Vai al contenuto

Cadice, 1938

    « di 2 »

    014

    612
    Treno Ospedale
    Settembre 38

    015

    613
    Treno Ospedale[1]
    Settembre 38

    016

    614
    30 – 8 – 38
    Valladolid a Cadice in
    Treno ospedale

    016

    AQUILEIA
    TRIESTE
    615
    L’Aquileia[2] a Cadice –
    settembre 38

    017

    616
    Croci uncinate a Cadice
    Settembre 38

    018

    617
    Ballo andaluso a Cadice
    Settembre 38

    019

    618
    Preda bellica russa nel
    porto di Cadice
    Settembre 38

    020

    620
    Il Canarias a Cadice
    Settembre 38

    021

    622
    Playa di Cadice .
    Settembre 38

    022

    623
    Sul treno ospedale da
    Valladolid a Cadice
    30 – 8 – 38

    023

    624
    L’Aquileia a Cadice
    Settembre  38

    024

    625

    Playa di Cadice –
    settembre 38

    025

    626

    Il “Canarias”[3] a Cadice.
    settembre 38

    026

    627
    Ballo andaluso a Cadice
    9 settembre 38

    027

    628

    Ballo andaluso a Cadice
    9 settembre 38

    028

    628
    flameder do Cadice
    settembre 38

    029

    632
    Dall’Aquileia
    Settembre 38


    Note

    [1] Nelle Sezioni di Sanità e negli Ospedali da Campo veniva sorvegliato quasi quotidianamente il lavoro, che vi si svolgeva durante le operazioni.
    In tempo di riposo i Cappellani, oltre ad assistere i Legionari del proprio Reparto, attendevano anche alla cura spirituale dei Reparti vicini, privi di Cappellano, od aiutavano i Confratelli dei Reparti combattenti. Invece i Cappellani degli Ospedali Legionari e normalmente anche quelli degli Ospedali della Croce Rossa avevano assorbita la loro attività nei rispettivi Reparti, che funzionavano in permanenza; la loro consegna era di non lasciare uscire alcun degente senza che avesse ricevuti i Sacramenti della penitenza e
    dell’Eucaristia, ed avevano la comodità per farlo, trovando anche valido aiuto nelle Suore o nelle Crocerossine ivi in servizio. La controprova si aveva nelle confessioni ascoltate nei Reparti combattenti: i Legionari, che erano stati ricoverati in qualche Ospedale, facevano ascendere sempre a quel tempo l’ultima confessione da loro fatta. Da: L’intervento del clero militare italiano nella Guerra civile spagnola. La relazione del cappellano capo don Aristide Baldassi (1939) Mimmo Franzinelli.(fonte)

    [2] L’Aquileia (già Prins der Nederlanden) è stata una nave ospedale della Regia Marina, già piroscafo passeggeri italiano ed in precedenza olandese.
    Costruita tra il 1913 ed il 1914 nei cantieri Nederlandsche Scheepsbouw Mij. di Amsterdam (come scafo numero 123) per la compagnia di navigazione olandese Stoomvaart Maatschappij Nederland (Netherland Steamship Company), la nave era in origine il piroscafo passeggeri Prins der Nederlanden, da 9201 tonnellate di stazza lorda (poi aumentata a 9322 e successivamente, dopo il passaggio sotto bandiera italiana, a 9448 tsl).
    La nave era propulsa da due macchine alternative a vapore a quadruplice espansione a quattro cilindri alimentate da sei caldaie a carbone, che imprimevano a due eliche la potenza di 6600 hp (7200 CV) consentendo la velocità massima di 14,5-15 nodi (quella di crociera era di 14 nodi, con una scorta di 1466 tonnellate di carbone).
    Nel 1935, poco prima della guerra d’Etiopia, la nave venne acquistata dalla Società anonima di Navigazione Lloyd Triestino, con sede a Trieste, e, ribattezzata Aquileia, venne iscritta con matricola 423 al Compartimento marittimo di Trieste.
    Pochi mesi dopo l’Aquileia fu una delle sei navi passeggeri (le altre erano Vienna, Gradisca, Helouan, California e Cesarea) noleggiate e poi requisite tra il giugno e l’ottobre 1935 dalla Regia Marina per aggiungersi alle due già impiegate (Urania e Tevere) per il trasporto dei feriti e dei malati tra le truppe inviate in Eritrea e Somalia in preparazione dell’invasione dell’Etiopia. Dotate di attrezzature molto all’avanguardia per l’epoca (tra cui apparati di condizionamento dell’aria), queste navi non vennero classificate e denunciate presso gli appositi organismi internazionali come navi ospedale, ma come «navi trasporto infermi»: dato che delle navi ospedale non avrebbero potuto trasportare truppe e rifornimenti ma solo feriti e malati, tale classificazione venne ideata per poter utilizzate le unità in questione come trasporti di truppe e rifornimenti per le operazioni in Eritrea e Somalia all’andata, senza ledere le convenzioni internazionali, e per rimpatriare e curare feriti e malati al ritorno (le missioni delle navi trasporto infermi si concludevano sempre a Napoli). Tale decisione venne motivata anche dal fatto che occorreva sfruttare appieno ogni singolo viaggio, dato che Massaua, Chisimaio e gli altri porti di Eritrea e Somalia erano scarsamente ricettivi ed attrezzati in maniera non adeguata. Ugualmente provviste di dotazioni sanitarie e di personale medico (tra cui in media una dozzina di crocerossine), le navi trasporto infermi si distinguevano dalle navi ospedale per la colorazione, bianca ma priva di croci rosse e strisce verdi prescritte per tali unità.
    Qualora fossero insorte più serie complicazioni con il Regno Unito era stato deciso che le navi trasporto infermi sarebbero state
    subito denunciate a Ginevra come vere e proprie navi ospedale, ma tale risoluzione non venne mai attuata.
    Dal dicembre 1935, quando venne requisita, al 1937 (tra il 1935 ed il 1937 le navi trasporto infermi compirono in tutto 104 missioni, trasportando 42.273 tra feriti e malati) l’Aquileia, dotata di 700 posti letto, venne quindi impiegata tra l’Italia e la futura Africa Orientale Italiana, trasportando complessivamente 4138 tra coloni e militari all’andata e 4473 infermi al ritorno, svolgendo in tutto 17 missioni.
    Riarmata come vera e propria nave ospedale e provvista degli adeguati contrassegni, l’Aquileia venne poi impiegata insieme ad altre tre navi ospedale (Gradisca, Cesarea ed Helouan) nella guerra civile spagnola. Nel corso di tale conflitto, dal febbraio 1937 al luglio 1939, le quattro navi ospedale italiane effettuarono in tutto 31 missioni, trasportando dalla Spagna a Napoli 15.612 tra feriti e malati, prevalentemente appartenenti al Corpo Truppe Volontarie. L’Aquileia, in particolare, dal marzo 1938 al maggio 1939 compì 11 missioni tra Napoli e Cadice, con il trasporto di 2063 militari diretti in Spagna nei viaggi di andata, e di 5571 tra feriti e malati al ritorno. L’ultima missione ebbe termine a Napoli il 21 giugno 1939.
    Derequisita e posta in disarmo nel luglio 1939, la nave non venne restituita agli armatori, restando invece a disposizione per poter essere riconvertita, se necessario, in nave ospedale.
    L’Aquileia fu anche la prima nave ospedale della Regia Marina a svolgere una missione nel corso del conflitto: il 18 giugno 1940, infatti, l’unità compì una missione di evacuazione di feriti e malati dalla Libia (più precisamente a Bengasi e Tobruk). In tale occasione emerse la lentezza e scarsa funzionalità dei servizi di terra, gestiti dall’Intendenza generale dell’Esercito: per concentrare nel porto meno di 200 tra feriti e malati si resero necessari dieci giorni. Lo Stato Maggiore della Regia Marina denunciò la situazione al capo del governo Benito Mussolini, che tuttavia, per questioni di prestigio del Regio Esercito, concesse il passaggio del controllo delle operazioni di imbarco, sbarco e scarico alla Regia Marina solo nell’ottobre 1940 (tale passaggio di consegne si completò in due mesi), mentre il Regio Esercito mantenne la responsabilità circa i magazzini ed i trasporti terrestri.
    Il 13 ottobre 1940 l’Aquileia fu la prima nave ospedale italiana a compiere una missione di soccorso, venendo dirottata ed inviata nelle acque a sudest di Capo Passero e ad est di Malta per cercarvi eventuali altri superstiti dello scontro svoltosi nella notte tra l’11 ed il 12 ottobre e nella mattina del 12 tra siluranti italiane (tre torpediniere della I Squadriglia e quattro cacciatorpediniere dell’XI Squadriglia) ed incrociatori britannici, e costato la perdita del cacciatorpediniere Artigliere e delle torpediniere Airone ed Ariel. La nave ospedale e due delle sue motolancie setacciarono la zona dello scontro per i tre giorni successivi, in condizioni di mare grosso, ma avvistarono solo relitti ed alcuni cadaveri, in quanto i 225 sopravvissuti (100 dell’Artigliere, 84 dell’Airone e 41 dell’Ariel), a fronte di 325 morti, erano già stati salvati da unità italiane e britanniche presenti nella zona dello scontro e da siluranti, MAS ed idrovolanti giunti successivamente da Augusta (l’operazione di soccorso fu agevolata dal fatto che il comandante dell’incrociatore pesante HMS York segnalò in chiaro, su una frequenza d’ascolto internazionale, la posizione dei naufraghi, scelta approvata dal comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, e duramente criticata dal Primo Ministro britannico Winston Churchill).
    Durante una delle sue prime missioni in Albania l’Aquileia trasportò in quel territorio Edda Ciano, la figlia di Benito Mussolini, arruolatasi come crocerossina.
    La sera del 9 dicembre 1940 la nave ospedale, in manovra per ormeggiarsi nel porto di Bari di ritorno una missione di trasporto e cura di infermi dal fronte albanese, speronò, a causa anche del forte vento, il grosso trasporto truppe Sardegna (con a bordo 3000 alpini destinati a Valona) e subito dopo venne a sua volta speronata dalla motonave tedesca Ruhr, in uscita dal porto, strisciando fiancata contro fiancata e riportando seri danni sul lato di dritta, che richiesero 24 giorni di riparazioni.
    Nell’aprile 1941 l’unità effettuò tre missioni di rimpatrio di feriti e malati (principalmente affetti da congelamento, dissenteria, nefrite, febbre enterica, pleurite, reumatismi) dall’Albania.
    Il 13 agosto 1941 la nave portò a termine, con l’arrivo a Brindisi, una delle numerose missioni di trasporto infermi dall’Albania.

    Nella serata del 3 dicembre 1941 l’Aquileia, in navigazione correttamente illuminata e riconoscibile, venne attaccata da aerosiluranti inglesi, potendo evitare, con una pronta accostata sulla dritta, un siluro che transitò pochi metri a prua. L’accaduto venne denunciato alle autorità internazionali di Ginevra, ma la protesta rimase sostanzialmente inascoltata. Il 15 dicembre la nave, affrontando il mare in burrasca e pur avendo riportato gravi guasti agli impianti elettrici, raggiunse Bardia (assediata dalle truppe britanniche dal 7 dicembre), dove, nonostante le avverse condizioni meteomarine, imbarcò, grazie all’abilità dell’equipaggio, 581 feriti, 200 dei quali in barella. Ripartita, la sera stessa l’Aquileia s’imbatté nella nave ospedale britannica Somersetshire, giungendo poi in Italia senza ulteriori problemi.
    Il 23 gennaio 1942 la nave ospedale rimase danneggiata da un fortunale scoppiato mentre l’unità era in navigazione nel canale di Sicilia.
    Il 1º aprile 1942 l’Aquileia individuò e trasse in salvo quattro avieri britannici che stavano segnalando la loro presenza con una torcia elettrica.
    Il 15 giugno 1942, dopo la conclusione della Battaglia di mezzo giugno, l’unità venne inviata nel Mediterraneo orientale, insieme alla nave ospedale Città di Trapani, per cercare altri superstiti, se ve n’erano, dell’incrociatore pesante Trento, immobilizzato da un aerosilurante e finito dal sommergibile HMS Umbra alcune ore prima. I cacciatorpediniere della scorta avevano tuttavia già salvato i 602 sopravvissuti tra i 1150 membri dell’equipaggio del Trento, pertanto la ricerca fu vana.
    Il 3 settembre la nave trasportò a Marsa Matruh 20 sanitari tedeschi e 6 tonnellate di materiale medico destinato all’Afrika Korps. Lo stesso 3 settembre, di giorno, l’unità venne attaccata da aerosiluranti e quindi, dopo il lancio dei siluri, mitragliata, uscendo comunque indenne dall’attacco. Nel novembre 1942 l’Aquileia fu l’ultima nave ospedale a lasciare Marsa Matruh ormai prossima alla caduta in mano alle truppe britanniche.
    Nel pomeriggio del 26 aprile 1943 l’Aquileia, in navigazione con condizioni meteomarine favorevoli, assenza di vento e cielo sereno, venne mitragliata da quadrimotori americani, restando danneggiata da alcune schegge. Tre giorni più tardi, il 29 aprile, la nave venne nuovamente mitragliata da velivoli statunitensi, subendo comunque danni irrilevanti. Nello stesso periodo la nave recuperò (in due distinti episodi) un aviatore della Luftwaffe ed uno dell’USAAF, prendendo inoltre a bordo 111 tra marinai e soldati presenti a bordo del cacciatorpediniere tedesco Hermes, bombardato e gravemente danneggiato da 32 bombardieri alleati alle 11.30 del mattino del 30 aprile, al largo di Capo Bon (nella stessa occasione venne affondato il cacciatorpediniere italiano Leone Pancaldo, con la morte di 156 dei 280 uomini dell’equipaggio, mentre l’Hermes, ridotto ad un relitto e con 23 morti a bordo, venne rimorchiato a La Goletta, dove si autoaffondò il 7 maggio, alla caduta di Tunisi).
    Nel maggio 1943 la nave ospedale partecipò alle operazioni di evacuazione di feriti, malati e personale medico dalla Tunisia, ormai prossima alla caduta. Dopo l’occupazione alleata dei porti di Tunisi e Biserta (7 maggio 1943) i rimanenti feriti ed il personale medico vennero radunati sulla spiaggia di Kélibia, da dove vennero recuperate circa 600 persone, nonostante il tempo sfavorevole. Il 7 maggio l’Aquileia, mentre imbarcava, insieme alla nave ospedale Virgilio, feriti e personale medico dalla spiaggia di Kélibia, venne dapprima bombardata a bassa quota da bimotori dell’USAAF, senza riportare danni, e più avanti nel corso della stessa giornata fu fermata dai cacciatorpediniere britannici Jervis, Nubian e Paladin, ed ispezionata da un picchetto di marinai che, pur non avendo riscontrato irregolarità, suggerì al comandante della nave italiana di «non farsi più vedere da quelle parti».

    Nel luglio-agosto 1943 la nave prese parte alle operazioni di evacuazione sanitaria della Sicilia, dopo lo sbarco alleato. In luglio l’Aquileia e le navi ospedale Virgilio e Toscana effettuarono cinque missioni, imbarcando circa 3400 tra feriti e malati gravi sia tedeschi che italiani, radunati sulle spiagge di Sant’Agata e Ganzirri (stretto di Messina), ed in agosto le stesse tre navi compirono altre tre missioni sino al giorno della caduta di Messina, il 17 agosto, recuperando altri 3000 infermi. Nel corso di tali missioni, il 6 (o 7) ed il 16 agosto, l’Aquileia venne attaccata e mitragliata da velivoli angloamericani, superando intatta entrambi gli attacchi. Nel primo dei due, avvenuto davanti a Ganzirri, una squadriglia di velivoli angloamericani bombardò le motozattere che stavano trasportando feriti dalla spiaggia alla nave ospedale, che venne a sua volta attaccata, mentre nel secondo l’Aquileia fu mitragliata nelle acque antistanti Gioia Tauro. L’Aquileia e la Toscana furono le ultime navi ospedale ad abbandonare le rive dello stretto di Messina, sotto continui attacchi aerei.
    Alla proclamazione dell’armistizio (8 settembre 1943) la nave si trovava a La Spezia, dove il 9 settembre 1943 fu catturata dalle truppe tedesche, che ne sbarcarono l’equipaggio militare e militarizzato. Incorporata nella Kriegsmarine, la nave riprese servizio, con equipaggio misto italo-tedesco, nell’ottobre 1943, venendo inviata ad Orano per uno scambio di prigionieri. Il 27 ottobre l’Aquileia, partita da Marsiglia, giunse a Barcellona con alcune centinaia di prigionieri neozelandesi, per un nuovo scambio. La nave fu inoltre impiegata come trasporto truppe tra le coste italiane e francesi.
    Gravemente danneggiata il 15 dicembre 1943 durante un bombardamento aereo statunitense su Marsiglia, l’Aquileia venne poco tempo dopo posta in disarmo (secondo altre fonti la nave ospedale affondò a causa di uno o due incendi nel porto di Marsiglia il 15 dicembre 1943, restando parzialmente emergente e venendo poi recuperata ed affondata dai tedeschi per bloccare il porto il 26 giugno 1944), radiata il 16 febbraio 1944 ed autoaffondata il 26 giugno 1944 dalle truppe tedesche in ritirata, per ostruire il porto di Marsiglia. Il relitto venne successivamente demolito.
    Per conto della Regia Marina l’Aquileia aveva svolto, durante la seconda guerra mondiale, 84 missioni (81 di trasporto infermi e tre di soccorso) come nave ospedale (la nave ospedale italiana che effettuò il maggior numero di missioni), percorrendo in tutto 63.000 miglia e trasportando complessivamente 12.799 tra feriti e naufraghi e 38.303 malati.(fonte)

    [2] La classe Canarias fu una classe di incrociatori pesanti della Armada Española, composta da due unità entrate in servizio alla fine del 1936. Entrambe le unità (la capoclasse Canarias ed il Baleares) prestarono servizio durante la guerra civile spagnola dalla parte dei nazionalisti: il Baleares andò perduto durante la battaglia di Capo Palos, mentre il Canarias rimase in servizio come nave ammiraglia della flotta spagnola fino al 1975, quando fu radiato.
    Le navi della classe Canarias furono realizzate nel rispetto dei limiti del trattato navale di Washington, benché la Spagna non fosse tra i suoi firmatari. Le unità riprendevano le forme e le linee essenziali degli incrociatori britannici della classe County, pur con alcune differenze: i tre fumaioli dei County furono ridotti a due (accorpati in un’unica struttura) in ragione di un riarrangiamento dei locali caldaie, le sovrastrutture erano diverse, più moderne e compatte, e la protezione verticale era incrementata grazie all’applicazione di controcarene anti-siluro (mentre quella orizzontale era sostanzialmente identica a quella delle unità britanniche); le dimensioni ed il dislocamento delle due classi erano simili, ma le unità spagnole erano capaci di una maggiore velocità (33 nodi contro 31).
    L’armamento principale era identico, con otto cannoni da 203 mm in quattro torri binate, ma quello secondario era migliore sulle unità spagnole, potendo contare su otto pezzi da 119 mm installati su torri aperte che consentivano di impiegarli sia nel ruolo antinave che antiaereo; il resto dell’armamento era costituito da quattro impianti tripli di tubi lanciasiluri da 533 mm e da un numero variabile di pezzi antiaerei più piccoli: il Canarias ebbe quattro cannoni Bofors 40 mm (poi incrementati a 12) e quattro mitragliere da 20 mm, mentre il Baleares ebbe quattro dei più pesanti cannoni antiaerei da 100 mm oltre alle mitragliere. Il progetto originario prevedeva anche la presenza di due catapulte per idrovolanti da ricognizione, ma esse non furono mai installate. Nel complesso si trattava di unità veloci e bene armate, ma dotate di una protezione non molto elevata.(fonte)

    Guerra civile spagnola

    La Guerra civile spagnola è l’emblema di un’epoca che vede il confronto di tre modelli di organizzazione della vita sociale: quello democratico occidentale, quello comunista e anarchico, quello fascista innestato sulla forza delle tradizioni militari e religiose della Spagna. L’esito, tra il 1936 e il 1939, è un lunghissimo e sanguinoso conflitto armato che si risolve per il decisivo contributo in armi e uomini che la Germania nazista e l’Italia fascista sono in grado di offrire al caudillo Franco, mentre il governo repubblicano non solo può contare su risorse e aiuti assai limitati da parte sia delle potenze occidentali che dell’URSS (sostanzialmente costituiti dalle brigate antifasciste internazionali), quanto soprattutto è costretto a una conduzione della guerra in cui le lacerazioni profonde della sinistra (come quella tra anarchici e comunisti) rendono difficoltosa la coesione delle operazioni contro i falangisti.

    I disordini politici e il colpo di Stato di Franco: scoppia la guerra civile

    L’avvio di una delle vicende politico-militari, la guerra civile spagnola, che più di ogni altra contraddistingue la spinta dell’Europa verso la Seconda guerra mondiale, è probabilmente da ricercare nel fallimento dell’esperimento politico del dittatore Miguel Primo de Rivera (1870-1930). Le opposizioni alla sua politica e il fallimento di tutti i suoi sforzi lo spingono a lasciare il potere nel gennaio 1930, mentre anche il re Alfonso XIII (1886-1941), profondamente coinvolto nell’esperienza autoritaria di de Rivera, è costretto ad allontanarsi dalla Spagna dopo la vittoria elettorale dei partiti Repubblicano e Socialista nel 1931.

    La formazione di un governo di sinistra repubblicano-socialista, presieduto da Manuel Azana (1880-1940), proprio nella fase di maggiore incertezza economica, poiché i settori più vitali del sistema economico sono colpiti dalla grande crisi economica del 1929, produce il tentativo di introdurre riforme di tipo liberal-democratico che rafforzano la modernizzazione del Paese: una riforma agraria, che assume un carattere moderato e non punitivo per la proprietà, come invece vogliono gli anarchici; la laicizzazione del sistema scolastico, che viene sottratto all’influenza della Chiesa; il riconoscimento dell’autonomia catalana; un nuovo diritto di famiglia; l’introduzione del suffragio universale. Le difficoltà per il governo Azana nascono sia per la resistenza dei ceti colpiti da quei provvedimenti, sia per l’insoddisfazione dei partiti rivoluzionari che li ritengono insufficienti. La vita politica spagnola, mentre la crisi economica contribuisce a creare masse di sbandati e di disoccupati, inizia a caratterizzarsi per gli scontri armati tra le milizie di partito delle due ali estreme. In particolare, all’estrema destra José Antonio Primo de Rivera, figlio del dittatore, fonda la Falange spagnola, un movimento che richiama i partiti nazional-fascisti europei, mentre un forte movimento cattolico-reazionario è guidato da José María Gil Robles (1898-1980). Alla fine di novembre 1933, le elezioni politiche segnano la vittoria dei partiti di centrodestra, i quali provvedono immediatamente a vanificare buona parte delle riforme del governo Azana. Alla reazione dei partiti di estrema sinistra – che nelle Asturie si trasforma in una vera e propria rivolta dei minatori anarchici – il governo risponde con una violenta repressione che produce 3000 morti. In una situazione così radicalizzata interviene agli inizi del 1936 la nuova vittoria elettorale del fronte delle sinistre, di cui per la prima volta fanno parte anche comunisti e anarchici. La guida del governo tocca al socialista Francisco Largo Caballero (1869-1946). Si rinnovano immediatamente le violenze degli estremisti di destra, che non accettano il responso delle urne, cui i gruppi armati delle sinistre rispondono con attentati a personalità guida dell’estrema destra. Il 3 luglio viene assassinato il fondatore della Falange spagnola, de Rivera, e l’episodio serve a fine luglio alle truppe del generale Francisco Franco (1892-1975), insediate in Marocco, per un nuovo pronunciamento dell’esercito. L’esercito dei rivoltosi, che ha dalla propria parte i quadri militari, riesce a passare nel continente, grazie anche all’assistenza militare dell’Italia e della Germania che riconoscono subito il nuovo governo che Franco costituisce a Burgos, nella parte occidentale della Spagna, mentre il governo repubblicano riesce a mobilitare la resistenza popolare e i quadri militari rimastigli fedeli e soprattutto a disporre delle forze di polizia e delle masse di volontari delle regioni industriali, ma risente notevolmente dell’indisciplina delle milizie operaie imbevute di anarchismo. L’URSS invia ai repubblicani tecnici, materiale bellico e aiuti finanziari, incomparabilmente minori di quelli offerti, prima segretamente poi apertamente, dai governi italiano e tedesco. Inizia così la guerra civile spagnola.

    Una guerra civile che coinvolge tutta l’Europa

    Dal punto di vista militare la guerra di Spagna rappresenta il banco di prova delle armi e delle tecniche nuove, utilizzate nella Seconda guerra mondiale. L’aiuto delle potenze fasciste alla Spagna franchista assume un forte significato ideologico, per cui in tutto il mondo occidentale le forze politiche che colgono il pericolo dell’espansionismo fascista si schierano con i repubblicani. Si formano brigate internazionali di democratici, socialisti, comunisti e anarchici che vanno a combattere per la repubblica e particolarmente significativa è la presenza degli antifascisti italiani, mentre vengono deluse le speranze che il governo repubblicano ha posto nella Francia e nell’Inghilterra, poiché queste adottano una politica di non intervento. L’esito della guerra civile non è affatto scontato, malgrado il massiccio intervento a favore dei franchisti delle truppe italiane (sotto forma di volontari) e della tecnologia bellica, soprattutto aviatoria, tedesca. Mentre la conduzione della guerra da parte dei franchisti è sufficientemente coerente, nella parte repubblicana la guerra civile produce una forte divaricazione tra democratici e comunisti, da una parte, e anarchici e trozkisti – i comunisti sostenitori delle teorie del grande rivoluzionario russo hanno creato una quarta internazionale – dall’altra. Questi ultimi infatti ritengono che la guerra civile debba trasformarsi immediatamente in rivoluzione sociale. In Aragona e Catalogna, dalla metà di luglio alla fine di agosto 1936, i lavoratori e i contadini collettivizzano i trasporti urbani e ferroviari, le industrie metallurgiche e tessili, il rifornimento d’acqua e alcuni settori del grande e piccolo commercio. Circa 20 mila imprese industriali e commerciali sono così espropriate e gestite direttamente dai lavoratori e dai loro sindacati. Un Consiglio dell’economia viene costituito per coordinare l’attività dei diversi settori della produzione. È nel settore agricolo che la collettivizzazione è più radicale con misure quali la creazione di salari familiari e la messa in comune degli attrezzi e dei raccolti. Così, andando assai oltre i progetti politici dei repubblicani, vengono create Comuni rivoluzionarie in un clima di violenza contro i ceti borghesi e contro le strutture ecclesiastiche, e vengono assassinati circa 7mila preti e monache. A questi eccidi i nazionalisti rispondono con esecuzioni in massa (a Saragozza, a Badajoz); il poeta García Lorca (1898-1936) cade sotto i colpi della guardia civile franchista. La pericolosità dell’azione insurrezionale degli anarchici in un momento di scontro militare con il fascismo internazionale viene colta in particolare da Stalin (1879-1953), che fa pressione, tramite la terza Internazionale e, direttamente sul capo del governo repubblicano, Caballero sottolineando l’insostenibilità di un’azione difensiva della Repubblica, che consegna agli avversari interi ceti sociali spaventati dagli esperimenti rivoluzionari degli estremisti. Di fronte alla debolezza del governo Caballero nei confronti delle iniziative degli anarchici e dei trozkisti, i comunisti sostengono un nuovo ministero repubblicano, mentre le iniziative anarchiche vengono represse nel sangue. Intanto i franchisti danno una vernice fascista al loro movimento, adottando il 19 aprile 1937 il progetto politico dei falangisti, che raccoglie in un partito unico la Falange spagnola tradizionalista e le giunte d’offensiva nazional-sindacalista. Franco aggiunge alle sue funzioni di generalissimo, dall’agosto 1937, quelle di Capo dello Stato. Dal punto di vista militare i nazionalisti con la presa di Badajoz (14 agosto 1936) riescono a riunire le loro forze dislocate a ovest e a sud del Paese, minacciando Madrid, difesa eroicamente dai repubblicani e dalle brigate internazionali, che riescono a fermare l’assalto dei franchisti. La resistenza di Madrid si prolunga per 28 mesi. Tuttavia, già alla fine del 1936 Franco controlla ormai più di metà della Spagna, con tutta la frontiera ispano-portoghese, che rappresenta un vantaggio per ricevere i suoi rifornimenti. L’ultima offensiva degli antifascisti è del gennaio 1938, che porta alla conquista di Teruel, vittoria senza esito poiché la città viene ripresa dai nazionalisti dopo appena un mese. Questo successo effimero contribuisce solo a ritardare la grande offensiva progettata da Franco, che comincia il 23 dicembre 1938, sostenuta da potenti forze aeree e motorizzate. Viene sfondato rapidamente il fronte della Catalogna e il 26 gennaio 1939 viene presa Barcellona, retta dal maggio 1937 da un governo filocomunista, guidato da Juan Negrin (1887-1956), il quale, sempre appoggiato dai comunisti, cerca di continuare la resistenza a Valenza. Dopo aver infranto con parecchi giorni di combattimento l’opposizione dei comunisti, la giunta franchista si prepara a negoziare la resa della capitale, che viene occupata senza resistenza dalle truppe di Franco il 28 marzo 1939. Sono molti i profughi che decidono di passare il confine francese e il governo consente l’entrata in Francia dei profughi civili: “Le donne, i bambini e i vecchi possono essere accolti. I feriti verranno curati. Gli uomini in età di portare le armi devono essere respinti”. Saranno accolti 240 mila civili e 10 mila feriti. La guerra può considerarsi perduta per i repubblicani, tanto che buona parte delle truppe italo-tedesche e degli aiuti militari sovietici lasciano il Paese. I volontari delle brigate internazionali, provenienti da 52 Paesi dei cinque continenti, sono circa 40 mila e la metà è morta in combattimento, dispersa o ferita. Altri 5000 uomini hanno combattuto in unità dell’esercito repubblicano e almeno altri 20 mila hanno lavorato nei servizi sanitari o ausiliari. Il conflitto che ha causato circa 400 mila morti, si conclude e il primo aprile Radio Burgos diffonde l’ultimo bollettino di guerra: “Oggi, dopo aver fatto prigioniero l’esercito rosso e averlo disarmato, le truppe hanno raggiunto i loro obiettivi militari. La guerra è terminata”.
    Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)