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Italo Foschi, 1939

    Italo Foschi, 1939
    « di 2 »

    dedica autografa
    al camerata
    Emilio Vianello[1]
    con viva cordialità
    Treviso li 18.8.1939
    XVII
    Italo Foschi[2]

    Timbro a secco, fotografia Albrizzi Treviso

    MISURE 16,5×23 cm

    © Archivio Sacchini


    Note

    [1]Sulla scomparsa dell’ufficiale Emilio Vianello nel 1941 a bordo della nave “Fiume”

    Dopo l’intervento tedesco nei Balcani e la resa della Grecia, la nave “Fiume” trasportava contingenti italiani nelle isole Cicladi e Sporadi. Il 24 settembre 1942, al comando del capitano Aldo Cantù, salpò da Rodi verso Simi con 81,5 tonnellate di provviste, 38 membri dell’equipaggio e 249 passeggeri, tra cui militari e civili, sia italiani che greci.

    Alle 13.02 (o 13.10), il “Fiume” fu colpito da un siluro del sommergibile greco Nereus e affondò rapidamente a 7 miglia da Punta Sabbia di Rodi. La maggior parte delle persone a bordo morì. Il comandante Cantù cercò di raggiungere il ponte di comando ma scivolò verso poppa e scomparve.
    ……
    Il marinaio timoniere Giorgio Coti s’imbatté nel primo ufficiale, Emilio Vianello, mentre quest’ultimo si precipitava fuori dalla sua cabina, chiedendo un giubbotto salvagente. Coti gli diede il suo, poi si tuffò in mare; non lo rivide più. Il corpo di Vianello fu tra quelli recuperati dai MAS; il secondo ufficiale Kastelic, tratto in salvo dallo stesso mezzo, lo riconobbe e notò che aveva la colonna vertebrale spezzata e diffuse emorragie da occhi, naso e bocca. Non aveva fatto in tempo ad indossare il salvagente offerto da Coti: lo aveva ancora attorcigliato attorno ai polsi. Suo figlio era nato nove giorni prima.

    Uno dei due ufficiali radiotelegrafisti, Tommasini, uscì dalla stazione radio e cercò di indossare il giubbotto salvagente, ma ebbe la stessa sorte del comandante Cantù: perse l’equilibrio e precipitò verso poppa. Il marinaio Albona della Regia Marina, uno dei componenti dell’equipaggio militare, lo vide in mare, sanguinante da una ferita alla testa; cercò di incoraggiarlo, assisterlo e sollevarlo con un secondo giubbotto salvagente, ma Tommasini chiuse gli occhi e scomparve. Il suo corpo fu tra quelli recuperati dai MAS.(fonte)

    [2] Italo Foschi. Nacque a Corropoli (Teramo) il 7 marzo 1884 da Emanuele e Addolorata Bruni. Nel 1906 si laureò in giurisprudenza a Roma e nel 1908 entrò alla Corte dei conti come scrivano straordinario avventizio; lasciò la Corte nel 1922, per dedicarsi alla vita politica, avendo raggiunto il grado di segretario di prima classe.

    Nazionalista della prima ora, nel 1911 seguì l’esempio del padre e si iscrisse all’Associazione nazionalista italiana (ANI), di cui divenne segretario della sezione romana nel 1918 e, dal gennaio al marzo 1923, segretario della federazione laziale. Dopo la fusione dell’ANI col Partito nazionale fascista (marzo 1923) entrò nel fascio di combattimento romano.

    Chiamato a far parte della commissione riorganizzatrice di quest’ultimo, nominata nell’agosto del 1923 da R. Farinacci, dal 15 ag. 1923 fu messo a capo della federazione laziale sabina, prima come commissario straordinario poi come segretario federale, sino al 3 genn. 1924. Dal dicembre 1923 era entrato a far parte del nuovo direttorio del fascio, ottenendo il più alto numero di preferenze tra gli eletti, e dal febbraio 1924 al dicembre 1926 fu segretario politico del fascio romano, succedendo a R. Polverelli.

    Negli anni in cui resse la segreteria attuò una riforma dell’ordinamento interno del fascio che fu riorganizzato su base rionale con il fine di diffondere il fascismo nei quartieri popolari (luglio 1924).

    Sempre in quegli anni fu coinvolto in numerose aggressioni contro gli avversari politici del fascismo, fungendo, tramite C. Rossi, da punto di riferimento di B. Mussolini per l’organizzazione di azioni squadriste nella capitale.

    Nel novembre del 1923 fu tra gli organizzatori dell’aggressione al villino Nitti, l’11 apr. 1924 organizzò spedizioni contro le sedi di alcuni giornali dell’opposizione e ancora, dopo la seduta alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924, venne incaricato, insieme con altri dirigenti del fascio, di dar vita a una dimostrazione contro i deputati dell’opposizione.

    Dopo l’assassinio di G. Matteotti fu chiamato a far parte del direttorio nazionale provvisorio del Partito fascista, nominato da Mussolini il 16 giugno in sostituzione del quadrunvirato, dove rimase sino alla nomina di un nuovo direttorio da parte del Consiglio nazionale del partito (8 agosto). Nei mesi seguenti l’omicidio del deputato socialista, la sua posizione fu di netto e deciso appoggio al duce e al fascismo; sostenne anche apertamente la campagna contro la massoneria dalle colonne di Roma fascista, il settimanale da lui diretto insieme con U. Guglielmotti.

    Roma fascista era nato il 19 luglio 1924, con l’obiettivo di “affermare l’unità inscindibile e saldissima della disciplina fascista, messa a dura prova dalle umiliazioni e dalle provocazioni di questo ultimo mese”. Il nuovo foglio intraprese “una vigorosa difesa… della situazione, magnificando… le realizzazioni del primo periodo fascista, l’intelligenza del duce e le opere in corso o già programmate dalla rivoluzione delle camicie nere” (Majolo Molinari, p. 713). Così facendo, in quel difficile momento svolse nella capitale un ruolo importante per la sopravvivenza stessa del fascismo.

    Dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti, Roma fascista pubblicò Un appello ai fascisti romani (6 sett. 1924) del Foschi in cui il segretario del fascio incitava i suoi gregari alla ricostruzione delle squadre. Questa volta però la ripresa squadrista, che si verificò durante gli ultimi mesi dell’anno in tutto il paese, danneggiò anche il Foschi, che, prima provvisoriamente e poi in modo definitivo, venne allontanato dalla segreteria del fascio.

    Nell’ottobre 1925 fu espulso dal partito in seguito alle tentate aggressioni contro le sedi di entrambe le massonerie, avvenute il 12 ottobre nella capitale, dopo che il Gran Consiglio del fascismo aveva deciso lo scioglimento delle squadre (5 ott. 1925). L’espulsione durò pochi giorni – venne riammesso in occasione dell’anniversario della marcia su Roma, per ordine di Farinacci – ma nel dicembre del 1926 il Foschi fu infine costretto ad abbandonare sia la segreteria del fascio romano sia quella della federazione dell’Urbe, a capo della quale era stato nominato il 17 marzo 1926.

    Dopo la sostituzione di Farinacci con A. Turati alla segreteria nazionale politica del partito (marzo 1926) il Foschi, infatti, venne perentoriamente “invitato… a diminuire per proprio conto (e a impedire ai suoi coadiutori) tutti gli eccessi di inopportuno esibizionismo” (Arch. centr. dello Stato, Min. dell’Interno, 1926, b. 110, fasc. Roma – Fascio).

    Alle critiche che gli piovevano dall’alto “per non aver soppresso convenientemente lo squadrismo, e di esserne stato coinvolto, si aggiunse una violenta contestazione” proveniente dalla stessa base fascista, e la sua posizione divenne sempre meno sostenibile (Talamo – Bonetta, p. 393). Infine, verso la metà di dicembre, Guglielmotti fu nominato in sua vece segretario federale dell’Urbe, suscitando un notevole consenso nelle file fasciste. Scopo dell’avvicendamento voluto da Mussolini fu l’immediata depoliticizzazione della federazione dell’Urbe (ibid., pp. 393 s.)
    Lasciata la carica di segretario federale (sui fatti di quell’anno riferì lo stesso Foschi in Un anno d’intransigenza fascista a Roma, Roma 1926), il Foschi restò comunque nei ranghi della federazione dell’Urbe; nel 1928 lo troviamo vicepresidente dell’ente sportivo provinciale della federazione; fu anche consigliere della Federazione italiana del gioco del calcio nonché presidente dell’Associazione sportiva “Roma”.

    Nel 1929 fu nominato segretario federale della provincia della Spezia (28 febbraio -1° luglio), dopo di che iniziò la carriera di prefetto, che durerà sino al 1943. Dal 16 luglio 1929 al 16 maggio 1931 fu a Macerata; a Pola, dal 16 maggio 1931 al 10 sett. 1933; a Taranto, dal 20 genn. 1934 al 1° ag. 1936; a Treviso, dal 1° ag. 1936 al 1° ag. 1939; a Trento, dal 21 ag. 1939 al 16 ag. 1943.

    Con la caduta del fascismo fu collocato a riposo; aderì, quindi, alla Repubblica sociale italiana, per conto della quale fu a Belluno, come “capo di provincia”, dal 24 sett. al 4 nov. 1943. Dopo la Liberazione venne processato per avere partecipato alla Repubblica sociale e quindi assolto.
    Tornato a Roma, riprese i contatti con l’ambiente sportivo romano. Morì a Roma il 20 marzo 1949, colpito da una paralisi cardiaca, mentre assisteva a una partita di calcio allo stadio.© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)