europa non permette loro di praticare usura né traffico di mercanzie rubate, e li mantiene nell’oppressione e nell’angoscia. Se il resto del mondo avesse adottato una politica simile, noi non avremmo la questione ebraica (“Judenfrage”). L’Islam ha reso un servizio eterno al mondo: ha impedito la conquista minacciosa dell’Arabia da parte degli ebrei. Ha vinto, grazie a una religione pura, il mostruoso insegnamento di Jèhovah. È questo che ha aperto a numerosi popoli la via verso una cultura superiore.» (Johann von Leers)

    Ultimi anni

    La presenza e l’attività di Leers contribuì a sviluppare l’antisemitismo e il negazionismo in Egitto. Von Leers morì al Cairo nel marzo 1965, sebbene alcuni, tra cui Jorge Camarasa, un membro del Centro Simon Wiesenthal (forse in confusione con Alois Brunner, morto in Siria a 98 anni nel 2010), sostengono che avesse finto la morte per sfuggire al Mossad (motivo per alcuni del cambio di nome). È sepolto dal giugno 1965 in Germania, trasferito dopo la sua morte a spese dello stato egiziano e lì inumato a Schutterwald con rito islamico.(fonte)

    [2]Carlo Barduzzi. Ex federale di Trento e di Trieste ed ex deputato dal 1924 al 1929, era stato chiamato a dirigere la «sezione letteratura» del Centro studi anticomunisti costituito nell’aprile 1937. Fin da quell’anno egli si attivò per reperire nominativi di scrittori ebrei da proibire, procurandosi, grazie al capo della Divisione degli affari generali e riservati della pubblica sicurezza, Guido Leto, una lista compilata dalla Gestapo di profughi politici tedeschi, ebrei e non, nella quale Barduzzi o qualche funzionario tedesco segnò con una croce i nomi di scrittori ebrei. L’«Elenco di noti scrittori e giornalisti ebrei che hanno lasciato la Germania dal 1933» fu poi fornito da Barduzzi al Minculpop ed esso confluì nell’«Elenco degli autori le cui opere non sono gradite in Italia» del 1942.(fonte)

    (Vailate, 1 settembre 1889 – Gardone Riviera, settembre 1971). Ingegnere, si dedicò al giornalismo e diresse “Il Brennero” e “Il popolo di Trieste”. Fu diplomatico in Spagna e Francia, console generale a Marsiglia, Tunisi, Colonia e Odessa. Scrisse di letteratura, di storia e fu anche poeta. Visse gli ultimi anni di vita a Gardone Riviera.(fonte)