1° febbraio 1929 anno VII[1]
Gran rapporto dei Generali comandanti di
zona al Viminale
Al Comandante Gorello
ottimo soldato, buon camerata
Dupanloup[2]
IL CONSOLE GENERALE
AMILCARE DUPANLOUP
COMANDO GRUPPO LEGIONI PORTUARIE – ROMA – M. V. S. N.[3]
MILIZIA NAZIONALE
7922
Istituto Nazionale – LUCE
ROMA – Palazzo della Stamperia
Telefoni 65-668 – 65-675
SERVIZIO FOTOGRAFICO
Negativo N°……………….
Note
[1] Patti lateranensi. Accordi stipulati fra l’Italia e la Santa Sede l’11 febbr. 1929, sottoscritti da B. Mussolini e dal cardinale Gasparri, che comprendono un trattato politico, una convenzione finanziaria e un concordato. Con tale atto la Santa Sede riconosceva il regno d’Italia e veniva quindi ricomposta la cosiddetta questione romana. Quando Roma era divenuta la capitale del nuovo regno (1870), da parte italiana era stata data una soluzione unilaterale alla questione con la legge delle guarentigie (1871), respinta tuttavia dalla Santa Sede. Negli anni successivi si cercò di trovare un accordo coinvolgendo esponenti del cattolicesimo liberale o cattolici – sia ecclesiastici sia laici – favorevoli a una conciliazione. Sotto il pontificato di Leone XIII furono compiuti nuovi tentativi di avvicinamento, che si conclusero però con un irrigidimento delle rispettive posizioni. Dopo la Prima guerra mondiale, la formazione di un partito cattolico favorì la ricerca di nuove soluzioni. Con l’avvento del fascismo, la Chiesa si preoccupò di ottenere garanzie per la propria libertà e la propria presenza nella vita del Paese mediante strumenti giuridici, quindi nel 1926 furono avviate le trattative che portarono alla firma dei Patti. Nel trattato, di carattere giuridico-politico, l’Italia riconosceva, tra l’altro, la personalità giuridica internazionale della Santa Sede, la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, il diritto di legazione attivo e passivo, la piena proprietà sulle basiliche di S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Paolo e sul palazzo pontificio di Castel Gandolfo, prestazioni in materia giurisdizionale e di polizia da parte dello Stato. In base alla convenzione finanziaria venivano risarciti da parte italiana i danni materiali subiti dalla Santa Sede con la perdita del potere temporale. Il concordato regolava «le condizioni della religione e della Chiesa in Italia», riaffermando il carattere cattolico dello Stato. Assicurava, fra l’altro, piena libertà di culto e il rispetto della giurisdizione ecclesiastica per le materie di sua competenza, garantiva un trattamento di favore a persone ed enti ecclesiastici, dava risalto alle attribuzioni delle autorità ecclesiastiche, in partic. in materia di matrimonio, insegnamento, istituti ecclesiastici, anche con agevolazioni tributarie. Gli accordi raggiunti nel 1929 furono inseriti nella Costituzione italiana del 1947. I Patti l. sono stati rivisti e modificati nel 1984 (sottoscritti dal presidente del Consiglio B. Craxi e dal segretario di Stato cardinale Casaroli), sia nelle motivazioni di fondo sia nei principi ispiratori. È stato abrogato il principio del confessionismo statale, affermando la neutralità dello Stato in materia religiosa e con ciò attribuendo alla Chiesa maggior autonomia nella sua organizzazione. È caduta una serie di esenzioni e privilegi a favore degli enti ecclesiastici; sono stati definiti gli impegni finanziari dello Stato nei confronti degli enti ecclesiastici; sono stati riconosciuti gli effetti civili al matrimonio contratto secondo le norme del diritto canonico (nel concordato del 1929, essendo il matrimonio «sacramento», veniva considerato indissolubile). © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)
[2] Francesco Amilcare Dupanloup (Savona, 6 aprile 1887 – Pegli, 25 aprile 1945) è stato un generale italiano.
Dupanloup fu volontario di guerra come ufficiale di complemento del 41º Reggimento fanteria “Modena” nella prima guerra mondiale fu decorato con tre medaglie d’argento al valor militare di cui una con Motu proprio del Re, un bronzo e una promozione straordinaria. Verso la fine della guerra ottenne di essere assegnato a un reparto di arditi.
Adesione al fascismo
Nel febbraio 1921 aderì ai fasci italiani di combattimento dopo la fondazione del primo fascio cittadino ad opera di Salvatore Addis assumendo il comando dello squadrismo savonese. Qualche anno dopo Dupanloup si definì: “il primo fascista savonese“.
Iscritto all’Associazione nazionale combattenti savonese ebbe più volte aspri dissidi con Cristoforo Astengo presidente locale dell’associazione (7 luglio 1921-14 ottobre 1922). Nell’agosto del 1922 guidò le squadre d’azione a occupare il municipio di Savona.
Nel 1922 prese parte alla marcia su Roma. Pochi mesi dopo fu eletto presidente dell’Associazione nazionale combattenti e Astengo divenne delegato circondariale. Il 24 febbraio 1924 si svolsero nuove elezioni all’interno dell’associazione e si scontrarono due liste, una che faceva capo a Dupanloup e l’altra a Astengo. Vinse Dupanloup con 443 voti contro i 100 di Astengo.
Fu tra i principali promotori della nascita della Milizia portuaria di cui poi assunse il comando.
Il confino
Entrato in contrasto con il Partito Nazionale Fascista nel 1931 finì al confino a Canelli per aver costituito un improbabile gruppo dissidente dal nome di “Teste di moro”. In questo periodo fu posto sotto la sorveglianza dell’OVRA direttamente dall’agente segreto Luca Osteria. Al comando della Milizia portuaria fu sostituito da Vittorio Raffaldi.
Ruolo nella RSI
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana dove era console generale della Guardia Nazionale Repubblicana in congedo. Morì il 25 aprile 1945 mentre veniva arrestato dai partigiani. Secondo racconti locali si sarebbe suicidato con un colpo di pistola quando i partigiani si presentarono alla sua porta per arrestarlo.(fonte)
[3] La Milizia portuaria (dal 1940: Milizia nazionale portuaria) costituita nel 1924 e riordinata nel 1927 fu una specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Storia ed organizzazione
Svolgeva la propria attività in alcuni porti principali e in quei tratti di litorale dell’Italia dove ne era dimostrata la necessità, per concorre ai servizi di polizia e di sicurezza.
Le singole unità per il loro impiego dipendevano dal Ministero delle comunicazioni o dalle competenti autorità militari o di pubblica sicurezza.
Si componeva da un Comando, quattro Legioni e tre distaccamenti autonomi in Africa Orientale Italiana. Il comando era devoluto al comandante del gruppo legioni ferrovieri coadiuvato dall’ufficiale generale e dal Capo di Stato Maggiore del gruppo stesso.
L’organico iniziale comprendeva due consoli, quattro seniori, dieci centurioni, diciotto capimanipolo, cinque aiutanti, quindici capisquadra e cinquecentosettantaquattro militi e allievi militi, un contabile. Gli Ufficiali erano ufficiali di polizia giudiziaria, i graduati e i militi agenti di polizia giudiziaria.
Il servizio nella Milizia Portuaria equivaleva ad ogni effetto come servizio militare di leva, però per coloro che interrompevano la ferma per motivi disciplinari ritornavano nell’obbligo di assolvere la loro ferma di leva, qualunque fosse stata la durata del servizio già prestato.
Comandante generale fu il console Francesco Amilcare Dupanloup.(fonte)