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Porta San Lorenzo, Roma, 1890 ca

    Porta San Lorenzo, Roma, 1890 ca
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    Edizione inalterabile ROMA – Porta S. Lorenzo. 528A

    retro

    Enrico D’Ancona[1]
    16 – V – 1923


    Data: 1890 c.a

    Autore: Edizione inalterabile[2].

    Soggetto: Roma – Porta S. Lorenzo (o Porta Tiburtina)[3]

    B/N Colore: Virato seppia

    Dimensioni: 24,5 x 19 cm (supporto primario)

    Materiale: cartoncino

    Tecnica:  al bromuro argento stampata in  positivo

    © Archivio Sacchini


    Note

    Nella foto, il cartello “TRAMWAY ROMA-TIVOLI”[4] vicino alla porta, indica la stazione che si intravede da fuori.

    [1] Enrico D’Ancona (1901 – 1982) marito di Beatrice Gulì, figlio di Antonio fondatore dell’Atelier Antonio D’Ancona, Fiume (Rijeka) AntikvariJat Mali neborder Rijeka Ciottina 20B Croati acca year 1900.(fonte)
    D’Ancona Antonio, Fiume, Impero d’Austria-Ungheria. Fotografo di Fiume, attivo dal 1890, menzionato nelle raccolte fotografiche del Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume (Museo Fiume). Ha lo studio in Piazza Andrassy, come emerge dalle fotografie del 1904 di album di famiglia locale (Coll. H. Conighi).(fonte)

    [2] Edizione Inalterabile. Firenze. Carlo Brogi, uno dei promotori della Società Fotografica Italiana che commercializzò sotto il marchio   Edizione Inalterabile stampe fotografiche di paesaggi e opere d’arte italiane. L”attività cessò nel 1950 circa.(fonte)

    [3] Porta Tiburtina o Porta San Lorenzo è una porta d’ingresso nelle Mura Aureliane di Roma, attraverso la quale la via Tiburtina usciva dalla città.

    Storia

    La storia della porta inizia ben prima che le Mura Aureliane in cui è inserita fossero edificate. Nel 5 a.C. Augusto costruì infatti un arco in questo punto, dove si incontravano tre acquedotti, l’Aqua Marcia, l’Aqua Iulia e l’Aqua Tepula, per consentire il passaggio degli stessi sopra la sede viaria. Da qui usciva infatti l’importante via Tiburtina (“via per Tivoli”), dalla quale si staccavano subito la via Collatina e un diverticulum ad lapicidinas vineae Quirini. L’arco fu poi restaurato dagli imperatori Tito e Caracalla.

    Tra il 270 e il 275 l’arco venne inglobato nelle Mura Aureliane: l’imperatore Aureliano ebbe necessità di fornire rapidamente delle mura difensive alla città, e ordinò di inglobare il più possibile nelle mura strutture già esistenti (come ad esempio la casa privata, regolarmente espropriata, nei pressi della porta), anche per evitare di lasciarne fuori edifici che potessero essere usati da forze ostili. Un altro espediente per accelerare i tempi fu quello di aprire un’unica porta in corrispondenza o subito prima di un bivio; così la Porta Tiburtina si trova poco prima che l’omonima strada si divida dalla via Collatina, come la Porta Maggiore si trova in corrispondenza della biforcazione tra le vie Prenestina e Labicana, anche se in entrambi i casi la presenza degli archi degli acquedotti ha reso quasi obbligata la scelta.

    Quando poi l’imperatore Onorio, liberata la zona circostante dall’immensa mole di detriti accumulatasi in 130 anni (abbassando pertanto il livello stradale fin quasi alle fondamenta della cinta), restaurò e rinforzò le mura (401-402), costruì una seconda struttura, posta esternamente alla prima, sulla cui sommità furono aperte cinque piccole finestre, che illuminavano la camera da cui veniva manovrata la cancellata di chiusura della porta. In tal modo l’intera struttura si presenta con un doppio aspetto architettonico: quello romano repubblicano verso l’interno e quello tardoantico, con i merli e le torri, sul lato esterno. Inoltre, la base della porta esterna risulta essere circa un metro e mezzo sopraelevata rispetto alla base dell’arco augusteo e con un’apertura non simmetrica rispetto a quest’ultimo. Tutto ciò dimostra quanto lo scopo della viabilità fosse del tutto secondario rispetto a quello della difesa.

    La datazione della porta esterna è comunque certificata da un’iscrizione quasi integra (visibile anche su un lato della vicina Porta Maggiore) che, oltre alle consuete lodi per gli imperatori Arcadio ed Onorio, riporta, come curatore dell’opera, il nome di Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma nel 402:

    (latino)

    «S. P. Q. R.

    IMPP. CAESS. DD. NN. INVICTISSIMIS PRINCIPIBVS

    ARCADIO ET HONORIO VICTORIBVS AC TRIVMPHATORIBVS

    SEMPER AVGG. OB INSTAVRATOS VRBI AETERNAE MVROS

    PORTAS AC TVRRES EGESTIS IMMENSIS RVDERIBVS EX

    SVGGESTIONE V[iri] C[larissimi] ET INLUSTRIS MILITIS

    ET MAGISTRI VTRIVSQ[ue] MILITIAE FL[avii] STILICONIS

    AD PERPETVITATEM NOMINIS EORVM SIMVLACRA CONSTITVIT

    CVRANTE FL[avio] MACROBIO LONGINIANO V[iro] C[larissimo]

    PRAEF[ecto] VRBIS D[evoto] N[umini] M[aiestati]Q[ue] EORVM»

    (italiano)

    «Il Senato e il Popolo di Roma appose per gli Imperatori Cesari Nostri Signori e principi invittissimi Arcadio e Onorio, vittoriosi e trionfanti, sempre augusti, per celebrare la restaurazione delle mura, porte e torri della Città Eterna, dopo la rimozione di grandi quantità di detriti. Dietro suggerimento del distinto e illustre soldato e comandante di entrambe le forze armate, Flavio Stilicone, le loro statue vennero erette a perpetuo ricordo del loro nome. Flavio Macrobio Longiniano, distinto prefetto dell’Urbe, devoto alle loro maestà e ai divini numi curò il lavoro»

    L’iscrizione risulta di un certo interesse storico anche perché contiene il nome di Stilicone, il generale romano giustiziato nel 408 perché accusato di tradimento e connivenza con il visigoto Alarico I. Il suo nome subì una damnatio memoriae e venne abraso da tutte le iscrizioni e cancellato da tutte le fonti ufficiali. Si trattò però di una damnatio parziale, perché, mentre sull’iscrizione della Porta Tiburtina il nome di Stilicone risulta essere stato eliminato, non altrettanto è accaduto su quella, identica, di Porta Maggiore.

    Probabilmente Onorio sostituì anche le torri semicircolari dell’epoca di Aureliano con quelle quadrate tuttora esistenti.. Secondo altre versioni la squadratura delle torri potrebbe essere stata effettuata a seguito di un restauro, nel XVI secolo, ad opera di Alessandro Farnese.

    A partire dall’VIII secolo, la porta subì quel processo di cristianizzazione della nomenclatura degli accessi cittadini, comune a molti altri ingressi, e cambiò nome in Porta San Lorenzo, poiché subito dopo essere uscita dalla città, la via Tiburtina portava alla basilica di San Lorenzo fuori le mura. Infatti, “dalla porta diramava un portico simile al Vaticano ed all’Ostiense, che conduceva al santuario Laurenziano.”.

    Al tempo stesso, però, il popolo iniziò a chiamarla anche Capo de’ Bove o Porta Taurina, per i bucrani (teste di toro) che decorano sia il travertino dell’arco di Augusto che l’architrave della porta esterna. I due tori, però, oltre che in posizione asimmetrica, sono anche molto diversi tra loro, essendo l’aspetto di quello interno molto più grasso e pasciuto rispetto a quello esterno, magro e macilento; questa differenza era interpretata dal popolino medievale come la diversa condizione tra chi vive fuori e chi abita all’interno della città, protetto e al sicuro. Interessante anche una possibile chiave di lettura “politica”: in città c’era il Papa, circondato dal clero e dai nobili.

    Nel 410 qui si abbatterono inutilmente gli attacchi delle orde di Alarico I, che poi riuscì ad entrare più a nord, dalla Porta Salaria, dando inizio a quello che passò alla storia come il Sacco di Roma.

    La porta fece anche da palcoscenico alla Battaglia di Porta San Lorenzo (20 novembre 1347), in cui Cola di Rienzo ottenne una schiacciante vittoria contro i baroni, uccidendone il comandante Stefano Colonna il Giovane.

    L’arco eretto da Augusto, che ora forma il lato interno della porta e si trova ad un livello alquanto più basso dell’odierno livello stradale, è interamente in travertino, in ottimo stato di conservazione. L’attico è attraversato dai tre acquedotti e reca tre iscrizioni. Quella superiore, in corrispondenza del canale della Aqua Iulia, risale all’anno di costruzione dell’arco e riporta:

    (latino)

    «IMP(erator) CAESAR DIVI IVLI F(ilius) AVGVSTVS PONTIFEX MAXIMVS CO(n)S(ul) XII TRIBVNIC(ia) POTESTAT(e) XIX IMP(erator) XIIII RIVOS AQVARVM OMNIVM REFECIT»

    (italiano)

    «Imperator Cesare Augusto, figlio del divino Giulio, pontefice massimo, console per la dodicesima volta, tribuno della plebe per la diciannovesima volta, imperator per la quattordicesima volta, restaurò le condutture di tutti gli acquedotti.»

    Al centro, sulla conduttura dell’Aqua Tepula, si trova l’iscrizione risalente al restauro di Caracalla nel 212:

    (latino)

    «IMP(erator) CAES(ar) M(arcus) AVRELIVS ANTONINVS PIVS FELIX AVG(ustus) PARTH(icus) MAXIM(us) BRIT(annicus) MAXIMVS PONTIFEX MAXIMVS AQVAM MARCIAM VARIIS KASIBVS IMPEDITAM PVRGATO FONTE EXCISIS ET PERFORATIS MONTIBVS RESTITVTA FORMA ADQVISITO ETIAM FONTE NOVO ANTONINIANO IN SACRAM VRBEM SVAM PERDVCENDAM CVRAVIT»

    (italiano)

    «Imperator Cesare Marco Aurelio Antonino Pio Felice Augusto, Parthicus Maximus, Britannicus Maximus, portò nella sua sacra città l’Aqua Marcia ostacolato da molti impedimenti, dopo aver ripulito la sorgente, tagliato e perforato montagne, restaurando il percorso e fornendo la nuova fonte Antoniniana»

    Sul canale inferiore, quello dell’Aqua Marcia, c’è l’iscrizione celebrante il restauro voluto da Tito nel 79:

    (latino)

    «IMP(erator) TITVS CAESAR DIVI F(ilius) VESPASIANVS AVG(ustus) PONTIF(ex) MAX(imus) TRIBVNICIAE POTESTAT(is) IX IMP(erator) XV CENS(or) CO(n)S(ul) VII DESIG(natus) IIX P(ater) P(atriae) RIVOM AQVAE MARCIAE VETVSTATE DILAPSVM REFECIT ET AQVAM QVAE IN VSV ESSE DESIERAT REDVXIT»

    (italiano)

    «Imperator Tito Cesare Vespasiano Augusto, figlio del divino, pontefice massimo, tribuno della plebe per la nona volta, imperator, per la quindicesima volta, censore, console per la settima volta e designato per l’ottava, padre della patria, riparò le condutture dell’Aqua Marcia distrutte dal tempo, ripristinando l’acquedotto non più in uso»(fonte)

    [4] La tranvia Roma-Tivoli era una tranvia extraurbana a vapore attiva dal 1879 al 1934; realizzata con caratteristiche ferroviarie e completata da una penetrazione urbana a trazione elettrica, la linea svolse un importante ruolo nel trasporto di materiali lapidei e manufatti grazie ai numerosi stabilimenti e opifici raccordati lungo il percorso.
    All’indomani della presa di Roma le condizioni degradate della città e il potere economico nelle mani della finanza cattolica avevano spianato la strada a numerosi capitalisti stranieri. Nel campo dei trasporti su ferro risultava particolarmente attivo un gruppo di imprenditori belgi guidati da Lucièn Tant e Maurice Le Tellier, che portarono in dote alla Societé Anonime de Tramways et Chemins de fer Économiques (Rome, Milan, Bologne, etc.) (TFE) le concessioni ottenute nelle tre città indicate nella ragione sociale.

    La concessione della Roma-Tivoli era stata chiesta per loro conto da due prestanome di Ernesto Emanuele Oblieght e Giuseppe Augusto Cesana prevedendo inizialmente una linea a cavalli dalla zona di Santa Bibiana a Tivoli, seguendo costantemente la via Tiburtina.

    La trazione a cavalli, inusuale per una linea tanto lunga, era funzionale alla normativa in vigore al momento, composta da circolari ministeriali in luogo di una legge organica, che richiedeva la sola autorizzazione della Deputazione Provinciale e dei comuni, e coinvolgeva il Ministero dei lavori pubblici solo qualora si volesse utilizzare la trazione a vapore.

    La linea fu concessa nel 1876 con un contributo chilometrico di 1.500 lire per 70 anni. A lavori oltremodo inoltrati, nel 1878, venne chiesto di utilizzare la trazione a vapore in luogo di quella a cavalli, autorizzazione che fu concessa dal momento che la linea era ormai quasi del tutto pronta e il materiale rimorchiato già ordinato, ottenendo con ciò di costruire una linea compatibile con gli standard delle Ferrovie dello Stato coi vantaggi economici della sede stradale. I lavori presero il via il 21 luglio 1877 a Tivoli, e il binario raggiunse Roma sedici mesi dopo.

    La TFE effettuò una prima corsa di prova sull’intera linea il 9 giugno 1879, mentre l’inaugurazione, con la dovuta solennità, si ebbe il 1º luglio successivo, accompagnata dai consueti festeggiamenti. Il treno inaugurale, composto da sei vetture, partì dalla stazione Termini in Roma e, percorrendo il tratto ferroviario Roma-Orte, giunse a Roma Portonaccio; tramite un raccordo già costruito venne dunque instradato sulla tranvia. A Bagni di Tivoli il treno venne sdoppiato, giungendo a destinazione in circa due ore.

    A Roma, dopo una prima richiesta di arrivare a piazza del Gesù, il capolinea fu realizzato a Porta San Lorenzo, da dove un semplice binario proseguiva per via Marsala fino a Roma Termini. Su quest’ultimo tratto venne attivata il servizio urbano Termini-Verano, svolto inizialmente con la trazione a cavalli.

    Oltre a costruire la tranvia, la TFE rilevò lo stabilimento termale delle Acque Albule, ristrutturandolo e collegandolo alla linea tramite raccordi: lo stesso costituì una buona sorgente di traffico viaggiatori e merci per la Roma-Tivoli. Primo direttore di esercizio della linea fu l’ingegner Anderloni, al quale seguirono gli ingegneri Ducci, già direttore dei lavori, Moroni e Grea. A partire dal 1896 la direzione di esercizio fu assunta direttamente dai belgi con l’ingegner G. F. Van De Perre, che mantenne la carica fino al 1930, ossia quasi fino alla chiusura della linea.

    Esercizio e declino

    Sulla Roma-Tivoli si esercitarono dalle origini una media di 6 coppie di corse ordinarie giornaliere, cui si aggiungevano quelle speciali limitate allo stabilimento di Bagni di Tivoli del periodo estivo. La composizione dei treni fu fissata in dieci o dodici carrozze a due assi; a Bagni venivano però sganciate di norma due o tre vetture e i treni erano inoltre sdoppiati all’inizio della salita per Tivoli, in corrispondenza del regresso, posto dopo lo scambio di villa Adriana.

    L’esercizio di convogli in tutto e per tutto ferroviari non fu tuttavia scevro da problemi: già nel 1880, a causa di continue disgrazie, il Prefetto vietò la circolazione notturna (con grave danno al traffico merci), mentre continui incidenti si registrarono a Ponte Mammolo, dove binario era posato su sede stradale. La velocità massima ammessa sulla linea era di 20 km orari, ridotti a meno di dieci e quasi al passo d’uomo in presenza di attraversamenti a raso e in varie altre situazioni ritenute pericolose per la circolazione stradale.

    Alla fine del XIX secolo, dopo 20 anni di esercizio, la linea cominciava a dare segni di vetustà: il Van De Perre, sfruttando l’eco dell’avvio a trazione elettrica della rete tranviaria dei Castelli Romani cercò invano di convincere la società ad eliminare il regresso, adottare la trazione elettrica e migliorare sia il tracciato che la sede rotabile. Gli azionisti belgi non acconsentirono a tale investimento accettando però di costruire la variante di Villa Adriana, con l’omonima stazione, cedendo al Comune di Roma la tranvia urbana di via Flaminia in cambio del permesso di elettrificare il servizio urbano per il Verano, ciò che avvenne nel 1904.

    Gli anni Venti registrarono un progressivo decadimento del servizio cui la società non pose rimedio.

    Durante la Prima guerra mondiale il traffico sulla linea si fece più intenso e la linea servì per il trasporto dei feriti che giungevano a Roma Portonaccio e venivano trasportati direttamente al forte Tiburtino per l’occorrenza raccordato alla tranvia. Nel 1920 si registrò un movimento di 138.271 treni.km con 1.064.843 viaggiatori e 524.069 t di merci trasportati; il parco comprendeva 10 locomotive, 40 carrozze viaggiatori e 129 carri merci, con 174 agenti di ruolo e 18 avventizi.

    Nel 1927 il Governatorato di Roma rilevò il servizio urbano Verano-dogana che, esercitato dall’ATAG, assunse la denominazione di linea 53; lo stesso ente acquisì nel 1928 il controllo della STFER, mutandone la denominazione in STEFER e acquisendo altresì la gestione della Roma-Tivoli, ceduta poi all’ATAG il 1º luglio 1931.

    Anche il comune di Tivoli, nel frattempo, si mosse: il 13 agosto 1928 venne deliberata, dietro richiesta della belga, l’elettrificazione della linea. Ma troppo tardi: e autorità capitoline avevano già deciso la soppressione del servizio tranviario e la sua sostituzione con una linea di autobus. Su decisione dell’allora ministro delle comunicazioni Costanzo Ciano, il governatorato riscattò la linea compensando la belga con 850.000 lire.

    L’esercizio passò dunque alla STFER dal 28 dicembre 1928. Il Van De Perre restò ancora alla direzione di esercizio fino al suo ritiro nel dicembre 1930. La completa soppressione del servizio viaggiatori sulla Roma-Tivoli si ebbe dal 30 giugno 1931: ceduta la convenzione all’ATAG, il servizio viaggiatori fu da allora svolto con autobus. Restava ancora il servizio merci, da mantenersi fino alla scadenza dei contratti per il traffico con gli stabilimenti raccordati; il 31 agosto 1932 la linea venne limitata ai raccordi per lo stabilimento della Chimica Aniene e per il forte Tiburtino. Le relative concessioni scaddero il 30 giugno 1934 e dal 1º luglio successivo la linea fu disabilitata a qualsiasi traffico.

    Il servizio urbano

    Dal 1º novembre 1879, quattro mesi dopo l’apertura dell’esercizio a vapore tra Roma e Tivoli, la TFE istituì un servizio urbano con trazione a cavalli dalla Dogana, posta nella via di porta Tiburtina a fianco della stazione Termini (poi via Marsala angolo via Solferino) a quello che al momento si chiamava Campo Verano (cimitero), posto a fianco della basilica di San Lorenzo.

    Poco è noto di questa prima realizzazione: una pianta del 1900 circa mostra la linea che, percorrendo la via di porta Tiburtina (poi via Marsala) attraversa le mura aureliane in corrispondenza dell’antica porta Tiburtina e si immette sulla via Tiburtina, seguendola fino ad un capolinea tronco posto nella piazza antistante l’ingresso al Verano. Anche se tale riporta, sulla via Tiburtina, un binario separato da quello della ferrovia, non si può essere certi che questa fosse anche la sistemazione iniziale della linea, trovandosi, in alcune fonti, la notizia che la tranvia a cavalli avrebbe utilizzato gli stessi binari della tranvia a vapore, distaccandosene con uno scambio nel piazzale Verano.

    La linea del servizio urbano nel 1904 era elettrificata a corrente continua a 550 V. Una pianta dell’Istituto Geografico Militare del 1909 mostra, con notevoli dettagli, la sistemazione della linea in quell’anno. Il binario della tranvia elettrica prosegue ora oltre la porta Tiburtina, fino alla porta San Lorenzo attraverso la quale passa sulla Tiburtina; poco dopo la porta Tiburtina un raccordo immette, attraverso un fornice praticato nelle mura e la via Tiburtina antica, all’interno del deposito e capolinea della tranvia a vapore; il capolinea tronco al Verano è sostituito da un anello che percorre la piazza davanti all’ingresso del cimitero.

    I due binari separati per il servizio a vapore e per quello elettrico restarono attivi sulla via Tiburtina fino al 1927 quando l’ATAG riscattò dalla TFE la linea per il Verano, integrandola nella rete urbana con il numero 53, il 30 ottobre; dallo stesso giorno iniziarono anche dei servizi ATAG sui binari ex TFE, un servizio speciale da piazza Vittorio Emanuele al cimitero e il prolungamento al Verano della linea 12 per il piazzale di porta S. Lorenzo e la via Tiburtina, segno che già precedentemente era stato costruito un raccordo tra gli impianti municipali nel piazzale di porta San Lorenzo e il binario TFE.

    La linea 53 venne esercitata fino al 31 dicembre 1929, sostituita dal giorno dopo da una nuova linea 10 nell’ambito della riforma tranviaria del 1930.(fonte)