Modena, 3 Dic – 1931/X
Mio caro ed illustre Amico,
Le mando subito la mia risposta che sarà
quel che sarà, scritta -come è stata- in tutta fret-
ta, visto che Lei aveva gran premura.
Comunque, anche se l’avessi vergata in maggior
tempo, la sua sostanza sarebbe stata la stessa,
Con i più cari saluti mi creda Suo aff mo R Corselli[1]
P.S. Il Col. Crema, del quale tempo
fa Le feci il nome per la “Collana di
memorie di guerra” è venuto a trovarmi
di questi giorni di mia forzata perma-
nenza in casa, e mi ha detto che non
ha ricevuto nessun invito …. Io non ho
saputo che cosa rispondergli!
Al Chiarissimo Maestro
Cav. di Gran Croce Barone
Alberto Lumbroso[2]
Via Durazzo 12 – A Genova
LA MANCATA CONTROFFENSICA ITALIANA IN GRANDE STILE LA SERA DEL
15 GIUGNO 1918 (1) CONTRO IL GRUPPO CONRAD.
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Quando si è in vena di cercare ad ogni costo almeno un solo
pelo nell’uovo, lo si trova senza dubbio. Ma non è bella sco-
perta.
La critica che quel Comandante di Divisione[3] muove al Comando Su_
premo di essersi lasciato sfuggire la grande occasione di passare
alla controffensiva appena accortosi che, specie nella fronte mon_
tana, l’offensiva austriaca era fallita, non è nuova. Altri hanno
lamentato quest’occasione mancata. Ma non credo che si possa taccia_
re il Comando Supremo di poca abilità nello sfruttare la situazione
creatasi la sera del 15 giugno sulla fronte della 6^ Armata ed anche
della 4^ Armata, perché lanciare un’Armata in un’azione offensiva
così detta di alleggerimento contro le posizioni nemiche dell’Alto_
piano era così saggia e poteva fruttare buoni risultati tattici e
strategici verso la fine d’aprile, cioè nell’epoca in cui doveva
essere attuata.
Non era più cosa saggia mandarla a effetto mentre ferveva una
delle più grandiose battaglie della guerra e noi avevamo pericolan_
te tutto il settore in piano verso il quale cominciava a polarizzar_
si la massa maggiore delle riserve.
Il Fatto che l’offensiva del Gruppo Conrad era stata arrestata
con quella certezza di impossibili ritorni preoccupanti, che aveva
indotto i due Comandanti di Corpo d’Armata ad offrire le rispettive
riserve al Comando Supremo, costituiva un punto fermo nella esecuzio_
ne del piano difensivo – Controffensivo italiano.
Tenere cioè saldamente sulla sinistra (parte montana) di tutta
la fronte attaccata per controbattere manovrando sul centro e sulla
destra (parte collinosa del Montello e parte piana del Piave).
Un attacco italiano sferrato sull’altopiano sarebbe stato quanto mai
improvvido per queste ragioni:
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- – non sarebbe mai stato tempestivo la notte del 15 o anche la mat_
tina del 16 giugno, come invece tutta l’azione controffensi_
va italiana lo fu il 19 giugno.
Esso infatti avrebbe dato di cozzo contro il dispositivo
nemico ancora formidabile in tutta la profondità del suo sca_
glionamento e sarebbe stato neutralizzato ed arrestato ben
presto, senza per questo migliorare la situazione in piano. - – avrebbe richiesto un dispendio di forze vive in più del pre_
visto a tutto danno della libertà di manovra del Comando Su_
premo, che per piegare la formidabile potenza offensiva au_
stro-ungrarica aveva bisogno di disporre di tutte le riserve
concentrate nei punti d’impiego immediato e non disperse in
settori in quei frangenti secondari e di scarso reddito tat_
tico-strategico. - – sarebbe stato lanciato in direzione divergente rispetto alla
direzione delle altre linee di forza che convergevano essen_
zialmente in parte sul Montello in parte verso le Grave.
Quindi contrario all’economia della nostra reazione in pieno
svolgimento. - – sarebbe stato militarmente e moralmente un atto irreparabile
di deficiente valutazione della situazione in atto su tutta
la fronte la sera del 15 giugno; situazione che per quanto
abbastanza chiarita dagli avvenimenti della giornata, non lo
era però a tal punto di autorizzare il Comando Supremo a tra_
scurare un’immanente realtà: la forte pressione nemica da al_
lentare ed infrangere, ed arrischiarsi invece in un’avventura
illusoria.
Probabilmente, ciò facendo, avrebbe avuto ragione il ne_
mico che contava fiaccarci ad est del Brenta non potendolo
fare ad ovest.
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+ +
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-3-
Il Critico dell’operato del Comando Supremo del resto costrui_
sce il suo edificio ideale su mere ipotesi che non credo siano giu_
stificate da eventuali pecche nella condotta della battaglia del Pia_
ve.
Una battaglia grandiosa che si risolse per noi in una vittoria
decisiva di tutta la nostra guerra non ammette bizantinismi criti_
ci ….. che lasciano il tempo che trovano.
Note
Una premessa sul memoriale:
Quello che nello scritto viene nominato “…quel Comandante di Divisione” è il Generale Edoardo Monti. I memoriali dei vari Generali redatti su sollecitazione del Barone Lumbroso in merito alla questione sollevata dal Generale Monti, relativa alla mancata controffensiva italiana in grande stile la sera del 15 giugno 1918 contro il gruppo Conrad, non rivelano mai il nome del Generale al quale rispondono. Il nome appare nel biglietto privato che il Generale Vannutelli acclude al suo memoriale.
[1] Corselli Rodolfo (Generale dell’esercito)
Nato il 16 agosto 1873 e morto a Roma il 17 gennaio 1961
Frequenta’ l’Accademia militare di Modena e percorse tutti i gradi di una brillante carriera. Partecipò alla guerra italo-turca e al primo conflitto mondiale, riportando 4 medaglie d’argento e moltissime onorificenze.
Nel 1921 diventa’ capo di Stato maggiore del X Corpo d’armata di Palermo e nel 1924 ebbe affidato l’incarico di comandare la Scuola allievi ufficiali di Palermo.
Nel 1934 fu promosso generale di Corpo d’armata e assunse il comando della difesa territoriale di tutta l’Italia centrale.
Studioso di tecnica e di storia militare, lasciò numerose pubblicazioni ricche di ricordi e di valutazioni dei vari conflitti di cui era stato protagonista. Si ricordano alcuni titoli: “L’arte della guerra nelle varie epoche della storia” (1897); “Le vicende della nostra guerra” (1919); “La grande guerra” 1915-18 alle fronti italiane (1942); “Cinque anni di guerra italiana nella conflagrazione mondiale 1939-’45”, Roma, Tip. Regionale 1951, pp. 280. (fonte)
Corselli Rodolfo nelle celebrazioni della prima guerra mondiale di Miranda Pampinella
…
Una testimonianza interessante della Grande Guerra la lascia il palermitano Generale C. A. Rodolfo Corselli, allora Colonnello di Stato Maggiore, in una Conferenza dal titolo “Le vicende della nostra Guerra” tenuta a Palermo il 6 aprile 1919 nella grande aula della Storia Patria.
A tal proposito, in occasione delle celebrazioni della prima guerra mondiale, la famiglia del prof. Manlio Corselli ha voluto far dono al Generale B. Claudio Minghetti, Comandante Militare Esercito “Sicilia”, di un quadro collocato nella Caserma Rosolino Pilo che raffigura S. E. il Generale C. A. Rodolfo Corselli, che ha onorato Palermo come Comandante dell’Accademia Militare di Modena, studioso di Storia Militare e autore di opere su Cadorna e Diaz.
“Questo dono è per non dimenticare Rodolfo Corselli, che fu decorato nel 1915 della Croce di Ufficiale nell’Ordine della Corona d’Italia dell’Ordine dei Santi S.S. – spiega Manlio Corselli – e nel 1917 decorato della Croce di Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro; nel 1918 fu decorato della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Fondò il gruppo “Arditi Corselli” che si occupavano dell’offensiva contro gli austriaci. La Commissione d’inchiesta, riferiva il Corselli, presieduta dal senatore Mortara incaricata di accertare le violazioni delle norme di guerra compiute dagli Austriaci, riportava i dati della mortalità nelle terre italiane occupate da quella che il Carducci, trent’anni prima, aveva chiamato “micidial masnada”.
Per farci un’idea della reale situazione, riportiamo taluni raccapriccianti episodi resi noti dalla Commissione d’inchiesta e consultabili sul libro “Lampi di memoria – La Grande Guerra a Palermo” della giornalista Melinda Zacco e tratti dal Giornale di Sicilia del 6 – 7 aprile 1919: il generale comandante della 26^ divisione honved, a una madre presentatasi a lui con tre piccoli figli affamati, invocante soccorso, rispondeva “Se avete fame, mangiate prima il più piccolo, e poi gli altri”; ancora, un governatore austriaco disse alle autorità: “Datemi la popolazione nella piazza, che la sfamerò con le mitraglie”.
“Le informazioni riportate dal generale Corselli sono state preziose per ricomporre una parte della storia che non viene raccontata solitamente sui libri. La Grande Guerra, questa inutile strage, ha prodotto in Italia 650.000 morti, 947.000 feriti e oltre 600.000 dispersi. Ma nessun dice che il 90% di queste vittime era gente del Sud – spiega Melinda Zacco – a cui avevano promesso terre e condizioni migliori di vita. Come la Gran Bretagna ha usato indiani e afgani, e la Francia algerini e i tunisini, così l’Italia ha usato i popoli meridionali, l’ex Regno delle Due Sicilie. In tutti i nostri paesi del Sud troviamo lapidi con centinaia di nomi caduti per la Guerra, un’intera generazione. Eppure i meridionali lasciarono le proprie case, i campi, le proprie famiglie per rispondere alla chiamata alle armi ed irrobustire le file di un esercito forse per la prima volta veramente nazionale, che avrebbe dovuto difendere un confine e la Patria. Morirono in tanti, pensate che i meridionali impiegati nella Grande guerra furono il 51,3% dei soldati contro il 48,7% impiegato dall’Italia Settentrionale. Ben 5.903.000 uomini chiamati alle armi. Nelle forze dell’ordine istituzionali furono impiegati oltre 158.000 uomini, tutti di origini meridionali. Ma le vere vittime della guerra, oltre il 56% , furono i civili e i contadini che dovettero lasciare a casa la zappa per inforcare la baionetta che non sapevano nemmeno come fosse fatta. I siciliani erano pronti a tutto: avevano affrontato ogni sorta di fatica, avevano superato ogni sorta di difficoltà e, mentre dall’altro lato gli avversari bestemmiavano, i siciliani cantavano; mentre dall’altro lato l’ufficiale spingeva avanti i suoi uomini con la pistola in pugno, i siciliani bisognava invece frenarli col quotidiano crescere dell’entusiasmo patriottico”.
Credo che la Grande Guerra ci insegna che con fede e con sacrificio si rinnovano i destini dei popoli, con la speranza che possa essere una lezione per la nostra generazione che sta vivendo oggi una guerra piena. (fonte)
Rodolfo Corselli era un Generale dell’esercito, nato a Palermo il 16 agosto 1873 e morto a Roma il 17 gennaio 1961. Frequentò l’Accademia militare di Modena e partecipò alla guerra italo-turca e al primo conflitto mondiale, ottenendo 4 medaglie d’argento e moltissime onorificenze.
Nel 1921 venne nominato capo di Stato maggiore del X Corpo d’armata e nel 1924 fu incaricato del comando della Scuola allievi ufficiali di Palermo. Promosso generale di Corpo d’armata nel 1934, assunse il comando della difesa territoriale di tutta l’Italia centrale.
Studioso di tecnica e di storia militare, scrisse diverse opere.
Questa avrebbe dovuto comprendere due volumi, il primo (questo), con gli avvenimenti che hanno preceduto la guerra, arriva fino all’armistizio con la Francia (25 giugno 1940), escludendo la parte della guerra italiana. Il secondo, che non risulta mai pubblicato, avrebbe dovuto comprendere gli avvenimenti successivi e la parte italiana. (fonte)
Il Generale Rodolfo Corselli, nipote di un ex garibaldino, ebbe modo, all’età di soli 8 anni, di conoscere il Generale Garibaldi, nel 1882 durante una parata celebrativa in onore dell’Eroe dei due Mondi, all’epoca in visita a Palermo in occasione del Centenario dei Vespri, che egli considerava un esempio eccelso dell’eroismo del popolo siciliano verso il quale nutriva ammirazione e rispetto. All’epoca già vecchio e malato, Garibaldi fu tuttavia acclamato a voce di popolo da una folla festante. L’episodio rimase indelebile tra i ricordi più cari dell’A. che volle anche lui, come molti altri, commemorare l’Eroe, simbolo dell’Unità d’Italia, narrandone le gesta.(fonte)
[2] Alberto Emanuele Lumbroso Nacque a Torino il 1o ott. 1872, in una famiglia israelita, unico figlio di Giacomo e di Maria Esmeralda Todros, di nazionalità francese.
Il nonno paterno, Abramo, protomedico del bey di Tunisi, aveva ottenuto nel 1866 da Vittorio Emanuele II il titolo di barone per meriti scientifici e per speciali benemerenze. Il padre del L., Giacomo, era nato a Bardo, in Tunisia, nel 1844. Ellenista e papirologo di fama internazionale, dal 1874 socio della Deutsche Akademie der Wissenschaften, influenzò fortemente l’educazione e la formazione intellettuale del Lumbroso. Trasferitosi a Roma intorno al 1877, divenne accademico dei Lincei (1878) e pubblicò la sua opera principale, L’Egitto al tempo dei Greci e dei Romani (Roma 1882), ottenendo nello stesso 1882 la cattedra di storia antica all’Università di Palermo. Con il medesimo insegnamento, nel 1884, si trasferì a Pisa, quindi, nel 1887, nuovamente a Roma dove insegnò storia moderna alla “Sapienza” (vedi le Lezioni universitarie su Cola di Rienzo, ibid. 1891). Giacomo morì a Rapallo nel 1925.
I trasferimenti del padre lasciarono notevoli tracce nella formazione del giovane L.; tra le sue prime esperienze romane si ricordano la frequentazione delle case di T. Mamiani e di Q. Sella, dove divenne amico di S. Giacomelli, nipote di questo; in Sicilia rimase affascinato da G. Pitrè e, nell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari da lui diretto, pubblicò nel 1896 il suo primo articolo.
Nel periodo pisano il L. continuò con successo gli studi e sviluppò una notevole passione per la cultura erudita, collezionando autografi, raccogliendo motti, proverbi e notizie folkloristiche, sempre in perfetta sintonia con il padre. Tornato a Roma si diplomò al liceo classico E.Q. Visconti, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e si appassionò al periodo napoleonico, laureandosi, intorno al 1894, con una tesi su Napoleone I e l’Inghilterra (poi rielaborata e pubblicata in volume: Napoleone I e l’Inghilterra. Saggio sulle origini del blocco continentale e sulle sue conseguenze economiche, Roma 1897). Gli studi napoleonici occuparono interamente il L. fra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento. La frequentazione di ambienti intellettuali ed eruditi italiani (soprattutto romani, torinesi e, più tardi, napoletani) e francesi, l’assoluta familiarità con la lingua della madre e lo sviluppo di un talento compilativo dimostrato fin dalla prima giovinezza portarono il L. alla realizzazione di un gran numero di pubblicazioni.
Tra il 1894 e il 1895 uscirono i cinque volumi del Saggio di una bibliografia ragionata per servire alla storia dell’epoca napoleonica (Modena), circa mille pagine dedicate alle lettere “da A a Bernays” (l’opera resterà incompiuta) e tra il 1895 e il 1898 le sei serie della Miscellanea napoleonica (Roma-Modena), altra cospicua opera erudita di oltre millecinquecento pagine che raccoglieva memoriali, lettere, canzoni, accadimenti notevoli e minuti forniti da studiosi europei e introdotti dal L.; nella Bibliografia dell’età del Risorgimento V.E. Giuntella li definì “saggi bibliografici che, sebbene arretrati, possono ancora essere utilmente consultati” (I, Firenze 1971, p. 405).
L’interesse per il periodo napoleonico portò il L. a Napoli, in cerca di notizie e documenti su Gioacchino Murat. Suo interlocutore privilegiato in quella città fu B. Croce: il L. frequentò la casa del filosofo negli ultimi anni del secolo e i rapporti epistolari tra i due si protrassero a lungo.
I maggiori lavori napoletani del L. furono la Correspondance de Joachim Murat, chasseur à cheval, général, maréchal d’Empire, grand-duc de Clèves et de Berg (julliet 1791 – julliet 1808 [sic]), (prefaz. di H. Houssaves, Turin 1899 e L’agonia di un Regno: Gioacchino Murat al Pizzo (1815), I, L’addio a Napoli, prefaz. di G. Mazzatinti, Roma-Bologna 1904.
Alla fine del secolo il L. fu organizzatore e presidente operativo del Comitato internazionale per il centenario della battaglia di Marengo (14 giugno 1800-1900): chiamò alla presidenza onoraria G. Larroumet, professore della Sorbona e accademico di Francia, ottenendo la partecipazione onoraria di noti intellettuali tra cui G. Carducci, B. Croce, G. Mazzatinti, C. Segre, A. Sorel, le cui lettere di adesione furono via via pubblicate nel Bulletin mensuel du Comité international; nel 1903, accompagnato da una lettera-prefazione di Larroumet, fu edito il primo tomo, poi rimasto senza seguito, dei Mélanges Marengo (s.l. [ma Frascati] né d.).
Ancora una volta il L. usa uno stile cronachistico, cerca e pubblica ogni genere di fonte, prediligendo quelle dirette. A tale scopo rintraccia figli e nipoti dei personaggi che descrive; caso emblematico quello dei “Napoleonidi”: e infatti, grazie ai suoi lavori e alle sue frequentazioni parigine, divenne “Bibliothécaire honoraire de S.A.I. le prince Napoléon” [Vittorio Napoleone]; pubblicò poi Napoleone II, studi e ricerche. Ritratti, fac-simili di autografi e vari scritti editi ed inediti sul duca di Reichstadt (Roma 1902), Bibliografia ragionata per servire alla storia di Napoleone II, re di Roma, duca di Reichstadt (ibid. 1905) e – più tardi – redasse le voci su Napoleone I e i Napoleonidi per il Grande Dizionario enciclopedico UTET (1937, VII, pp. 1100-1150). A coronamento dei suoi interessi per i Bonaparte, nel 1901 il L. fondò e diresse la Revue napoléonienne, bimestrale (ma, dal 1908, mensile) che uscì fino al 1913, coinvolgendo nell’iniziativa un gran numero di studiosi italiani e francesi.
L’interesse per la cultura d’Oltralpe lo portò a pubblicare anche lavori su Voltaire (Voltairiana inedita, Roma 1901), Stendhal (Stendhaliana: da Enrico Beyle a Gioacchino Rossini, Pinerolo 1902) e soprattutto Maupassant (Souvenirs sur Guy de Maupassant: sa dernière maladie, sa mort. Avec des lettres inédites communiquées par madame Laure de Maupassant et des notes recueillies parmi les amis et les médecins de l’écrivain, Genève-Rome 1905), scritto durante un lungo soggiorno parigino.
Nel 1898 il L. era intanto diventato consigliere della Società bibliografica italiana e probabilmente nel contesto culturale della Società conobbe Carducci, cui dedicò, postuma, una Miscellanea carducciana (con prefaz. di B. Croce, Bologna 1911), raccolta di notizie critiche, biografiche e bibliografiche sul poeta.
Nel 1897 aveva sposato Natalia Besso, dall’unione con la quale nacquero Maria Letizia (1898) e Ortensia (1901). Nel 1901 l’intera famiglia abbracciò la religione cattolica. Nel 1904 il L. donò la sua ricca biblioteca napoleonica (circa trentamila volumi e opuscoli) alla Biblioteca nazionale di Torino, da poco distrutta in un incendio. Nel 1907 assunse, con A.J. Rusconi, la direzione della Rivista di Roma e, a partire dal 1909, ne divenne direttore unico.
La direzione della Rivista rappresentò una svolta nei suoi interessi e nei suoi studi, che da internazionali ed eruditi divennero più “patriottici”, legati a eventi del Risorgimento e della storia italiana (in particolare il L. sì appassionò alla riabilitazione dell’ammiraglio C. Pellion di Persano e, oltre agli articoli apparsi nella Rivista, sull’argomento pubblicò La battaglia di Lissa nella storia e nella leggenda: la verità sulla campagna navale del 1866 desunta da nuovi documenti e testimonianze, Roma 1910, seguita da ulteriori approfondimenti, tra cui Il carteggio di un vinto, ibid. 1917). Tra coloro chiamati dal L. a collaborare alla Rivista – che dal primo momento egli volle “crispina, salandrina e antigiolittiana” e, dopo la guerra, “antibonomiana e antinittiana” (Premessa, s. 3, XXXII [1928], 1) – D. Oliva, E. Corradini, L. Ferderzoni, A. Dudan.
Dal 1909 G. D’Annunzio collaborò alla Rivista di Roma. Il contatto diretto portò in breve tempo il L., inizialmente piuttosto critico nei confronti del poeta (si veda del L. Plagi, imitazioni e traduzioni, in Id., Scaramucce e avvisaglie. Saggi storici e letterari di un bibliofilo(, Frascati 1902, pubblicazione che Croce aveva particolarmente apprezzato), a divenirne ammiratore e paladino, fino a entrare in forte polemica sia con lo stesso Croce sia con G.A. Borgese; nel 1913, nel cinquantesimo anniversario di D’Annunzio, volle dedicargli l’intero n. 6 della Rivista; nello stesso anno il L. fu attivo nel Comitato pro Dalmazia italiana e, nel 1914, diede vita a un Comitato pro Polonia del quale offrì la presidenza onoraria al poeta.
Approssimandosi la guerra, la Rivista di Roma svolse campagne in favore dell’intervento e, nel 1915, lo stesso L. partì volontario col grado di sottotenente. Promosso tenente, dal 1916 al 1918 fu addetto militare aggiunto presso l’ambasciata italiana ad Atene e, al termine del conflitto, fu insignito del cavalierato nell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per benemerenze acquisite in guerra.
Nel 1924, ormai di fatto separato dalla moglie, il L. si trasferì a Genova dove riprese la pubblicazione della Rivista di Roma, sospesa nel biennio 1922-23, che diresse fino al 1932. A Genova ebbe due figli, Emanuele e Maria Tornaghi, nati nel 1918 e nel 1919 da Adriana Tornaghi, con la quale aveva a lungo convissuto.
Dopo la morte del padre, il L. ne pubblicò la bibliografia (in Raccolta di scritti in onore di Giacomo Lumbroso, Milano 1925); fin dal 1923 aveva collaborato con Critica fascista, e nel 1929 inviò suoi libri a B. Mussolini e chiese l’iscrizione al Partito nazionale fascista. I lavori più consistenti del L. negli anni Venti e Trenta furono dedicati principalmente alla Grande Guerra e a personaggi della casa reale.
Bibliografia ragionata della guerra delle nazioni: numeri 1-1000 (scritti anteriori al 1 marzo 1916), Roma 1920; Le origini economiche e diplomatiche della guerra mondiale, dal trattato di Francoforte a quello di Versailles, I-II, Milano 1926-28; Carteggi imperiali e reali: 1870-1918. Come sovrani e uomini di Stato stranieri passarono da un sincero pacifismo al convincimento della guerra inevitabile, ibid. 1931; Cinque capi nella tormenta e dopo: Cadorna, Diaz, Emanuele Filiberto, Giardino, Thaon di Revel visti da vicino, ibid. 1932; Da Adua alla Bainsizza a Vittorio Veneto: documenti inediti, polemiche, spunti critici, Genova 1932; Fame usurpate: il dramma del comando unico interalleato, Milano 1934.
Fra gli ultimi volumi pubblicati dal L. si ricordano ancora: Carlo Alberto re di Sardegna. Memorie inedite del 1848, con uno studio sulla campagna del 1848 e con un’appendice di documenti inediti o sconosciuti tradotti sugli autografi francesi del re da Carlo Promis (s.l. 1935) nonché, per i “Quaderni di cultura sabauda”, I duchi di Genova dal 1822 ad oggi (Ferdinando, Tommaso, Ferdinando-Umberto), ed Elena di Montenegro regina d’Italia (entrambi Firenze 1934).
Grazie al suo prestigio personale e all’adesione al cattolicesimo risalente al 1901, i Lumbroso furono discriminati dall’applicazione delle leggi razziali del 1938, ma il L. non pubblicò più. Il L. morì a Santa Margherita Ligure l’8 maggio 1942.(fonte)
[3] Edoardo Monti (Como, 19 luglio 1876 – 27 ottobre 1958) è stato un generale italiano.
Sottotenente di artiglieria nel 1896, frequentò la scuola di guerra e passò nel corpo di Stato Maggiore. Partecipò alla guerra libica del 1911-12 ed a tutta la guerra contro l’Austria, divenendo colonnello nel 1917. Fu successivamente Capo di Stato Maggiore del settore di Tarvisio e della divisione di Gorizia (1921), Comandante del 15º Reggimento artiglieria da campagna (1923) e poi (1926) Capo di Stato Maggiore di Corpo d’Armata di Bari. Generale di brigata nel 1928, fu ispettore di mobilitazione della divisione di Gorizia e nel 1929 passò al comando del corpo di Stato Maggiore. Con il grado di Generale di divisione comandò la 14ª Divisione fanteria “Isonzo” a Gorizia negli anni 1931-34. Trasferito a Cagliari assunse il comando del Corpo d’Armata della Sardegna con il grado di Generale di Corpo d’Armata e lo resse dal 1935 al 1936. In Bologna nel 1937 assunse il comando di quel Corpo d’Armata fino al 17 luglio 1939. Nominato designato d’Armata si trasferì a Como, sua città natale; in Milano assunse il Comando dell’Armata “S”, unità puramente cartacea, incaricata di studiare la difesa del confine settentrionale dal Monte Dolent al Cadore.
L’11 novembre 1939 trasmise allo Stato Maggiore del Regio Esercito una “Memoria operativa nell’ipotesi di violazione della neutralità svizzera da parte della Francia”. Il 15 dicembre 1939 ricevette direttamente da Mussolini l’incarico di sovrintendente alla fortificazione del “Vallo Alpino del Littorio” alla frontiera germanica; all’interno dell’Armata “S” l’ufficio preposto prese il nome di “Comando Presidio Monti”. Nel settembre 1940 il Comando venne sciolto e Monti continuò, sotto forma di consulenza, la sua collaborazione ai nuovi uffici preposti alla costruzione del “Vallo” fino al 19 luglio 1942, quando venne collocato nella riserva. Il 10 settembre del 1942 venne ricevuto a Palazzo Venezia da Mussolini il quale volle complimentarsi con lui, in modo particolare, per la condotta durante l’incarico di sovrintendente alla costruzione del Vallo Littorio alla frontiera germanica. Terminato l’importante incarico fu Presidente della Casa militare per i veterani in Turate (CO) fino alla morte. Poco dopo la fine della guerra fece parte di un giurì per indagare sulla responsabilità in ordine alla mancata difesa della piazza di Roma durante i tragici giorni susseguenti l’8 settembre 1943.
Ruolo nella realizzazione del Vallo Alpino. Prima dell’importante incarico di sovrintendente alla costruzione del Vallo Littorio alla frontiera germanica assegnatogli da Mussolini, di cui si è riferito nella biografia, il generale Monti aveva firmato in qualità di Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito la Circolare 300, emessa il 21 gennaio 1932, con cui approvava le aggiunte e varianti alla Circolare 200 ed alla Circolare 800 compilate dall’Ispettorato dell’Arma del Genio.(fonte)