retro:
Al Prof. Alberto Malatesta[1]
in ricordo di Alberto
Carlo Blanc[2]
Elena Blanc[3]
Roma marzo 1961
AUTORE Elena Aguet
DATA 1939 ca
SOGGETTO Alberto Carlo Blanc
B/N COLORE Bianco/Nero
DIMENSIONI 11,5×8,5 cm
MATERIA E TECNICA solfuro d’argento / Carta
© Archivio Sacchini
Note
[1]Alberto Malatesta. Già professore alla Sapienza di Roma nel Corso di Laurea Magistrale in Scienze Geologiche, geologo e paleontologo, si è spento all’età di 92 anni il 9 ottobre 2007. A. Malatesta è nato a Livorno il 15 luglio 1915; qui ha frequentato gli studi classici presso il liceo gesuita “Niccolini-Guerrazzi” e ha conseguito la laurea nel 1933. Si è laureato in Scienze Naturali all’Università di Pisa, sotto la guida del Prof. Alberto Carlo Blanc. Subito dopo la laurea iniziò a insegnare Scienze presso la scuola media di Piombino; qui conobbe la signorina Gianna Torricelli, che divenne sua moglie qualche anno dopo. Ebbero tre figli: Giuseppe, Gabriella e Giovanna. Nel 1939 A. Malatesta abbandonò l’insegnamento e partì per l’Africa orientale (Etiopia) come geologo del Reale Corpo delle Miniere. In questo periodo studiò soprattutto la geologia della Valle dell’Awash (purtroppo solo in tempi molto recenti vi furono scoperti importanti resti fossili). All’inizio della Seconda guerra mondiale si trovava in Etiopia come sottotenente dell’Esercito italiano. Dopo una romantica avventura trascorsa in volo tra Etiopia ed Eritrea, fu catturato e tenuto prigioniero dalle truppe inglesi. Una gravissima forma di malaria arrestò la sua corsa e fu trasferito prima nel porto di Asmara e poi nel campo inglese per prigionieri di guerra di Peshawar (Pakistan).
Nonostante la sua condizione di prigioniero, dopo l’8 settembre 1943 poté effettuare alcune missioni scientifiche sulla catena himalayana e in aree paleontologiche molto interessanti. Le osservazioni fatte durante queste indagini sul campo furono pubblicate qualche anno dopo sulle riviste scientifiche Atti della Società Toscana di Scienze Naturali (1948) e Bollettino del Servizio Geologico d’Italia (1951). Nel 1948 tornò in Italia e, a partire dal 1950, fu assunto dal Servizio Geologico Nazionale. Qui lavorò come geologo di campo ed eseguì il rilevamento geologico di diversi fogli geologici 1:100.000 nell’Italia centrale e meridionale, in Sardegna e in Sicilia. Questa attività gli ha permesso di acquisire una vasta conoscenza della geologia quaternaria italiana e di raccogliere una collezione molto ampia di resti fossili che ha studiato negli anni successivi.
A. Malatesta ha conseguito la “Libera Docenza” in Paleontologia nel 1959 ed è diventato professore associato di Paleontologia nel 1981. Ha insegnato “Paleontologia” all’Università di Messina (1960-1962) e alla Sapienza Università di Roma (1962-1973). Alla Sapienza Università di Roma ha tenuto anche i corsi di “Geologia e Paleontologia del Quaternario” (1973-1975 e 1981-1985) e di “Paleontologia dei Vertebrati” (19751981). In questo periodo ha diretto diverse spedizioni paleontologiche nelle grotte di Creta, Sicilia e Sardegna. Si è ritirato nel novembre 1985 all’età di 70 anni, ma non ha interrotto la sua attività di ricerca, come testimoniano diverse pubblicazioni scientifiche datate fino al 1994. A. Malatesta è stato autore o coautore di 104 lavori scientifici riguardanti la geologia e la geomorfologia del Pliocene e del Quaternario, la paleontologia degli invertebrati (molluschi) e dei vertebrati (mammiferi del Quaternario insulare) e la paleoetnologia. Nel suo libro sulla geologia e paleontologia del Quaternario, ha sintetizzato l’approccio scientifico generale allo studio dei problemi del Quaternario sulla base delle proprie esperienze sul campo e della sua vasta cultura geopaleontologica globale.
Tra i risultati più importanti derivanti dall’attività scientifica di A. Malatesta si possono citare la sintesi della geologia quaternaria dei dintorni di Roma (1978, 1980) e i numerosi contributi alla conoscenza della paleontologia plio-quaternaria italiana. Nato prima come geologo, la sua preparazione biologica e paleontologica, acquisita all’Università di Pisa quando era studente, lo portò a risolvere alcuni problemi incontrati durante le indagini geologiche con l’ausilio di studi tassonomici e paleoambientali su resti di molluschi e vertebrati. Studia i molluschi fossili raccolti nel Quaternario della Sicilia, nel Pliocene dell’Umbria e nel Paleocene del Mozambico, scrivendo importanti monografie (tra cui la “Malacofauna di Grammichele”, 1960, 1963 e la “Malacofauna Pliocenica Umbra”, 1974). Tali monografie sono punti di riferimento per la paleontologia molluschicola italiana e, in alcuni casi, mondiale. Studiando i molluschi ha eretto 1 nuovo genere, 1 nuovo sottogenere, 22 nuove specie e 3 nuove sottospecie. Allo stesso tempo, il recupero di cervidi nani durante le sue indagini geologiche in Sardegna ha suscitato il suo interesse per i fenomeni di “nanismo” e “gigantismo” dei taxa di mammiferi insulari e lo ha indotto a organizzare diverse spedizioni paleontologiche in Sardegna, Sicilia e Creta.
Queste esperienze lo hanno portato a proporre un nuovo modello per il popolamento dei mammiferi dei distretti insulari e il conseguente endemismo (1980). Ha eretto 1 nuovo genere, 1 nuovo sottogenere e 3 nuove specie di mammiferi. Sotto la sua guida è nata una Scuola romana di paleontologia dei vertebrati e diversi ricercatori della Sapienza Università di Roma e dell’Università Roma Tre portano avanti ancora oggi la sua eredità.
Da Il Quaternario – Italian Journal of Quaternary Sciences 24 (1), 2011 – 5-9 ALBERTO MALATESTA GEOLOGIST AND PALAEONTOLOGIST Francesco Zarlenga ENEA Cr.Casaccia (UTRINN) (fonte)
[2] Alberto Carlo Blanc. Nacque a Chambéry (Savoia) il 30 luglio 1906, da Gian Alberto e da Maria Menotti. Sotto la guida di G. Stefanini, direttore dell’Istituto di geologia dell’università di Pisa, conseguì nel 1934 la laurea in geologia. Dal 1935 al 1938 rimase assistente nell’Istituto pisano, trascorrendo però parte dell’anno accad. 1936-37 a Parigi al Laboratoire de géographie physique et géologie dynamique della Sorbona e all’Institut de paléontologie humaine. Conseguita nel 1940 la libera docenza in paletnologia, tenne per incarico l’insegnamento di etnologia presso l’università di Roma dal 1940 al 1957; nel 1940-41 e dal 1955 in poi insegnò paleontologia umana nella facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, e dal novembre 1957 gli fu affidato l’incarico dell’insegnamento di paletnologia nella facoltà di lettere.
Il B. svolse, però, la maggiore attività come direttore scientifico della sezione romana e segretario generale dell’Istituto italiano di paleontologia umana.
Il suo lavoro scientifico fu volto principalmente allo studio dell’origine, dello sviluppo e della successione delle culture preistoriche che popolarono la penisola italiana durante il pleistocene.
Conscio delle difficoltà di applicazione nello studio del pleistocene mediterraneo dello schema cronologico classico basato sul tetraglaciale alpino di Penck e Brückner, concretamente utilizzabile nelle sole regioni alpine e dell’Europa settentrionale in prossimità di depositi morenici ben datati, il B. si rivolse allo studio delle formazioni quaternarie costiere del litorale tirrenico ed adriatico, scoprendo numerosi giacimenti preistorici costieri con industrie paleolitiche in relazione stratigrafica con faune e flore fossili, con spiagge emerse o con terrazze fluviali ad esse riconnettibili.
L’impiego di tali metodi di ricerca nell’Agro Pontino e nella Bassa Versilia (Lago di Massacciuccoli, Castiglioncello, Canale Mussolini, Monte Circeo, Torre in Pietra) permisero al B. di porre in evidenza trasgressioni e regressioni marine di natura eustatica, e non già dovute a movimenti locali di abbassamento e sollevamento del suolo come veniva generalmente ritenuto, e di rappresentare le modificazioni del contorno costiero della penisola durante il pleistocene, stabilendo correlazioni tra la storia geologica recente del Mediterraneo e quella del Mar Nero e del Mar Caspio.
Sempre nel campo geologico, il B., insieme con altri collaboratori, identificò nella regione di Roma, almeno cinque periodi glaciali ai quali dette nomi locali, facendo di questa regione, particolarmente propizia a causa dei numerosi eventi vulcanici, più facilmente databili, un campo di ricerche divenute classiche nello studio della geologia del quaternario.
In campo paletnologico le ricerche del B. hanno condotto alla scoperta ed esplorazione di una numerosa serie di giacimenti paleolitici che si estendono dalla Liguria fino ai confini della Calabria e delle Puglie; essi rappresentano una vasta successione cronologica di stadi preistorici, dall’industria paleolitica inferiore ad amigdale acheuleane di Torre in Pietra (Roma 1954) ai livelli paleolitici superiori del Fossellone (Monte Circeo) e del Riparo Mochi (Balzi Rossi, Ventimiglia). Particolare rilievo ebbero le scoperte che si inquadrano nel periodo del paleolitico medio: industria musteriana su ciottoli o “pontiniana” (Agro Pontino), micromusteriano denticolato (Fossellone), industria musteriana su calcare (Capo di Leuca, Puglia); notevole soprattutto, in campo paleoantropologico, il rinvenimento di tre mandibole, un molare e due crani fossili appartenenti a due diverse forme di Homo neanderthalensis: Saccopastore (Roma, 1935) e Monte Circeo (1936-1939).
Dalle sue esperienze il B. derivò una posizione metodologica e teoretica dapprima elaborata, quasi esclusivamente con elementi etnologici, in Etnolisi. Sui fenomeni di segregazione in biologia ed in etnologia (Rivista di Antropologia, XXXIII [1940-1942], pp. 5-113), e successivamente ampliata in Cosmolisi. Interpretazione genetico–storica delle entità e degli aggruppamenti biologici ed emologici (ibid., XXXIV [1942-43], pp. 144-290).
In esso, ponendo in relazione le sue conclusioni con osservazioni di botanici (N. I. Vavilov), zoologi e antropologi, il B. affermava il principio del “polimorfismo originario delle forme biologiche ed etnologiche”, basato sulla constatazione, in numerose forme arcaiche, di una “commistione originaria (o genetica) delle strutture di sviluppo preludenti ai caratteri di specializzazione”. Secondo il B., nelle razze umane arcaiche sarebbe stata presente, sia come potenzialità, sia come raggiunta espressione, una grande varietà di forme biologiche e culturali. Gli elementi culturali, numerosi perché portati da popolazioni diverse accomunate durante le migrazioni conseguenti alle variazioni climatiche ed anche perché creati dalle nuove difficoltà ambientali, si sarebbero “smistati” in seguito in territori geografici distinti e qui si sarebbero poi selezionati gli elementi più adatti al nuovo ambiente. I caratteri culturali si sarebbero in seguito eventualmente correlati ed integrati con altri di diversa origine, generando quindi un nuovo ibridismo. Qualora, però, per varie ragioni, tali caratteri fossero rimasti isolati, essi avrebbero caratterizzato le culture più povere o addirittura quelle estinte. Il B. contestava così le tesi della scuola storico-culturale secondo cui le attuali razze primitive povere di elementi culturali rappresenterebbero una derivazione diretta di razze arcaiche rimaste estranee ad altre culture. Il B. si trovava a contrastare anche la tesi di stretta derivazione evoluzionistica, secondo cui i selvaggi rappresenterebbero la forma semplice generatrice delle attuali forme complesse dell’umanità più civile.
D’accordo in parte con i principi del Rosa, il B. applicò al fenomeno culturale la legge della progressiva riduzione della variabilità e quindi della irreversibilità dell’evoluzione, dimostrate dalla mancanza di plasticità culturale caratteristica di alcune popolazioni attuali. Il metodo di indagine etnologica da lui proposto è quello genetico storico, che appoggia cioè il criterio storico a fatti naturalistici osservabili.
Nel suo interesse per problemi di ideologie magico-religiose, il B. fu condotto, stabilendo un confronto tra le culture “primitive” attuali e quelle preistoriche, a proporre nuove interpretazioni di particolari fenomeni culturali (cannibalismo, cerimonie propiziatorie) e di manifestazioni artistiche (i “danzatori” dell’Addaura in Sicilia). Dallo studio di dipinti schematici rupestri di età preistorica, nacque, insieme con altre, l’opera Dall’astrazione all’organicità (Roma 1958), ove si sottolinea la priorità storica dell’arte astratta nell’evoluzione artistica umana.
Nel 1954 il B. fondò la rivista Quaternaria. Storia naturale e culturale del quaternario. Già presidente della Commissione per le linee di riva dal 1953, morì a Roma il 3 luglio 1960.
Opere: Circa duecento tra pubblicazioni ed articoli di divulgazione elencati in Notizie sull’operosità scientifica e didattica di A. C. B., Roma 1959, e in Pubblicazioni di A. C. Blanc, in Quaternaria, VI, Roma 1962, pp. 13-92. (fonte)
[3] Elena Aguet Blanc, moglie Elena di Alberto Carlo Blanc e nipote di James EdouardAguet
https://www.circei.it/unione.html
su James EdouardAguet
Il Dizionario storico della Svizzera
Immagini di Alberto Carlo Blanc e la moglie Elena Aguet a Grotta Guattari Circeo (LT)
in
Vivere di Preistoria – ISIPU | Istituto Italiano di Paleontologia Umana
Una testimonianza della figlia di Alberto Carlo Blanc e di Elena, Maria Cristina
in Un enigma dal passato di Gianluigi Proia
Su Storia e Legenda del Circeo
Su Alberto Carlo Blanc vs Ranuccio Bianchi Bandinelli
I motivi astratti, che largamente prevalgono, sono spirali, meandri, croci, svastiche e soprattutto grovigli di segni dei quali sarebbe illusorio ( e fuorviante) dare una definizione. Ma il fatto specialmente notevole è che, almeno in alcuni casi, si può seguire l’evoluzione dal figurativo all’astratto, dall’organico all’inorganico: per esempio, l’immagine dell’uomo diventa una specie di spirale, quella dell’animale una specie di pettine, e così via. Naturalmente, il fenomeno si attua per fasi successive; e tali fasi possono essere individuate, quasi allineate in uno sviluppo che è logico ma deve essere anche temporale, dal più antico al meno antico.
La questione giunge così al problema centrale dell’arte preistorica, quello del rapporto tra organicità e astrazione. Una polemica non priva di asprezza (almeno per lo stile dei tempi) contrappose negli Anni Cinquanta studiosi quali il Ranuccio Bianchi Bandinelli e Alberto Carlo Blanc, presentando in alternativa due eventualità: è l’arte astratta il risultato del dissolversi delle forme organiche, ovvero è quella organica l’esito di uno sviluppo figurativo degli schemi astratti? Le scoperte di Porto Badisco si adeguano chiaramente alla prima alternativa; e poiché essa fu sostenuta da Bianchi Bandinelli, gli danno ragione a posteriori. Ma ragione, si badi, nei limiti dei tempo e dell’ambiente a cui si riferiscono, cioè il neolitico italiano e più precisamente pugliese.
Paralleli altrove vi sono, certo; ma automatiche corrispondenze, no.
In realtà, la grotta riflette un particolare e decisivo momento della preistoria, quello in cui la società dedita al nomadismo passa alla vita sedentaria, l’alimentazione fondata sulla caccia si trasforma in quella dipendente dall’agricoltura e dalla pastorizia. Allora l’organicità dell’arte entra in crisi, cede progressivamente a forme astratte che al tempo stesso riducono la realtà all’essenziale e la trasfigurano in simboli di verità superiori. E prima? Nel lunghissimo corso dell’Età Paleolitica, afferma Blanc, il processo è inverso: “Lo sviluppo dell’arte figurativa è preceduto da una più antica fase di arte astratta, di carattere simbolico”. Chi ha ragione, dunque? L’arte a noi ben più prossima insegna che correnti realistiche e astratte si succedono e si alternano senza posa: perché alle origini umane non può essere accaduto lo stesso?
Una grotta d’avanguardia di Sabatino Moscati