Senza cozzar
dirocco[1]
RACCOLTA AERONAUTICA CAPRONI[2]
MILANO, 2 – 14
VIA DURINI, 24
TELEF. 70-795
Gent. Sig Di Pasquale[3]
sono desolata di non poter
accontentare il suo desiderio
Ho fatto passare centinaia
di foto e molte decine di
distintivi di guerra senza
poter trovare quello dell’aquila
Romana che lei cerca. (Vi sono però moltissime aquile)
Mio marito[4] al quale ho
domandato non ricorda
esattamente che vi fosse
che vi fosse un distintivo sull
apparecchio ma piuttosto una
scritta o un motto
Le mando la copia di un cliché
vecchio che rappresenta l’app. di Salomone[5]
con dedica autografa a mio marito
l’app. è preso nel senso inverso
a quello che lei desiderava
Se crede possa interessarle ugualmente
le spedirò una bella foto del
medesimo oppure lo stesso tipo
di apparecchio in qualunque
altra posa ma originale di foto
ho solo questo Sarò a Roma
martedì telf. 32.492 se crede
per qualsiasi cosa sono a sua
disposizione spiacente di non
poterla accontentare questa volta
Distinti ossequi
Timina Caproni[6]
Note
[1] “Senza cozzar dirocco” è il motto coniato da Gabriele D’Annunzio per la Caproni, produttrice di bombardieri che, senza attaccare da terra (cozzar), colpivano gli obiettivi (dirocco) dal cielo.(fonte)
Lo suggerì D’Annunzio per lo stemma della famiglia Caproni, industriale trentino e pioniere dell’aviazione italiana. Sta a significare la potenza aerea che non combatte frontalmente (cozzar) come la fanteria ma colpisce dall’alto facendo cadere in rovina (dirocco). Ai Caproni venne conferito dal re Vittorio Emanuele III il titolo di Conti di Taliedo, in riconoscimento dei meriti industriali (come ad altre grandi famiglie industriali dell’epoca) e di supporto all’industria bellica durante la prima guerra mondiale. Oltre al motto, lo stemma riportava l’effigie di un caprone rampante.(fonte)
[2] Il Museo dell’aeronautica di Trento, fondato dal pioniere dell’aviazione trentino Gianni Caproni, raccoglie ed espone una collezione di aeromobili storici originali di rilievo mondiale.(fonte)
Palazzo Durini. Tra il 1921 e 1922 fu venduto da Paola Durini a Senatore Borletti che lo vendette nel 1925 a Gianni Caproni. Quest’ultimo già occupava fin dal 1916 gli appartamenti rivolti verso il giardino. In seguito fu restaurato da Timina Caproni, moglie di Gianni. Durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale l’edificio non fu direttamente colpito ma subì comunque dei danni da una bomba esplosa nelle vicinanze. Dopo la morte di Gianni Caproni fu affittato. Fu sede le Circolo la Rinascente – Upim dal 1945 al 1982. Risultava ancora in possesso della famiglia Caproni fino al 1980.(fonte)
[3] Alfonso Di Pasquale. Rimasto orfano all’età di sette anni, cresce in condizioni di precarietà economica. Nel 1917 viene arruolato in artiglieria ed assiste alla disfatta di Caporetto. Notato per la sua abilità nel disegno, viene incaricato di disegnare le tavole di tiro. Dopo aver combattuto sul Piave (era uno dei ragazzi del ’99) si trasferisce a Roma, dove viene assunto come disegnatore tecnico nel Servizio Geologico del Ministero dell’Agricoltura. Contemporaneamente si dedica all’attività artistica e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma e la sua attività, iniziata all’inizio degli anni ’20 si protrae per mezzo secolo. Di Pasquale inizia così un’attività artistica che porterà a un ampio curriculum di mostre, dalle Quadriennali di Roma, al Premio Michetti, collaborando con riviste d’arte. Diventa consulente, critico d’arte e illustratore di periodici. Chiamato a periziare un quadro di Giorgio De Chirico, avrà occasione di conoscere e frequentare il grande pittore, che ne apprezza la capacità di dare alla sua pittura ad olio la luminosità dell’acquarello. Intanto, l’artista ha sposato la moglie Incoronata, originaria di Lavello: e la cittadina lucana rimarrà soggetto ricorrente dei suoi quadri. Di matrice figurativa realista, trova i suoi momenti migliori nei paesaggi, nei ritratti e nelle scene di vita quotidiana. Alla sua morte ha lasciato il corpus delle sue opere alla città di Andria.(fonte)
Alfonso Di Pasquale (1899-1987) è un personaggio della cultura del Novecento italiano che incarna la fusione tra due forme di raffigurazione del territorio: l’espressione artistica tramite la pittura paesaggista e la rappresentazione scientifico-tecnica nella cartografia geologica. Due modalità diverse di ricondurre la visione tridimensionale della realtà ad una proiezione in due dimensioni. Appassionato di pittura sin dall’infanzia, fu funzionario pubblico, lavorando per oltre quaranta anni con qualifica di disegnatore presso il Regio Ufficio Geologico (poi Servizio Geologico d’Italia). In parallelo egli condusse però una carriera artistica che gli valse numerosi riconoscimenti. In questa nota si ripercorre la vicenda umana, professionale e pittorica del Di Pasquale, comparando per ciascun periodo la produzione artistica e i contributi cartografici. Un altro tassello a comporre il mosaico della storia della geologia italiana del XX secolo, di cui Alfonso fa parte a pieno titolo. Da L’artista della cartografia geologica: Alfonso Di Pasquale, pittore e disegnatore. Di Alessio Argentieri (fonte)
[4] Giovanni Battista Caproni. Nato a Massone, frazione del comune di Arco (Trento), il 3 luglio 1886, da Giuseppe, geometra, e da Paolina Maini, piccoli possidenti, manifestò presto una spiccata preferenza per gli studi matematici e il disegno. Dopo aver frequentato la Realschule di Rovereto si iscrisse al politecnico di Monaco di Baviera, e si laureò nel 1907 in ingegneria civile. Prese allora la decisione di dedicarsi, come progettista e costruttore, al nascente campo dell’aeronatitica, e pur già fornito di una solida cultura tecnica si iscrisse nel 1908 a Liegi a un corso di specializzazione, diplomandosi in ingegneria elettrotecnica. Risalgono a questo periodo i suoi primi studi e progetti nonché una serie di osservazioni di aeroplani in costruzione e in prova a Parigi e altrove.
Ritornato ad Arco, il C. riuscì ad allestire con mezzi di fortuna una piccola officina per costruire il suo prototipo; pochi mesi dopo, il 5 maggio 1910, si trasferiva col fratello Federico in territorio italiano, in Lombardia, dove aveva ottenuto nell’aprile dal comando del corpo d’armata di Milano l’uso della cascina La Malpensa nella brughiera del comune di Somma Lombardo. La motivazione era tecnica: necessità di zone pianeggianti per le prove. Ma si trattò anche di una definitiva decisione politica: gestire la propria attività scientifica e imprenditoriale nell’ambito della scelta di una patria italiana, sulla base di un irredentismo condiviso dall’intera famiglia.
Alla Malpensa il C. terminò il prototipo (Ca. 1; biplano a fusoliera, monomotore in testa, bielica) che compì il primo volo il 27 maggio 1910; il 12 agosto si sollevava un secondo aereo (Ca. 2; monoelica in presa diretta). Avendo la direzione del Genio militare alla fine dell’anno ritirata la concessione del terreno per impiantarvi una scuola militare d’aviazione, il C. si trasferì nel vicino comune di Vizzola Ticino.
Questo periodo, fino alla liquidazione dell’azienda nel 1913, se fu angustiato da continue difficoltà economiche, fu anche ricco di esperienza costruttiva e di progetti: furono per il C. gli anni in cui si determinarono gli indirizzi e gli orizzonti della sua produzione.
Apporti finanziari si tradussero in successive modifiche della ragione sociale. A Vizzola, la precedente “Società d’aviazione fratelli Caproni” si rafforzò con l’unione dell’ingegner A. De Agostini; la nuova “Società di aviazione ingg. De Agostini-Caproni” si affiancò una scuola di volo, per incrementare gli introiti e la conoscenza diretta della produzione della ditta. Presso la scuola, chiusa nel 1913, presero il brevetto settantadue piloti, tra cui molti stranieri e la prima donna in Italia. Nel dicembre del 1911 subentrò C. Comitti, e si costituì la “Società di aviazione di Vizzola Ticino ing. Caproni e C.”; nel settembre 1912 subentrò l’ing. L. Faccanoni, con la nuova “Società d’aviazione ingg. Caproni e Faccanoni”. Infine, per il ritiro di questo, a liquidare il socio il C. nell’autunno del ’13 vendette le officine allo Stato (che le destinò alla riparazione di aerei militari) restandovi come direttore tecnico.
Con l’allargamento dell’attività dell’azienda le spese che il C. doveva sopportare per disporre di operai specializzati, poi anche di piloti qualificati, divennero cospicue e in crescente aumento. La spesa media mensile pro capite per salari ed emolumenti passò, dalle circa 500 lire della fine del 1909 alle circa 1.500 lire della metà del 1910, alle circa 2.500 lire della metà del 1911 per toccate nel giugno 1912 le 11.000 lire e nel febbraio 1913 le 12.500 lire.
Dal punto di vista tecnico, il “tipo” Caproni si venne intanto articolando in una organica genealogia di sviluppo. Dal Ca. 1 biplano, attraverso il Ca. 2 e l’applicazione degli schemi ad incidenza variabile del monoplano Ca. 22 e a incidenza automatica del monoplano Ca. 25, nascevano i progetti dei Ca. 26–Ca. 29 (biplani e idrobiplani a incidenza variabile); attraverso il Ca. 3 nasceva il progetto del Ca. 7 (biplano bimotore bielica a tre posti); attraverso il Ca. 4 e il Ca. 6 (biplani monotravi di coda) nasceva il Ca. 5 (bitrave di coda, monomotore in carlinga). Dal Ca. 8 (monoplano a fusoliera a traliccio) nascevano la serie Ca. 9–Ca. 17 (monoplani ad ala controventata, mono e biposti, mono e bicomando da scuola), i Ca. 18 e Ca. 19 (militari, ad ali smontabili e ripiegabili per il traino), il Ca. 20 (da caccia), il Ca. 21 (monoplano “parasol”); sempre dal Ca. 8 nascevano il Ca. 22 (monoplano “parasol” con cellula a incidenza variabile), i Ca. 23 e Ca. 24 (ad incidenza fissa), il Ca. 25 (a equilibrio automatico).
Altri studi e progetti riguardarono le eliche (armata in alluminio e acciaio; a pale elastiche in alluminio a passo variabile a terra, e a passo variabile in volo); il carrello (a ruote sterzabili comandate dal motore per il trasporto stradale autonomo; a ruote orientabili); un dirigibile a involucri gemelli accoppiati a prua rigida; un idroscivolante con ali sostentatrici e alette allo scafo manovrabili per l’emersione; un anemometro registratore di intensità, direzione e inclinazione; una manovra centrale (di comando direzione, quota e svergolamento ali; di comando quota e svergolamento); un dispositivo di piazzamento e manovra di mitragliatrice su aereo; un motore stellare a sei cilindri; un’automobile a propulsione ad elica; oltre numerosi procedimenti costruttivi.
I records e i raids effettuati nel 1912-13 con i Ca. 11,12,16 e 22 non furono sufficienti a creare un mercato che desse autonomia economica alla ditta. Del resto, se il C. prevedeva la potenzialità d’impiego civile dell’aviazione (si veda l’intervista alla Gazzetta dello Sport riportata a p. 248 di Tre anni di aviazione… 5 apr. 1910-5 apr. 1913, Milano 1913), aveva anche ben presenti quelle implicazioni dell’impiego militare che finivano per vincolare la produzione aeronautica a uno spazio statale e militare.
“L’aviazione non è ancora un mezzo di locomozione di uso comune, ma è un mezzo militare la cui applicazione si è venuta sempre più imponendo…; ecco perché, infine, essa ha avuto, subito e pressantemente (ed ha tuttora) quale suo unico e maggiore cliente lo Stato…; dipendere in tempo di pace o di guerra, direttamente o indirettamente, dall’estero [costituisce] l’immanente pericolo di veder sminuito o tolto valore ad un mezzo guerresco di così alta importanza morale e materiale…; è la condotta [dello Stato] che finisce per regolare ed indirizzare la produzione” (p. 230).
Già nella primavera del 1913 il C. aveva completato i disegni di un biplano bifusoliera biposto bicomando trielica a tre motori in carlinga (Ca. 30), brevettato l’11 febbr. 1914. Si trattava del primo trimotore realizzato, e. del primo aeroplano da bombardamento espressamente concepito come tale, quindi con particolari scopi di robustezza e affidabilità, potenza istallabile, raggio d’azione, carico trasportabile, armamento difensivo compatibile. Nel progetto era implicita una filosofia dell’impiego che veniva a incontrarsi, esplicitandole, con quelle teorie diffuse dall’amico G. Douhet che avranno compiuta espressione dottrinaria nel Dominio dell’aria (Roma 1921).
Il bombardiere era concepito come determinante la soluzione della lotta; l’azione delle forze armate di terra doveva essere affiancata e facilitata dall’azione di masse aeree capaci di far breccia nel potenziale militare avversario, nelle sue capacità industriali, nella resistenza morale della popolazione. Il C. tradusse poi coerentemente questa filosofia in proposte strategiche che espose (come del resto fece il Douhet) alle autorità militari.
In realtà, l’impiego del mezzo aereo da parte italiana fu prevalentemente tattico, almeno fino alla metà del 1917. Il fatto era che la novità dei problemi di elaborazione teorica e pratica dell’impiego, unita anche a limitazioni tecniche del mezzo e dell’armamento, si scontrava con una dottrina militare che la stessa guerra in corso dimostrava insufficiente: lo schematismo dei concetti artiglieria-fuoco e fanteria-attacco, il principio dell’attacco frontale a massa che prevaleva sull’avvolgimento e l’infiltrazione, tendevano a far sì che il momento strategico non fosse che un’amplificazione del momento tattico.
Il C. sottopose alle autorità militari il progetto del Ca. 30, e intanto rifiutava vantaggiose proposte dell’aeronautica militare austro-ungarica a rientrare in Austria trasferendovi la produzione. Perfezionato il progetto, il 29 nov. 1914 il prototipo Ca. 31 compiva il primo volo.
I due motori da 80 CV erano in testa alle fusoliere e quello da 100 CV in poppa alla carlinga, con eliche in presa diretta; la sicurezza d’involo e atterraggio anche su terreni accidentati era data da un pattino, anteriore a doppia ruota fissato alla carlinga, e da due carrelli a doppia coppia di ruote orientabili fissati ai longheroni dell’ala in corrispondenza delle fusoliere; su queste, per eliminare gli sforzi di torsione, era appoggiato il grande piano orizzontale di coda con tre timoni direzionali; la costruzione generale era ad elementi sovrabbondanti perché la rottura di uno o più non causasse lo sfasciamento. Dal Ca. 31 deriveranno le serie Ca. 32,Ca. 36 e Ca. 44,Ca. 46, gli idro Ca. 39 e Ca. 47, i sanitari Ca. 36 S e Ca. 50, nonché i civili Ca. 56 e Ca. 57.
Iniziate le trattative di commessa col governo, allo scopo nel marzo 1915 si costituiva la cooperativa a capitale illimitato “Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia”, presieduta dal senatore ingegner C. Esterle, con illustri personalità politiche come soci e il C. consulente tecnico. La società riscattava, ampliandole e attrezzandole, le officine di Vizzola Ticino, e costruiva quelle di Taliedo a Milano.
La congiuntura bellica dette al C., come progettista e come produttore, una affermazione e uno sviluppo tali da influire, non solo per quantità ma anche per qualità, sull’esito positivo della guerra e sugli orientamenti generali dell’aviazione dell’epoca.
Al primo contratto per 12 Ca. 32 (motori Fiat A.10 da 100 CV), consegnati entro l’ottobre 1915, ne seguirono uno portato a 150 apparecchi nel gennaio 1916, e un altro del marzo per 9 di potenza accresciuta (due Fiat A.10 e un I.F.V 4 B da 150 CV), completati entrambi entro il dicembre; il modello era già costruito in Francia su licenza convenuta nel febbraio 1915. Nell’aprile 1916 furono richieste modifiche per aumentare la potenza a 450 CV con l’istallazione di tre I.F.V 4 B. (Ca. 33); i relativi contratti del febbraio 1917 per 100 apparecchi, del marzo per 50 e del giugno per 100 furono soddisfatti entro il dicembre, altri 20 apparecchi furono consegnati entro il febbraio 1919 e 8 nel 1919; modificato nella struttura della cellula (Ca. 36) era costruito nel 1918 in 181 esemplari. Intanto nel giugno 1917 la direzione dell’Aeronautica militare preparava un programma di costruzione per potenza di 600 CV da realizzarsi entro il 1918, connesso anche alla larga disponibilità di motori Fiat A.12 da 200 CV. Il C. aveva già effettuato, tra la fine del 1916 e i primi del 1917, gli studi per adattare il modello base, in particolare portando la superficie alare da mq 100 a mq 150, modificando la struttura della parte centrale della cellula, disegnando la carlinga a sezione ovoidale, incorporando i radiatori e sopprimendo il carrello anteriore (Ca. 44). Le trattative per organizzare la produzione del nuovo modello (che poi varierà dai 600 ai 1200 CV, adottando motori Fiat A.12, Fiat A.12 bis, I.F. V 6, Liberty) furono lunghe sia in Italia sia nell’ambito alleato, dove sembrava prevalere l’orientamento verso un unico programma “Caproni” per l’aviazione da bombardamento. Tra l’ottobre del ’17 e il gennaio del ‘18 era ceduta la riproduzione su licenza alla Francia, con commissione di 150 Ca. 45 alla società “R. Esnault-Pelterie”, e nel febbraio del ’19 agli Stati Uniti, con commissione di 50 Ca. 46 alla “Standard Aircraft Corp.”, poi di 500 sia alla “Curtiss Aeroplane and Motor Co.”, sia alla “Fisher Body Corp.”. Nel febbraio 1918 era varato in Italia un programma Per 3.650 apparecchi alla cui costruzione nell’aprile erano già impegnate, oltre le officine Caproni, le società Breda, – e Silvestri, Piaggio, – Officine meccaniche di Reggio, San Giorgio, Bastianelli, Officine di Savigliano. Il prezzo di ogni aereo fu fissato in lire 76.666,70; di queste, lire 40.392,90 ritornavano all’amministrazione statale, che forniva il materiale occorrente. Del programma, interrotto dalla fine della guerra, furono costruiti nel 1919 e 1919 dalle officine Caproni 522 aerei Ca. 44, più 30 nei due anni seguenti, e 102 aerei dalla Breda; 5 aerei Ca. 46 erano costruiti dalla Standard Aircraft e dalla Fisher Body.
La ricerca da parte del C. di maggiori potenze, carichi e raggio d’azione gli fece derivare dalla struttura del biplano trimotore una soluzione triplana (brevettata il 15 luglio 1915), cui si accompagnarono, oltre l’aumento a 200 mq della superficie alare, varie innovazioni tra cui i due carrelli a due ordini orientabili a doppia coppia di ruote disposti in tandem e con momento raddrizzante. Il prototipo Ca. 40 fu consegnato nel luglio 1916, iniziando subito le prove di volo. Ne deriveranno i Ca. 41,Ca. 42 (con navicella portabombe), Ca. 51 (impermaggio orizzontale biplano con abitacolo centrale per mitragliere), Ca. 52, e il Ca. 43 (trasformazione del Ca. 41 in idrosilurante), equipaggiati con Fiat A.12, Fiat A.14, I.F. V 5, I.F. V 6, Liberty. Fino al 1919 furono prodotti oltre 4 prototipi, 32 apparecchi per l’autorità militare italiana e 6 per il Royal Navy Air Service. Furono anche progettate due distinte versioni, per bombardamento diurno e notturno, con motori Bugatti e Fiat A.14.
Nell’estate del ’16 il C. iniziava anche la costruzione di un biplano a coda bitrave monomotore in carlinga a prua blindata ed elica propulsiva, di piccole dimensioni ed elevata velocità (Ca. 37, poi con sezioni ovoidali Ca. 38), idoneo al bombardamento veloce, all’attacco al suolo e alla caccia. Si trattava di un aereo espressamente concepito per funzioni d’assalto; sottoposto nel 1918 all’autorità militare, non fu accettato per l’ancora carente valutazione sull’efficacia di questa tattica aerea. Intanto lavorava alla realizzazione di un piccolo triplano monomotore monofusoliera biposto con elica quadripala per caccia, ricognizione veloce e bombardamento leggero (Ca. 53).
Degli anni di guerra si possono ricordare anche i brevetti di un contagiri e tachimetro, un regolatore di carburazione, un variatore di pressione dell’aria al carburatore, un sistema di sospensione e sgancio proiettili, una mitragliatrice meccanica a forza centrifuga.
Con la fine della guerra sia la “Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia” (anonima dal 19 maggio 1917 col C. amministratore unico, capitale di lire 145.000 aumentato nell’agosto 1918 a 5.000.000), sia la “Società italiana Caproni” (costituita il 17 nov. 1917 con capitale di lire 3.000.000). si trovarono ad affrontare la riconversione tra difficoltà politiche, fiscali e finanziarie, e in un assetto rigidamente monosettoriale.
Già tra il ’17 e i primi del ’18 il C. si era posto il problema del dopoguerra, elaborando dal triplano Ca. 42 le versioni civili Ca. 48 trimotore (diciassette più sei posti) e Ca. 49 idro quadrimotore (grande scafo-cabina appeso centralmente alla cellula). Versioni civili ora ebbero il “triplanino” Ca. 53 (Ca. 54, e Ca. 55 idro), il Ca. 32 (Ca. 56, cabina a sei posti) il Ca. 36 (Ca. 56 a), il Ca. 44 (Ca. 57, cabina a otto posti); il Ca. 48 fu ridisegnato nel Ca. 58 (trenta posti; cabina a due piani con bar, toilette e bagagliaio) e nel Ca. 59 (pentamotore). Dal gennaio del 1919 al 1922 vennero compiuti viaggi aerei, anche transalpini; un percorso Milano-Roma-Napoli ebbe una frequenza quasi settimanale.
La ricerca del C. culminò nel 1920 nel “transaereo” Ca. 60 per centodieci passeggeri. A parte l’exploit tecnico eccezionale, dati i materiali e motori d’allora, e le conoscenze aerodinamiche e tecnologiche, si trattò della realizzazione di un mezzo e più pesante “di comunicazione intercontinentale dalle prestazioni di trasporto non uguagliate per molti anni. Il Ca. 60, basato su brevetti dell’11 e del 25 sett. 1918, e del 6 febbr. 1919, era un idro noviplano costituito da tre cellule triplane, collegate all’altezza dei piani medi da quattro fusoliere accoppiate a snodo sulla cellula mediana; come timone di profondità funzionavano gli aleroni delle cellule anteriore e posteriore, che però insieme con quelli della cellula mediana agivano anche per l’equilibrio laterale; timoni di direzione e impennaggi fissi di deriva erano sulla cellula posteriore. Due gruppi di quattro motori di 400 CV, situati in testa alle fusoliere e in tandem nella carlinga centrale, e una superficie alare di mq 750, permettevano, con peso a vuoto di 14 tonnellate e carico utile di 12, una velocità di 130 Km; due galleggianti equilibratori appesi alla cellula mediana erano uniti allo scafo da piani portanti per facilitare l’emersione e lo stacco dall’acqua (brevetto del 16 sett. 1918).
Il C. preparava anche il Ca. 61, trimotore bifusoliera a coda biplana, di impiego militare, da cui deriveranno il Ca. 61 a, il Ca. 62 idro, il Ca. 63, il Ca. 63 a (bimotore); e nel 1922 il monoplano monomotore da caccia. Ca. 64, metallico in acciaio e duralluminio, con l’eccezionale coefficiente di sicurezza ali e fusoliera maggiore di 12, un plafond di m 8.900, e velocità di Km 277. Da questo derivarono i bimotori Ca. 65,Ca. 65 a e Ca. 65 b.
Lungimiranti iniziative e notevoli exploits tecnici si svolsero, nel 1920-22, in una realtà economico-politica non suscettibile di dare prospettive a una industria aeronautica, tanto meno per trasporto merci e passeggeri. Nell’ottobre 1921 il Capitale della “Società per lo sviluppo della aviazione in Italia” fu ridotto a 1.500.000 svalutando le 50.000 azioni a 30 lire; le riserve, da lire 1.285.753 nel 1919, crollarono a lire 3.731 nel 1921-22; i crediti e valori, da 7.129.125 nel ’19, a 690.836 lire nel ’21-22; le merci e scorte da 5.115.888 a 4.623.473. Anche la “Società italiana Caproni” il 5 maggio 1920 aveva svalutato il capitale a lire 900.000. Si presentava un quadro cui ancora si attagliava quanto il C. aveva scritto nel 1913: il solo spazio ovvio dell’industria aeronautica era rappresentato dalle commesse statali e militari. In altre parole, la crisi congiunturale del ’20-‘22 spingeva verso il nascente fascismo, il cui avvento si presentava come la ricostituzione della saldatura tra industria e Stato.
Il 24 genn. 1923 era istituito il Commissariato per l’Aeronautica con competenze sui servizi militari e civili, retto da B. Mussolini; nell’agosto 1925 era istituito il ministero dell’Aeronautica retto con interim sempre da Mussolini. Intanto; mentre a partire dalla primavera del ’22 riprendeva la repressione della guerriglia in Tripolitania con l’impiego del Ca. 36, nel 1923 lo stesso aereo era commissionato per ricostruire nell’Aeronautica militare le squadriglie da bombardamento ed i servizi (153 aerei prodotti fino al 1926). Cominciava per il C. un intenso periodo di studi e ricerche, che caratterizzerà la produzione fino a parte degli anni ’30. Ai progetti di nuovi apparecchi da bombardamento – ma anche da caccia, ricognizione rapida, attacco, anfibi, ecc. – si univano nuovi concetti sulle costruzioni metalliche in tubo, sui sistemi strutturali, sull’unificazione dei materiali; fu studiata anche la trasmissione idraulica applicata ad autoveicoli, e un elicottero ad eliche automotrici. Le aziende del C. erano in fase di ripresa congiunturale. Il concorso per un nuovo aereo da bombardamento bandito dall’Aeronautica era aggiudicato al modello Ca. 66, la cui versione Ca. 73 definitivamente approvata costituì dal 1927 la dotazione delle squadriglie da bombardamento notturno, per essere più tardi sostituita dalla nuova versione Ca. 82, poi ancora da quella Ca. 89.
Nel 1925 il C. rivalutava a 5.000.000 il capitale della “Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia”; quattro anni dopo mentre la società cambiava la ragione in “Aeroplani Caproni” con sede a Milano, quadruplicava il capitale (versato per metà) ed emetteva nel 1929 e 1930 totali 10.000.000 di obbligazioni per rispondere alle esigenze della produzione senza che variasse il controllo dell’azienda, anche la “Società italiana Caproni” cambiava la ragione in “Scuola aviazione Caproni” elevando il capitale a 5.000.000. L’espansione delle società risulta dall’incremento delle voci di bilancio. Per la prima, dal 1924 al 1930 le riserve passavano da circa 107.000 lire a 761.000, le merci e scorte da 1.938.000 a 12.950.000, i crediti da 4.364.000 a 10.097.000, da 5.353.000 a lire 7.713.000 i debiti, gli utili da 127.000 a lire 1.179.000, i dividendi dal 5% al 10%; per la seconda, le riserve passavano da 52.000 lire a 637.000, i magazzini da 1.096.000 a 1.457.000, i crediti da 4.255.000 a 2.478.000, i debiti da 4.405.000 a 510.000, gli utili da 127.000 a 250.000 con un dividendo medio dell’8,50%.
Sulla base del brevetto 7 giugno 1923 (aeroplani con cellula multipiana a piani collegati da travature verticali racchiudenti i motori) era costruito nel 1924 il Ca. 66, biplano quadrimotore da bombardamento notturno. Era a costruzione mista, a cellula rigida nella parte centrale, ad ali a profilo semispesso e con maggiori profondità e apertura in quella inferiore, con due coppie di motori in tandem a eliche in presa trattive e propulsive allogati in due castelli collocati sopra i carrelli a una ruota molleggiati, e coda biplana fissa sull’impennaggio verticale; dotato di mitragliatrici prodiera, superiore in torretta e inferiore per tiro in depressione, aveva un lanciabombe per dieci bombe da 100 Kg e aggancio esterno per bombe da 250-500-800 Kg. Il modello fu sperimentato nel 1925 con elaborazioni bimotore (Ca. 67), trimotore (Ca. 72), infine raggruppando i due motori in tandem centrale alla cellula tra l’ala superiore e la fusoliera agganciata all’ala inferiore (Ca. 73), con facilità di trasformazione idro e anfibia.
Da questo modello derivò una cospicua serie: il Ca. 73 bis, il Ca. 73 bis C (dieci passeggeri), il Ca. 74 (caccia sesquiplano, monomotore fissato all’ala superiore, Kmh 240, il Ca. 75, i Ca. 76 e 76bis (Ca. 67 trimotori), i Ca. 77 e 78 (Ca. 67 bimotori), il Ca. 79 (metallico con prevalente acciaio ad alte caratteristiche; due motori in tandem in castello sopra la fusoliera e due sull’ala inferiore sopra i carrelli; tre lanciabombe; mitragliatrici prodiera, in torretta posteriore e in torretta inferiore a scomparsa), il Ca. 80, il Ca. 80S (sei feriti gravi più tre leggeri e attrezzatura per medicazioni d’urgenza), il Ca. 82 (nel 1927 conquistava sei records mondiali), il Ca. 82 Co (coloniale multiuso, trasporto soldati, viveri, acqua, ecc.) e il Ca. 82C (dieci passeggeri).
In questo periodo furono anche prodotti gli idrobiplani trimotori a scafo centrale Ca. 68 e Ca. 69, e i monomotori caccia notturni Ca. 70 e Ca. 71 (biplani sesquiplani). Studi e brevetti riguardarono le alette mobili (prodiere per superfici di comando, poppiere per azione frenante), una pompa centrifuga aspirante e premente, un carburatore autoregolatore, un motore a potenza costante indipendentemente dall’altezza, e varie applicazioni.
Dal 1929, quando per cessioni di licenze negli Stati Uniti alla Curtiss-Wright ebbe una partecipazione (100.000 azioni) nella “Curtiss-Caproni” con officine a Baltimora, il C. venne curando una rete di collegate e di accordi per produzione vendita e assistenza, dal Perù alla Bulgaria, dall’Ungheria alla Francia, dall’Africa orientale alla Cina. Ma specialmente, tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30, il C. operò una svolta decisiva passando dalla guida della progettazione tecnica e della gestione aziendale, ad una strategia di costruzione e direzione di un “gruppo” d’aziende che gli assicurassero sufficiente autonomia di spazio nel ciclo produttivo e nella conquista e difesa dell’area di mercato.
Nel 1929, quando il C. prese il controllo e la presidenza della “Motori marini Carraro”, questa disponeva di un capitale di lire 1.660.000, impianti per 1.451.070, merci per 2.257.544, valori e crediti per 895.737, debiti per 3.717.506, con un disavanzo di 830.000. Nel dicembre 1929 il capitale era svalutato a lire 830.000, azzerando il disavanzo, e nello stesso tempo aumentato a 2.000.000 di cui i tre quarti versati. Ad un utile nel 1930 di lire 7.221, seguivano nel 1931 un disavanzo di lire 44.662, e nel 1932 di lire 952.747. Per il 1931 e 1932, la “Aeroplani Caproni” segnava un utile di 500.640 e di 525.202; la “Scuola aviazione Caproni” un utile di 3.697 e di 299.799.
Al dicembre 1933 la situazione delle principali aziende del raggruppamento, consociate su un indirizzo monosettoriale, era la seguente: la “Aeroplani Caproni” (presidente; capitale versato 10.000.000, obbligazioni 6.250.000, riserva 4.068.980, fondo deperimenti 2.166.099, mobili e immobili 4.312.730, merci e scorte 16.132.697, crediti 11.267.543, debiti 8.646.258, utile 581.633); la “Fabbrica automobili Isotta Fraschini” (vicepresidente; capitale 25.517.200, obbligazioni 21.597.010, riserve 3.925.059, mobili e immobili 33.784.563, magazzino e lavori 47.772.674, crediti 10.232.516, debiti 45.704.698, disavanzo 1.949.039 lire); la “Motori marini Carraro” (vicepresidente; capitale 1.500.000, impianti 1.190.402, merci 1.586.874, crediti 726.427, debiti 3.300-331, disavanzo 1.500.000; nel maggio 1934 il capitale fu di nuovo annullato e ricostituito in lire 1.000.000); la “Cantieri aeronautici bergamaschi” (vicepresidente; capitale 3.000.000. obbligazioni 922.000, impianti 2.872.500, merci 1.693.919, crediti 1.200.089, debiti 2.291.004, disavanzo 98.670); la “Scuola aviazione Caproni” (consigliere; capitale 5.000.000, riserve 675.838, impianti 2.297.752, magazzino 1.988.241, crediti 1.463.143, debiti 157.417, utile 2.725).
La costruzione del gruppo avvenne però in ritardo rispetto ad altre concentrazioni di fatto o potenzialmente concorrenti, non si basò su una holding (ma e solo in parte sulla società-madre), e si svolse in un quadro economico caratterizzato da una pluralità di spinte contraddittorie.
Alla diminuzione dei prezzi delle materie e dei costi di produzione, circa tra il 1926 e il 1931, venne affiancandosi una situazione di costi non riducibili per spese generali e debiti; alla accelerazione da parte della politica economica verso la concentrazione, tradotta nelle leggi del 16 giugno 1932. Sui consorzi obbligatori e del 12 genn. 1933 sulla subordinazione di nuovi impianti e ampliamenti all’autorizzazione governativa, si venivano affiancando difficoltà di finanziamento. Il gruppo, con i suoi incroci di accordi, fu così caratterizzato dal contenuto volume dei capitali e dal ricorso a debiti cambiari, a riporti su pacchetti azionari, a sconti di portafoglio (che saranno un costante elemento di debolezza, in particolari momenti diverranno un freno vincolante, e ne condizioneranno da ultimo i nuovi adattamenti), e sarà spinto a orientarsi completamente sulla sicurezza della crescente e trainante produzione di guerra.
Anche il panorama di sviluppo dell’aviazione italiana fu caratterizzato da spinte e motivi spesso tra loro in contraddizione. La produzione ebbe per oggetto i massimi di velocità, autonomia, altezza, carico trasportabile, ed i risultati furono controllati con – ma spesso furono ricercati per – la partecipazione ad imprese e raids, alle periodiche gare internazionali, ai records: tra il 1º apr. 1927 ed il 1º nov. 1939, nelle categorie stabilite dalla Federazione aeronautica internazionale i records dell’Italia furono centodieci.
In questo modo però la produzione italiana non fu indirizzata verso l’unificazione e l’organizzazione quantitativa di modelli nettamente specializzati su esigenze d’impiego bellico. Ciò del resto nel quadro dei contrasti e dei dibattiti dell’epoca sulle teorie dell’impiego, che non riuscirono a risolversi in unicità di dottrina di base tale non solo da incanalare costruzioni, preparazione e impiego, ma tale da influire su uno stretto coordinamento operativo delle tre forze annate. Indubbiamente l’articolazione qualitativa agevolò la penetrazione dei prodotti aeronautici italiani all’estero, cui largamente il C. partecipò. Dal 1933 al 1939 per assistere forniture e metodi addestrativi, furono inviate dall’Italia quindici missioni aeronautiche in paesi esteri, e frequentarono le scuole italiane ufficiali e sottufficiali di venticinque nazioni. Ma nello stesso tempo la politica del governo non collimò con gli sforzi di penetrazione all’estero (la dichiarazione di guerra sorprese il C. con cospicui contratti in corso specie con enti francesi e inglesi), anche se le oggettive necessità dell’economia italiana facevano incentivare le esportazioni (nel 1939 i paesi importatori erano 39).
La progettazione e produzione Caproni di questi anni fu caratterizzata dal notevole numero di prototipi, varianti e miglioramenti. Furono studiati dal Ca. 74 i sesquiplani Ca. 86 (anfibio, a ruote rialzabili in alloggiamenti dello scafo centrale), il Ca. 92 (carrello ad ammortizzatore oleoelastico), il Ca. 115. Il biplano Ca. 82 fu ristudiato col Ca. 87 (quadrimotore per prestazioni atlantiche) e col Ca. 89 (bimotore da bombardamento); dal Ca. 73 furono studiati il Ca. 103 (bimotore da bombardamento) e il Ca. 106 (civile). Nel 1930 era prodotto il gigantesco Ca. 90 (bombardamento, esamotore con 6.000 CV, superficie portante 500 mq, peso q 150 e carico utile q 150, detentore di 6 records). Successo ebbe la produzione dei biplani turismo e scuola Ca. 100 (oltre 2.500 esemplari; ali ripiegabili, idro, anfibio e con pattini), Ca. 125 (anche versione idro), e nel 1940 il Ca. 164. Il biplano da acrobazia Ca. 104 si sviluppò nel Ca. 109 e nel Ca. 113, nel Ca. 165 (caccia) del 1935 e nel Ca. 134 (ricognizione) del 1938. La versione “alta quota” del Ca. 113 raggiunse nel 1934 il record di m 14.433; il Ca. 161 bis a. q. nel 1938 con M. Pezzi il record di m 17.083, ancora imbattuto.
Nel campo dei monoplani, dal Ca. 94 (quadrimotore da bombardamento) e dal Ca. 95 (trimotore) Si svilupparono il Ca. 97 (versioni trimotore civile; e monomotore civile, idro, trasporto, ricognizione), il Ca. 105 (civile) e il Ca. 108, il Ca. 111 (monomotore bombardamento; versioni idro e civile; versione ricognitore in larga dotazione), il Ca. 127; dallo schema del Ca. 97 trimotore si svilupparono il Ca. 101 (motore; versioni civile, militare, coloniale), il Ca. 102 (militare, bimotore e quadrimotore), il Ca. 120 (trimotore militare), il Ca. 131, il Ca. 133 (versione coloniale e bombardamento in larga dotazione; versione civile impiegata nella compagnia aerea di bandiera; versione sanitaria). Dallo studio del 1934 del Ca. 121 (monomotore da bombardamento veloce; ala bassa a sbalzo, carrello retrattile) derivarono il Ca. 122 (bimotore militare), il Ca. 123 (versione civile), il Ca. 124 (monomotore militare; versione idro), il Ca. 130 (idro bimotore militare), il Ca. 132, e nel 1936 il Ca. 135 (bombardamento veloce).
Da segnalare anche gli studi scientifici e le progettazioni compiute presso i laboratori di ricerca del C. che erano tra i più attrezzati. L’ingegner L. Stipa realizzò l’aereo ad “ala a turbina” (poi chiamato “elica intubata”), che compì il primo volo nel 1932 (studio e applicazione delle reazioni aerodinamiche nell’accoppiamento di un’elica e di un tubo: questo dava una reazione che si aggiungeva a quella dell’elica in crescendo col numero dei giri); il colonnello G. A. Trigona tradusse i suoi studi alari nel Tricap, aereo ad ali a gabbiano provato nel 1933; l’ingegner Chiodi realizzò il caccia veloce Gh. 1; G. D. Mattioli e A. Longo studiarono un diruttore e una aletta antistallo; l’ingegner S. Campini dal 1936 sperimentò presso il C. fino a costruire il reattore Caproni-Campini (primo volo nel 1940 a Taliedo, percorso Milano-Roma nel 1941).
I “Cantieri aeronautici bergamaschi” (dal 1929 nel gruppo, e con la ragione modificata nel 1938 in “Caproni aeronautica bergamasca”), dopo aver prodotto alcune serie per la società-madre (24 Ca. 101, e 101 Ca. 100), dal 1934 iniziarono, col direttore tecnico ing. C. Pallavicino, una autonoma progettazione (dalla metà del 1939 vi saranno concentrate le ricerche e la nuova progettazione anche della “Aeroplani Caproni”, pur restando gli uffici armamento e aerodinamico dislocati a Taliedo). Di questa nuova progettazione, fino al 1939, i tipi più prodotti, sia negli stabilimenti di Bergamo che in quelli di Taliedo, furono lo A.P. 1 (totali 66), il Ca. 309 Ghibli (totali 83), il Ca. 310 (totali 245).
Nel 1935 il C. possedeva, rilevati dalla sezione smobilizzi dell’Istituto per la ricostruzione industriale, i sette decimi (297.492 azioni da lire 100) del capitale (lire 42.500.000) delle “Officine meccaniche italiane” di Reggio. Accanto alle vecchie attività (materiale ferroviario, macchine e impianti molitori, macchine agricole) furono subito organizzati i due settori “aeroplani e motori” e “armi e munizioni”, in produzione già nel ’36.
Nel primo settore, dopo la produzione del Ca. 401 e del Ca. 402, e il cattivo esito dei modelli P. 32 bis e Ca. 405 Procellaria, si ripiegò sulla produzione degli S. 79 – consegnati 70 apparecchi a metà del 1939 -e S. 81; a metà del ’39 la costruzione motori arrivava a 800 pezzi. Nel secondo settore fu subito avviata una notevolissima produzione di bombe torpedini, di carri portacannoni e portaobici, oltre subforniture. La ripartizione del fatturato, che nel 1935 era del 31% alle costruzioni industriali e del 69% al materiale ferroviario, ebbe questi spostamenti: nel 1936, il 42% costruzioni industriali, il 49% materiale ferroviario, il 9% materiale aeronautico; nel 1937, il 14%, il 27%, il 59%; nel 1938, il 14%, il 41%, il 45%; nel 1939 il 7%, il 38%, il 55%; nel 1940, il 6%, il 14%, l’80%.
La strategia di sviluppo che il C. elaborò entro le richieste della politica economica governativa e nel quadro oligo-polistico della produzione e mercato bellico e aeronautico, mise capo a un “carteo” orizzontale poi integrato verticalmente. A differenza però del “cartello” classico, al temporaneo accordo intersocietario il C. sostituì il permanente controllo con la proprietà dei pacchetti di maggioranza. Ciò ebbe varie conseguenze. Se godette di autonomia imprenditoriale, accentuò peraltro la sua contrapposizione ai gruppi concorrenti, si isolò da collegamenti con gruppi potenzialmente interessati alla sua produzione (gomma, energia, ecc.), andò incontro a limitazioni di capitali sociali ed a croniche operazioni debitorie.
A metà degli anni ’30 il gruppo era un vasto complesso industriale per molti aspetti autosufficiente e capace di un cielo integrale, che trovava consolidamento nella mobilitazione dea produzione di guerra e nel quadro autarchico in cui avveniva. Le aziende, autonome formalmente erano complementari e operavano in coordinazione, nell’ambito di un collegamento tecnico basato sull’interscambio di materie, prodotti intermedi, prodotti finiti e servizi, e sulla ripartizione della produzione finale. Le aziende, e specialmente la società-madre, potevano spostare all’interno i fondi disponibili, immobilizzare capitali in misura molto minore al necessario, oltre avere facilitazioni finanziarie grazie agli avalli reciproci.
L’organigramma dei rapporti, intrecci e produzione si presentava con questo impianto. Del complesso, accentrato nella società-madre “Aeroplani Caproni”, facevano parte tre società capofila, la “Isotta Fraschini” di Milano (motori, mitragliatrici, armamenti, bombe, duralluminio, forgia, fonderia), la “Officine meccaniche italiane” di Reggio Emilia (locomotori, locomotive, fonderia, forgia, bombe), e la “Aeroplani Caproni” di Milano (aeroplani, tubi trafilati, eliche). Alla prima società, attraverso la “Fonderie Isotta Fraschini” di Milano (magnesio, electron), era collegata la “Compagnia chimico-mineraria del Sulcis” di Cagliari (benzina, glicoli, solventi, vernici); attraverso la “Motori marini Carraro” di Milano (attrezzature, motori marini, mozzi, eliche), era collegata la “Società anonima magnesio italiano” del Sulcis (Cagliari) (magnesio, electron), a sua volta collegata alla “Compagnia chimico-mineraria Sulcis” attraverso la “Sabbie industriali” di Livorno. Alla seconda società era collegata la “Officine meccaniche romane” di Roma (bombe, lamiera, alluminio). Alla terza società, attraverso la “Cantieri aeronautici bergamaschi” di Bergamo (aeroplani, scuola aviazione), la “Società immobiliare turismo aereo” di Montecolino sul lago d’Iseo (idro, scuola idro), la “Avio industrie stabiensi” di Castellammare (aeroplani, bombe), la “Officine reatine lavorazioni aeronautiche” di Rieti (aeroplani, bombe), la “Caproni bulgara” di Kuzanlăk (aeroplani, radio, materiale elettrico), la “Curtiss-Caproni” di Baltimora (aeroplani), erano collegate la “Industria specializzata strumenti aeronavigazione” di Bergamo (strumenti di bordo) e la “Segherie italiane” di Milano (legni compensati).
La branca “materie prime e semilavorati” si articolava nelle attività “leghe leggere, silumin, electron, duralluminio”(Isotta Fraschini), “fonderie e forge” (Isotta Fraschini, Officine meccaniche italiane), “trafilerie” (Aeroplani Caproni), “industrie chimiche estrattive, benzina, glicoli, vernici, solventi” (Compagnia chimico-mineraria del Sulcis), “legnami compensati” (Segherie italiane), “magnesio” (Società anonima magnesio italiano del Sulcis). La branca “prodotti finiti” si suddivideva nei settori trasporti”, “aviazione”, “armamenti”. I “trasporti” si articolavano nelle attività “locomotori” (Officine meccaniche italiane), “locomotive” (Officine meccaniche italiane), “motori industriali” (Officine meccaniche italiane, Isotta Fraschini), e automobili e camions” (Officine meccaniche italiane, Isotta Fraschini), e motori marini” (Isotta Fraschini, Motori marini Carraro), “motoscafi” (Isotta Fraschini, Motori marini Carraro). La “aviazione” si articolava nelle attività “aeroplani e idrovolanti militari e civili” (Aeroplani Caproni, Avio industrie stabiensi, Cantieri aeronautici bergamaschi, Industria specializzata strumenti aeronavigazione, Officine reatine lavorazioni aeronautiche, Società immobiliare turismo aereo), “strumenti per aeronavigazione” (Industria specializzata strumenti aeronavigazione), “accessori e istallazioni” (Officine reatine lavorazioni aeronautiche), “scuole di pilotaggio idro” (Società immobiliare turismo aereo), i scuole di pilotaggio terrestri” (Cantieri aeronautici bergamaschi), “motori per aviazione” (Isotta Fraschini). Gli “armamenti” si articolavano nelle attività “cannoni antiaerei” (Isotta Fraschini), “mitragliatrici” (Isotta Fraschini), “carri armati” (Officine meccaniche italiane), “bombarde” (Officine meccaniche italiane, Officine meccaniche romane), “bombe” (Officine meccaniche romane).
Nella seconda metà degli anni ’30 il “gruppo Caproni” assestò questo organigramma con acquisizioni di altre aziende, nuove costituzioni, cessioni. Entrarono, tra le principali, la “Fabbrica nazionale d’armi” di Brescia, la “Costruzioni elettromeccaniche di Saronno” la “Officine romagnole” di Imola, la “Industrie riunite” di Arco, la “Manganesifera italiana” di Tremonte Leffe, la “Aeronautica Predappio nuova” di Predappio, la “Aeronautica sicula” di Palermo, la “Società romana gassogeni” di Roma, la “Compagnia nazionale aeronautica” di Roma; ne uscirono le collegate estere. Il “gruppo”, pur se prevalevano le aziende situate in Lombardia, risultò con stabilimenti in quasi tutte le regioni italiane; il decentramento fu un elemento di debolezza, complicando l’organizzazione produttiva interaziendale, l’incidenza della voce trasporti, vincolando il funzionamento alla efficienza e sicurezza dei collegamenti.
Con la dichiarazione di guerra dell’Italia (10 giugno 1940), cui il C. fu nettamente contrario, il carattere del complesso era dato da una produzione meccanica (aeroplani e automezzi; motori e parti componenti; carrozzerie e accessori per aeroplani e automezzi; materiale rotabile ferroviario; motori marini e Diesel; strumenti e macchine di precisione; macchine utensili varie; macchine e materiale elettrico e ricestrasmittente; sommergibili, traghetti e mezzi navali leggeri; strumenti di navigazione; mortai, armi leggere e automatiche; bombe e proiettili; cartucce) a destinazione quasi esclusivamente bellica e solo secondariamente civile.
La struttura produttiva, nel 1943, era sostanzialmente assestata su queste principali società: “Isotta Fraschini” (capitale lire 150.000.000), “Officine meccaniche italiane” di Reggio (100.000.000), “Caproni elettromeccanica Saronno” (30.000.000), “Aeroplani Caproni”. (20.000.000), “Compagnia nazionale aeronautica” (10.000.000), “Caproni aeronautica bergamasca” (8.000.000), “Aeronautica sicula” (7.000.000), “Aeronautica Caproni Predappio” (5.700.000), “AeroCaproni Trento” (5.000.000), “Avio industrie stabiensi” (5.000.000), “Caproni meccanica leggera” (3.000.000), “Walton Carrara” (2.500.000), “Motori marini Carraro” (2.000.000), “Fabbrica nazionale di armi” (1.200.000), “Manganesifera italiana” (1.000.000), “Motovele d’Italia” (1.000.000), “Industrie riunite di Arco” (1.000.000), “Officine reatine lavorazioni aeronautiche” (1.000.000), “Aeronautica alto atesina” (1.000.000), “Società italiana apparecchi radio elettrici” (1.200.000), “Costruzioni aeronautiche Taliedo” (700.000).
Tra le industrie del settore aeronautico che sotto l’impulso della guerra erano riuscite a realizzare un notevole accrescimento produttivo (dai 1750 aerei e 4191 motori del 1939, ai 3257 aerei e 6507 motori del 1940, pur realizzando solo il 45% del fabbisogno richiesto), il “gruppo Caproni” aveva il maggior numero di dipendenti (29%). La produzione, indicata da alcuni dati delle principali aziende, non raggiunse mai la potenzialità massima, anche per difficoltà di rifornimenti da parte del Commissariato generale per le fabbricazioni di guerra, e poi per i bombardamenti agli stabilimenti ed alle vie di comunicazione.
La “Aeroplani Caproni” produsse: nel 1940, velivoli 206 e sommergibili 2; nel 1941, velivoli 218 e autocarri 2; nel 1942, velivoli 178, sommergibili 4 di cui 2 trasformazioni; nel 1943, velivoli 112, sommergibili 10 e autocarri 4. La “Isotta Fraschini” produsse: nel 1940, bombe 40.860, mitragliatrici 17.110, motori per aereo 869, autocarri 235, motori per autocarro 5; nel 1941, bombe 126.700, mitragliatrici 1697, motori per aereo 1.205, autocarri 331 motori per autocarro 30; nel 1942, bombe 113.540, mitragliatrici 1.543, motori per aereo 1.371, autocarri 265, motori per autocarro 6. La “Officine meccaniche italiane”: nel 1940, velivoli 107 e motori 685; nel 1941, velivoli 171 e motori 896; nel 1942, velivoli 246 e motori 554; nel 1941, velivoli 296 e motori 488. La “Caproni elettromeccanica Saronno” produsse: nel 1940, mortai da 81 n. 2.008, bombe da 81 n. 535.000, granate da 47 n. 100.000; nel 1941, mortai da 81 n. 2.850, bombe da 81 n. 1.200.000, granate da 47 n. 167.000; nel 1942, mortai da 81 n. 640, bombe da 81 n. 1.100.000, cartucce n. 1.305.000; nel 1943, mortai da 81 n. 254, bombe da 81 n. 154.000. cartucce n. 2.210.000. La “Caproni aeronautica bergamasca” produsse: nel 1940, velivoli 118; nel 1941, velivoli 86; nel 1942, velivoli 85; nel 1943, velivoli 74.
Dal bimotore civile Ca. 308 Borea derivarono i Ghibli bimotori pluriuso (dal ’38 al ’43 la serie Ca. 309,Ca. 316: il Ca. 313 G ebbe in Germania largo impiego come aereo scuola). Al 1º nov. 1939 erano in dotazione all’Aeronautica metropolitana 25 Ca. 135 (bombardamento), 46 Ca. 311 (osservazione), 70 Ghibli (osservazione) su totali 2.479 aerei da guerra; e all’Aeronautica dell’Africa orientale 46 Ca. 111 e 183 Ca. 133 su totali 323 aerei da guerra; al 10 giugno 1940, su totali 3.296, 71 Ca. 310, 145 Ca. 311, 69 Ghibli; e su totali 323, 167 Ca. 133.
Di notevole interesse fu il progetto di un caccia intercettatore studiato dall’ingegnere R. Longhi nelle “Officine meccaniche italiane”. Il Re. 2000, collaudato nel marzo 1939, fu subito ordinato in 300 e poi 1000 esemplari dall’Inghilterra (commissione non autorizzata, anche se figurava acquirente il Portogallo), in 70 esemplari più 190 su licenza dall’Ungheria, in 60 dalla Svezia; ancora fino al 1941 fu ordinato (commissioni non autorizzate) dalla Svizzera, Jugoslavia, Finlandia e Spagna. In seguito agli appunti mossi dal ministero dell’Aeronautica, nel dicembre 1939 era ultimato il progetto del Re.2001 (caccia), commissionato alla fine del ’40 in 110 esemplari; seguirono il Re. 2002 (assalto), il Re. 2003 (biposto ricognizione assalto) e, ultimato nel dicembre 1941 e ordinato alla fine del 1942, il Re. 2005 (Kmh 650, Plafond m 12.600, autonomia Km 1.200). L’8 sett. 1943 erano in piedi commissioni per 136 Re. 2001 e per 750 Re. 2005. Nelle “Officine meccaniche” di Reggio la ripartizione del fatturato ebbe questa evoluzione: nel 1941, costruzioni industriali 3% materiale ferroviario 15%, materiale aeronautico 82%; nel 1942, 6%, 17% e 77%; nel 1943, 5%,14% e 81%; nel 1944, 4%, 28% e 68%; nel 1945, 15%, 42% e 43%.
Dopo l’8 sett. 1943 le aziende del “gruppo Caproni” che non si trovavano in territorio liberato o non erano distrutte (il bombardamento del 19 luglio 1943 fece ad esempio cessare praticamente la produzione della “Compagnia nazionale aeronautica” di Roma) furono dal governo tedesco dichiarate “industrie protette” e messe sotto il controllo dell’organizzazione Speer. Prodotti ultimati e macchinari di niaggior interesse furono requisiti” la fabbricazione vigilata in loco da commissioni tecniche tedesche, alcuni stabilimenti decentrati per sicurezza (ad esempio, le “Officine meccaniche” di Reggio, che ebbero l’80% impianti e il 30% macchinario distrutti dai bombardamenti del 7 e 8 genn. 1944, trasferirono la lavorazione aeronautica tra Varese e il lago Maggiore). Il C., a impedire lo sfasciamento che sarebbe conseguito alla requisizione di stabilimenti e scorte e alla deportatone di temici e maestranze, intraprese forniture militari di vario tipo, assicurandosi così i rifornimenti di materie prime e cercando però di adottare una linea “attendista”: ma più che i rallentamenti dal C. cautamente suggeriti, fu l’azione resistenziale e il sabotaggio operaio (iniziato nel ’42) a portare a mancate lavorazioni o a consegne incomplete o difettose.
L’apparato industriale italiano “fu mobilitato per integrale sfruttamento a vantaggio dell’economia tedesca” (Collotti, p. 166), con la mira a trasferire in Germania impianti e maestranze, e con avvio di integrazione, e ove non fosse stato possibile [che]… lavorasse per i tedeschi ne sarebbero state asportate in Germania le attrezzature; l’insoddisfacente rendimento… o peggio il boicottaggio… avrebbe offerto il più comodo dei pretesti per smantellare gli impianti. D’altronde l’inefficienza… avrebbe offerto un pretesto altrettanto utile per la deportazione delle maestranze” (ibid, p. 190). Su questo complesso intreccio di motivi si affiancano sia la lotta operaia per non allontanarsi dalle fabbriche mirando però a intralciare la macchina bellica, sia gli sforzi degli industriali per produzioni e commesse che impediscano smantellamenti da parte dei Tedeschi che intanto proteggono dalla velleitaria socializzazione del fascismo repubblicano.
Nel periodo di occupazione tedesca la produzione direttamente bellica fu la seguente. Per la “Aeroplani Caproni” e la “Caproni aeronautica bergamasca”: nel terzo quadrimestre 1943, 3 aerei e 1 sommergibile; nel 1944, 192 aerei (159 Ca. 313 G e 30 Re. 2002) e 8 sommergibili; nel primo quadrimestre 1945, 58 traghetti da 6 barche (20 consegnati ai Tedeschi, 30 prelevati poi dagli Alleati). Per la “Isotta Fraschini”: nel terzo quadrimestre 1943, 785 mitragliatrici. 46 motori aereo, 9 autocarri; nel 1944, 1830 mitragliatrici, 388 motori aereo, 414 autocarri, 9 motori autocarro; nel primo quadrimestre 1945, 375 mitragliatrici, 14 motori aereo, 51 autocarri, 12 motori autocarro. Per la “Officine meccaniche” di Reggio: nel terzo quadrimestre 1943, 9 aerei, 3 motori aereo; nel 1944, 2 aerei, 189 motori aereo. Per la “Caproni elettromeccanica di Saronno”, dove nel ’43 era entrato in funzione un nuovo impianto proiettili: nel terzo quadrimestre 1943, 204 mortai da 81, 65.000 bombe da 81, 350.000 cartucce; nel 1944, 1.811 mortai da 81, 575.500 bombe da 81, 350.000 cartucce, 5.350.000 proiettili; nel primo quadrimestre 1945: 886 mortai da 81, 2121.850 bombe da 81, 1.230.000 proiettili, 320.000 bossoli. La “Fabbrica nazionale d’armi” fu diretta da un ufficio tecnico tedesco. I crediti esposti verso il ministero dell’Aeronautica germanico e verso ditte tedesche furono: per la “Isotta Fraschini”, lire 218.670.907; per la “Aeroplani Caproni”, lire 376.991.081.
Subito dopo il 25 apr. 1945 il C. fu denunciato e processato a Milano per “atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista” (aveva preso nel 1926 la tessera del partito fascista, e nel 1937 era stato nominato squadrista ad onorem) e per “collaborazionismo col tedesco invasore”; a metà del 1946 egli veniva assolto in istruttoria per non aver commesso i fatti.
Il procedimento penale, durante il quale il C. (rimasto latitante) venne tagliato fuori dalla immediata azione direttiva, e specie il sequestro dei beni e titoli propri e sociali che intralciò ogni sua manovra finanziaria proprio in una fase accelerata di passaggio da un’economia guidata e bellica ad un economia di mercato e di pace, innescarono il collasso del gruppo. Il C., che nel 1944 aveva cercato di attuare immobilizzi di riconversione e di costituzione di scorte, presentava circa a metà del 1946 un riassestato organigramma produttivo.
Industrie meccaniche: “AeroCaproni Trento”, stabilimenti di Trento e di Arco (carrozzerie; riparazione autoveicoli; lavori di piccola meccanica); “Aeroplani Caproni”, stabilimento di Milano Taliedo (carrozzerie ed accessori per autoveicoli; aeroplani per linee civili e per addestramento; biciclette); “Caproni aeronautica bergamasca”, stabilimenti di Ponte San Pietro e Presezzo a Bergamo, e di Montecolino a Brescia (carrozzerie ed accessori per autoveicoli; aeroplani per linee civili e per addestramento; trattori per agricoltura; lavorazioni meccaniche varie); “Industria specializzata strumenti aero-navigazione”, stabilimento di Ponte San Pietro (strumenti di precisione; pompe di iniezione, carburatori, filtri e accessori per autoveicoli e aviazione; strumenti di navigazione; apparecchi cinematografici); “Avio industrie stabiensi”, stabilimento di Castellammare di Stabia (lavorazione materiali ferroviari); “Motori marini Carraro”, stabilimento di Milano (motori marini lenti e di media velocità; motori Diesel per impianti fissi e semifissi; motori a benzina entro e fuori bordo); “Caproni elettromeccanica”, stabilimento di Saronno (macchine tessili ed elettriche; locomotori; filobus; montacarichi; calibri e utensili di alta precisione; candele per motori; materiale per centrali elettriche); “Fabbrica nazionale d’armi”, stabilimento di Brescia (fucili da caccia; piccoli trattori agricoli; macchine da cucire); “Isotta Fraschini”, stabilimenti di Milano e Saronno (automobili, motocarri, autopullman; motori marini Diesel veloci e di media velocità; motori Diesel veloci per automotrici; motori marini per vedette rapide; motori per aviazione; macchine per lavorazione legno; macchine utensili alta precisione per metalli); “Officine meccaniche italiane”, stabilimenti di Reggio Emilia (macchine per pastifici, mulini, cartiere; macchine e attrezzi agricoli; trattori; impianti e attrezzature di silos; locomotori elettrici; vagoni e carrozze ferroviarie; materiale per centrali elettriche); “Officine reatine lavorazioni aeronautiche”, stabilimento di Roma (macchine tessili; macchine speciali); “Cicli Dei”, stabilimento di Milano (velocipedi e biciclette a motore); “Officina lavorazioni metalliche”, stabilimento di Bassano del Grappa (parti metalliche per edilizia e per industria meccanica). Industrie elettriche: “Società italiana apparecchi radio elettrici”, stabilimento di Saronno (radio riceventi e trasmittenti); “Industrie riunite di Arco”, stabilimento di Arco (radio ricetrasmittenti). Industrie chimiche e minerarie: i Farmaceutici Caproni”, stabilimenti di Roma (prodotti chimico-farmaceutici); “Società anonima leuciti potassio affliminio”, stabilimento di Firenze (impianti per lavorazione chimica, lavorazione delle leuciti, estrazione di alluminio e sali potassici); “Società La Resina”, stabilimento di Arco (lavorazione resine naturali e sintetiche); “Manganesifera Italiana”, stabilimento di Tremonte Leffe (estrazione carbone e lignite); “Sabbie industriali”, stabilimento di Torre del Lago (Lucca; sabbia per uso industriale); “Walton Carrara”, stabilimento di Monzone (Carrara; marmi bianchi, grigi e venati); “Nichelio italiano”, stabilimento di Balangero (Torino; estrazione di nichelio da minerali poveri); e Industria manganese”, stabilimento di Angera (Varese; lavorazione minerali di manganese e di silicati rari, fosfato di rame). Industrie navali: “Cantieri navali stabiensi”, stabilimento di Stabia (motonavi di piccolo e medio tonnellaggio); “Motovele d’Italia”, stabilimento di Pellestrina (Venezia; motovelieri e motopescherecci); “Società ricuperi e costruzioni marittime”, stabilimento di Milano (ricuperi di navi, costruzioni marittime e portuali). Varie: “Aeronautica sicula”, stabilimento di Palermo (addobbi navali, mobili); “jutital”, stabilimento di Torre del Lago Puccini (fibre succedanee della juta).
La riconversione del gruppo aveva un carattere precario: tipo e numero disparato di lavorazioni, aziende che in varie produzioni entravano in reciproca concorrenza, dimensioni pari a quelle della produzione bellica, ma senza poter contare sul traino della committenza pubblica. Si uniscano difficoltà operative, quali i crescenti disaccordi con le direzioni sugli indirizzi, e la conflittualità aziendale. La cronica scarsità dei mezzi propri, l’esposizione bancaria e con l’Istituto mobiliare italiano, il congelamento di fatto dei crediti per forniture e dei risarcimenti per danni bellici, l’inesigibilità dei corrispettivi per forniture dopo l’8 sett. 1943, l’inflazione e l’ascesa dei prezzi all’ingrosso (rispetto al 1938, di 29 volte nel ’46 e di 51 nel ’47), rendevano inattendibili gli obbiettivi e problematica ogni manovra. Mentre il fatturato non raggiungeva sufficienti valori, e il crescente indebitamento era assorbito dalle paghe salariali, la drastica stretta creditizia degli ultimi mesi del ’47 fece precipitare la disgregazione del gruppo. Il C. aveva già tentato finanziamenti esteri nel 1947, trattando a Parigi, Bruxelles e Londra, poi direttamente (fine maggio-metà luglio) in Argentina e (agosto) a New York. Il ricorso al Fondo per il finanziamento dell’industria meccanica, ad anticipazioni su forniture, a cessioni di pacchetti di controllo di aziende marginali non risolsero i problemi della “Aeroplani Caproni”. Fallite le trattative del marzo-giugno 1948 a New York e Washington (dal diario del C. risulterebbero anche, nel gennaio, proposte alla finanza vaticana per le “Officine meccaniche”. di Reggio, trattative con gruppi filoisraeliani e, nel giugno, offerte “russe” di finanziamento), ed esauritesi le capacità di esposizione del C., cessioni e liquidazioni raggiunsero le società capofila: nel 1951 erano liquidate la “Officine meccaniche italiane”. e la “Caproni aeronautica bergamasca”, ultima era ceduta nel 1955 la “Aero Caproni Trento”. Il C., che era cavaliere del lavoro dal 1934, e conte di Taliedo dal 1940 morì a Roma il 29 ott. 1957.(fonte)
[5] Oreste Salomone. Aviatore, medaglia d’oro, nato a Capua il 20 settembre 1879, morto nel cielo di Padova il 2 febbraio 1918. Tenente d’amministraziane, chiese nel 1910 di passare nell’aviazione, allora ai suoi inizî; come pilota militare, fu decorato nel 1913, a Tobruk, della medaglia d’argento, per i molti audacissimi voli compiuti sulle linee nemiche. Come capitano, durante la guerra mondiale compì il 18 febbraio 1916 una memorabile impresa: colpiti a morte i suoi due compagni all’altezza della selva di Terriova il S., benché ferito alla testa, riuscì con eroici sforzi e sotto il continuo fuoco nemico a riportare nelle linee italiane le due salme e l’apparecchio, e gli venne perciò conferita la medaglia d’oro al valor militare, la prima concessa a un aviatore italiano. Ritornato a combattere dopo la convalescenza, bombardò sulla fine del 1916 Trieste e Pola. Costretto per le cattive condizioni di salute ad accettare un comando in zona territoriale, chiese, dopo Caporetto, di tornare a combattere, fu nominato comandante di un gruppo da bombardamento, e nel gennaio 1918 fu promosso maggiore per meriti eccezionali. Morì per un guasto all’apparecchio, mentre tornava dall’aver bombardato una volta ancora efficacemente le linee nemiche. Per tale azione venne conferita alla sua memoria la croce di guerra.(fonte)
[6] Timina Caproni Guasti (1902 – 1991) consorte di Gianni Caproni di Taliedo e figlia di un noto notaio milanese, infatti unì la passione dell’arte a quella del volo tanto da fondare nel 1929 il Museo Caproni per raccogliere le testimonianze della vicenda tecnica ed imprenditoriale del marito Gianni ed iniziò una raccolta di opere a tema volo che portò avanti per tutta la vita, insieme anche alla figlia Maria Fede.(fonte)
Su “La collezione Caproni è la più antica al mondo a tema aeronautico.”(fonte)
La collezione “Caproni” è stata creata da Gianni Caproni a partire dal 1910; nel 1927, per volontà dello stesso capostipite e della moglie Timina Guasti, essa dà origine al “Museo Aeronautico Caproni di Taliedo”, ossia a quello che viene riconosciuto come la più antica istituzione museale al mondo preposta alla conservazione delle testimonianze della storia aeronautica. Oltre che per la sua longevità, lungo il Novecento la collezione acquista notorietà internazionale per la rarità o l’unicità dei beni che la compongono, per la ricchezza tematica delle diverse raccolte che entrano a farne parte e per la completa originalità dei beni in essa custoditi.(fonte)