LA PREPARAZIONE
(Riv. mil. ital. 1° gennaio 1915)
Siamo in balia degli eventi, ma non senza una nostra
volontà. Ormai la nazione è orientata secondo la diret-
tiva governativa: l’Italia interverrà nel grande conflit-
to se l’intervento sarà necessario per la difesa dei no-
stri interessi.
Al periodo di attesa, il Capo del Governo ha dato la
formula del sacro egoismo per la patria.
Aggiungiamo che il periodo di attesa dev’essere perio-
do di alacre preparazione, materiale e morale, dell’eser-
cito e del paese.
I più alti e penetranti intelletti hanno intuito la
portata degli interessi politici, etnici, economici, spi-
rituali in lotta, e presagito che la grande pace segnerà
lo inizio di una epoca nuova per l’Europa e per il mondo.
Gli eserciti ed i popoli belligeranti paiono compenetra-
ti degli immanenti destini: onde il valore e la tenacia,
il sagrificio e il sangue per cui l’umanità – sia pure
in gesta orrende – or si sublima. Mettiamoci alla pari
con quegli eserciti e con quei popoli: prepariamoci al
supremo sforzo consapevoli: foggiamo con la potenza
di tutte le nostre forze i nostri destini.
Non si dica che con lo avanzare dell’inverno gli even-
ti non precipiteranno all’epilogo; non addormentiamo le
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nostre energie pensando ch’esse debbano tendersi ad epoca
da noi prestabilita: potremmo avere dai fatti crudelissi-
me smentite. Consideriamo, invece, la guerra come imminen-
te, e, senza febbre, senza orgasmo, usiamo intensamente
il tempo a colmar lacune, a ringagliardire organismi e, so-
prattutto, a riplasmare spiriti.
Lungi da me la presunzione di insegnare la via alle
alte autorità competenti, le quali, certo, sanno quel che
devesi fare; desidero soltanto diffondere tra gli ufficia-
li italiani, col mezzo di un’autorevole rivista, alcune
idee, semplici sì, ma di capitale importanza per la no-
stra preparazione alla guerra.
LA FEDE
Prima di tutto la fede, cioè la fiducia incrollabile
nell’esito vittorioso della guerra.
Questo argomento riguarda voi, specialissimamente uf-
ficiali dell’esercito: senza fede non si vince.
Lo so: in questi ultimi venti anni l’anima, dell’uffi-
ciale italiano ha sofferto immeritati dolori; ma ora non è
tempo di recriminazioni, e voi, ufficiali, staccando reci-
samente il pensiero dal passato, dovete ritemprarlo, forti-
ficarlo, elevarlo all’altezza del mandato che, forse, la
storia vi affida. Ciò è per voi supremamente doveroso e
deve essere opera di sentimento e di ragione.
Le vicende dell’esercito avevano prodotto deficienze
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nei quadri, negli equipaggiamenti, nelle artiglierie; il
diffondersi dello spirito sedizioso nel popolo e il conse-
guente scadimento del principio di autorità avevano, di
contraccolpo, illanguidito la disciplina nell’esercito.
Fra tanti mali, questi ultimi specialmente preoccupavano
voi, o ufficiali.
Le vostre preoccupazioni sono esagerate, come dirò in
seguito: intanto allietatevi dei mutamenti avvenuti. Alle
deficienze materiali si ò provveduto o si provvederà inte-
ramente, comprese quelle manchevolezze in artiglieria che
parevano ridurre notevolmente la efficienza delle nostre
armi; al dissesto morale ripara, con impensata efficacia,
la guerra, la cui voce tragica e piena di fati giunge al
di qua delle Alpi ammonendo ed istruendo più che un volu-
me di storia, più che un ventennio di contropropaganda.
La guerra fa rinsavire le Mostre folle. Essa riduce i
nostri demagoghi alle loro minuscole proporzioni, svelan-
do la malafede e gli errori della loro predicazione; il
che vuol dire diminuzione e, forse, sparizione del loro a-
scendente sulle masse, almeno finchè le considerazioni di
ordine economico non ripiglino, tra le plebi, il sopravven-
to su quelle di ordine nazionale.
Ora si può asseverare che queste ultime, risvegliate
dalla guerra, agitano anche l’animo del proletariato, indu-
cendolo al raccoglimento patriottico ed alla disciplina ver-
so le somme autorità dello Stato. Il popolo legge avidamente
le notizie della guerra; percepisce con lo istinto, che nes-
(4)
sun traviamento può aver fuorviato, misura il dono a cui
gli antimilitaristi avevano esposto l’Italia e, forse, in
cuor suo, sente nausea di loro e si prepara, se una voce
augusta chiami, a reagire con impeto contro l’inganno sof-
ferto.
Se entreremo in guerra, la massa del popolo nostro u-
nirà alla passionalità latina la fermezza anglo-sassone.
Il dissidio, fra fautori della neutralità e fautori dello
intervento, è nelle classi speculative e calcolatrici: il
popolo, di fondo generoso e facile allo entusiasmo, si get-
terà con ardore nella lotta.
E l’esercito?
Non vi impiccolite, o ufficiali, con lo ingrandire a in-
dizzi o a sintomi pericolosi alcuni sporadici episodi di ri-
chiamati, alcuni atteggiamenti localizzati a certi distret-
ti o, tutt’al più, a certe regioni. I nostri soldati sono
in grande maggioranza buoni e forti, intelligenti tanto da
comprendere la situazione del paese, generosi tanto da in-,
fiammarsi degli ideali che, allo avvicinarsi della guerra,
brilleranno alla loro immaginazione: essi si batteranno co-
me si battono i migliori soldati d’Europa. E l’asserzione
non è gratuita: il soldato nostro si è sempre magnificamen-
te battuto quando è stato ben condotto.
Per gli ufficiali, basta la recente campagna libica a
comprovare come essi sappiano stare alla testa dei, loro sol-
dati tanto per valore personale quanto per sapienza di co-
mando.
(5)
Tra i generali, in particolare, già si sono rivelate
tempre di condottieri e altre si indovinano facilmente.
Per cultura, per carattere e per patriottismo, i generali
italiani eguaglieranno e, forse, supereranno i generali dei
migliori eserciti belligeranti (1)
Perchè, dunque, avemmo un momento di depressione spiri-
tuale?
Grave errore nostro fu lo aver giudicato i nostri mali
con concetto assoluto, anziché con concetto relativo.
[n1]Mentre mettevano il dito sulle nostre piaghe, dilaniando-
le, chiudevamo occhi ed orecchi davanti alle magagne ed alle
crepe degli altri popoli e degli altri eserciti: supponenno
gli altri perfetti di fronte a noi imperfetti, gli altri com-
pleti di fronte a noi incompleti, e non pensammo che ai no-
stri mali potessero corrispondere, al di là delle Alpi, mali
maggiori.
Se nella Francia sconvolta da tante crisi e nella Russia
così foscamente dipinta dal Kuropatkine nelle “Mermorie”, gli
spiriti avessero attinto il pessimismo dallo spettacolo o dal-
la descrizione dei mali, Francia e Russia non avrebbero osato
cimentarsi con la. formidabile Germania.
———
- – Non intendo esprimere un giudizio, ma una radicata, sebbe-
ne modesta, convinzione, dedotta da questa verità storica:
la razza italiana ha sempre prodotto valenti generali.
Perchè non dovrebbe averli oggi l’esercito nostro?
A scuoter la fede, non può bastare l’obiezione che non
sempre i valenti generali sono stati messi alla testa delle
nostre forze.
(6)
Dimenticammo gli insegnamenti della storia militare, cioè
che nessun esercito scese mai in campo perfetto e completo,
e che nessun popolo fu mai unanime nello slancio e nella co-
stanza. I Giapponesi, che pur dettero prove di patriottismo
memorande, ebbero le loro lacune; e dei Tedeschi, la cui pre-
parazione stupisce il mondo, sapremo, in seguito, che non è
[n2]tutt’oro quel che riluce.
Esagerammo la potenza dei capi socialisti e sindacalisti
sulle masse popolari, fatte soprattutto di egoismo di classe;
male giudicammo il proletariato dagli atteggiamenti di rivolta
negli scioperi e nelle sommosse, mentre, in realtà, anche in
fondo all’animo dell’operaio il sentimento nazionale è laten-
te, sì che lo stesso individuo, ribelle per ragioni economiche,
pub esser devoto per ragioni patriottiche; facemmo torto agli
stessi capi del socialismo ritenendoli incapaci di obbedire
nelle ore storiche alla voce della patria, mentre assistiamo
alla scissione fra neutralisti ed antineutralisti e perfino a
qualche accenno di socialismo nazionalista.
Della nostra indole latine, mettemmo in evidenze gli a-
spetti peggiori ma non quelli migliori, come l’attitudine ai
provvedimenti urgenti quella ai rapidi innalzamenti di mora-
le: il che vuol dire attitudine a fare molto bene in breve tem-
po se un polso fermo, se un’anima intera e dritta si ponga alla
nostra testa.
Chi, nell’ora che volgo, non giunge, attraverso lo esame
della situazione, alla fede — che non è disconoscimento del
nemico, ma adeguata valutazione propria — qualunque sia il no-
(7)
stro nemico, è affetto da pessimismo incurabile. Vada o rimar-
ga a casa, o per lo meno stia zitto per non disturbare, con a-
lito pestilenzilale, le fiamme pure che ardono in altri cuori.
[n3]Pur tra acri dibattiti, sentasi il ritmo e l’ansito della
nazione in un’aspirazione definita verso una maggiore potenza,
verso una più gagliarda coscienza. Voi, ufficiali, dovete por-
tare in campo quel ritmo e quell’ansito.
Dalle cresciute energie agricole, industriali, commerciali,
intellettuali un fascio poderoso di forze sosterrà l’esercito
in guerra; dal genio della stirpe, dai grandi del Risorgimento,
dalle Alpi, dal mare un flusso ideale lo investirà.
Ufficiali, valorizzate con la vostra fede tutte le forze,
tutti gli ideali della, nazione.
Senza fede non si vince.
LA DISCIPLINA
La disciplina è l’anima degli eserciti.
Recentemente, un principe tedesco, reduce dalla guerra, di-
ceva che la disciplina è utile quanto il valore; e, certo, non
esagerava.
Da noi, in questi ultimi anni, per un complesso di circo-
stanze, la disciplina era un po’ scossa.
Ora, fortunatamente, si avvertono chiari segni di notevole
miglioramento; ma, forse, è pur sempre necessario rinvigorire
nelle nostre truppe il sentimento del dovere.
Gli ufficiali sanno dove tn opera di restaurazione è
(8)
più urgente; e sarebbe odioso fare confronti tra arma e arma.
Se la disciplina è in ogni tempo condizione imprescindibi-
le, essa acquista specialissimo valore allo approssimarsi di
una guerra. In guerra, l’obbligo della obbedienza pronta, ri-
spettosa, assoluta, si traduce nell’obbligo di battersi vin-
cendo lo istinto di conservazione anche nelle più tremende cir-
costanze.
Il contegno del soldato sotto il fuoco dipende da tanti
fattori, nè io voglio ignorarli; ma il fattore primo, che può
da solo essere sufficiente a formare il bravo soldato, è la di-
sciplina, la quale garantisce al superiore la esecuzione di
qualsiasi ordine.
A mano a mano che la guerra si approssima, si stringano in-
telligentemente i freni. Non dico che l’ufficiale smetta la na-
turale sua benevolenza per il soldato, nè che si rallenti l’ope-
ra di persuasione; anzi questa, che è più consona alla indole
di nostra gente, ha da essere — ora più che mai — l’azione as-
sidua dei nostri ufficiali; dico di non consentire contegni am-
bigui, obbedienze svogliate, subordinazioni incomplete: dico
di colpire inesorabilmente i riottosi, dei quali è pernicioso
il contagio quando non siano prontamente compressi.
Considerare so valga più un soldato disciplinato per senti-
mento o uno disciplinato coercitivamente, ora, sarebbe bizan-
tinismo.
Noi dobbiamo avere soldati i quali sopportino, senza lamen-
to, qualunque fatica, qualunque stento, qualunque sacrifizio
inerente allo stato di guerra; i quali non indietreggino mai,
(9)
senza ordine superiore, comunque sia battuta o assalita la
posizione occupata; i quali avanzino sempre, all’ordine del
superiore, qualunque sia il turbine di fuoco sotto cui deb-
basi avanzare.
Un contegno simile può essere frutto di fervido patriot-
tismo o di ferrea disciplina. Noi possiamo fare molto assegna-
mento sul patriottismo di nostra gente; ma non dobbiamo dimen-
ticare che anche nel rostro – come nei migliori eserciti che
la storia ricordi – avremo i malcontenti, i riluttanti, i pa-
vidi, i vili, per i quali potrebbero essere insufficienti gli
ordinari mezzi del tempo di pace.
Dunque, prima che la guerra cominci, si dia alle truppe
il senso di una forte disciplina, la quale faccia presentire
ai cattivi facile il trapasso ai mezzi estremi a guerra inco-
minciata.
Ci pensino i nostri ufficiali, e credano che una batta-
glia sarà già vinta quando lo imperio della disciplina nelle
nostre file sarà assoluto, rispettato, temuto.
LA SELEZIONE DEGLI UFFICIALI = LE DESTINAZIONI DI GUERRA
La fiducia negli ufficiali è il motore dei soldati.
A noi occorre, negli ufficiali, la “qualità”. È certamen-
te utile che gli organici siano completi; ma piuttosto che a-
vere elementi scadenti, meglio sarebbe entrare in campagna
con organici incompleti.
Ormai ò dimostrato che il nostro soldato segue l’ufficia-
le e che si batte bene quando è comandato bene; perciò, per
(10)
chi la intenda sino in fondo, la selezione degli ufliciali
è da noi, più che in altri eserciti, questione di alta impor-
tanza.
Con tutte le cautele e con tutta la discrezione possi-
bile, si faccia – se già non si è fatto – per ogni ufficia-
le, su cui sia legittimo il dubbio, l’esame delle attitudini
a condurre in guerra il reparto del quale abbia o debba ave-
re il comando.
Occorre eliminare gli inetti ( certamente pochi ), i quali
si infiltrano, come in qualsiasi gerarchia, anche nella ge-
rarchia militare, i deboli di carattere, i malaticci, gli e-
sausti: insomma, tutti quelli che non possono avere sui loro
uomini tale ascendente da imporre la volontà e da trascinare
anche nelle più difficili condizioni.
Comprendo che questo lavoro deve essere, in gran parte,
induttivo; ma, a chi conosca davvero i propri dipendenti ed
il grado di istruzione e di educazione militare degli uomini
a cui essi comandano, non possono mancare i fatti e gli indi-
zi per un giudizio ponderato e fondato.
So bene che il giudizio umano spesso erra, e che, talvol-
ta, in battaglia, il presunto buono diventa cattivo, e vice-
versa; ma ciò non toglierebbe ragionevolezza ed utilità ad
un provvedimento che allontanasse dalle truppe ufficiali no-
toriamente poco capaci o poco validi e perciò, già prima del-
lo inizio delle operazioni, nocivi al morale degli inferiori
e quindi a quello dell’esercito.
Data la buona qualità media dei nostri ufficiali, sareb-
(11)
bero relativamente pochi gli esonerati dal comando di reparto
in guerra; comunque, servirebbero anch’essi, poichè, all’atto
della mobilitazione, abbiamo bisogno di migliaia di ufficiali,
oltre quelli destinati a inquadrare le truppe.
Ciò per gli ufficiali in servizio attivo permanente ed
anche per gli ufficiali in posizione ausiliaria richiamati sot-
to le armi.
Per gli ufficiali di complemento, ai quali dobbiamo affi-
dare tanti dei nostri plotoni, potrebbesi fare analogo esame
con la scorta delle note caratteristiche, naturalmente tenen-
do conto del tempo trascorso dall’ultima chiamata in servizio.
I ritenuti idonei al comando di reparto, o suscettivi di
divenire tali in breve tempo, dovrebbero essere richiamati
sotto le armi — se già non vi si trovino — esercitati nel co-
mando, migliorati nella cultura militare. La forza che ora si
trova sotto le bandiere richiede grande numero di ufficiali;
reciprocamente, essa può servire ad addestrare i meno esperti
subalterni sotto la guida di provetti capitani o ufficiali su-
perfori.
Agli altri ufficiali di complemento, si darebbero desti-
nazioni di mobilitazione fuori dei reparti combattenti.
La selezione produrrebbe qualche vuoto negli organici e
i vuoti — a cagione delle conseguenti promozioni — si somme-
rebbero nell’organico dei subalterni; al che si potrebbe ri-
mediare con buoni marescialli e sergenti maggiori se, come io
credo, un buon maresciallo o sergente maggiore valga più d
[n4]un subalterno scadente.
(12)
Questi sottufficiali prescelti verrebbero contrassegnati
con un distintivo di “sottufficiale riconosciuto idoneo a far
da ufficiale”; con che si sentirebbero spronati a prepararsi
a disimpegnare nel miglior modo il più elevato compito, men-
tre ai gregari apparirebbe naturale e non improvvisata la lo-
ro promozione ad ufficiale all’atto della mobilitazione.
S’intende che questo lavoro di selezione e di designazione
andrebbe rapidamente condotto e. termine per non avere scosse e
incertezze all’ultimo momento.
Parallela alla scelta degli ufficiali per inquadrare i re-
parti ha da essere la scelta degli ufficiali per i comandi, per
le intendenze, per i servizi. Criterio per questa scelta: por-
re l’ufficiale là dove può dare maggiore rendimento, date le
attitudini sue. È evidente che il rendimento dell’esercito
darà massimo quando ogni ufficiale sarà messo in condizioni di
lavorare a rendimento massimo. Perciò, sarebbe dannoso costi-
tuire gli organici dei comandi, delle intendenze e dei servizi
senza previo riconoscimento delle qualità e dello stato di ser-
vizio di ogni ufficiale.
Particolare cura, forse, è da aversi nello assegnare gli
ufficiali di artiglieria e del genio ai comandi delle grandi
utnità ed alle intendenze. Dato il doppio servizio e le molte
specialità di quelle armi, potrebbe accadere che fossero manda-
ti dottrinari o tecnici da tavolino là dove occorrono uomini
da guerra capaci di comprendere i disegni dei loro comandanti
ed il corso delle operazioni, di consigliare, di decidere, di
provvedere.
(13)
Risolta, nel modo indicato, la questione dei quadri, avremo
assicurato all’esercito nostro una delle principali condizio-
ni di vittoria.
ISTRUZIONE ED EDUCAZIONE MILITARE
Negli ufficiali poco varrebbe lo slancio, anzi potrebbe es-
sere dannoso, se non fosse guidato da saldi criteri di arte miti-
tare e dalla pratica di comando; analogamente, le buone qualità
fisiche e morali del soldato poco varrebbero se non avessero lo
indispensabile complemento di una solida istruzione militare.
La guerra, oggi, è difficilissima: essa richiede forte pre-
parazione nei capi e nei gregari: perfezioniamo, con lena instan-
cabile, la capacità professionale dei nostri ufficiali, la istru-
zione militare dei nostri soldati.
I primi, a seconda del loro comando, devono avere profonda
conoscenza delle nostre istruzioni tattiche, tattico. logistiche,
di tiro, di fortificazione (cito quelle essenziali), e, quel che
più conta, devono saperle applicare in quello immane atto di
cooperazione che è la battaglia; i secondi vanno allenati alle
lunghe marce, addestrati nel tiro contro bersagli simili a quel-
li di guerra, a manovre in qualunque terreno, a costruire rapi-
damente lavori di fortificazione campale.
La stagione che avanza non permetterà esercitazioni su lar-
ga scala; ma non impedirà le “”tattiche”” presidiarie ed inter-
presidiarle, diurne e notturne, con servizi di esplorazione e
di sicurezza, nè il tiro con i fucili, con le mitragliatrici,
con le artiglierie, nè la costruzione di opere campali.
(14)
Un rigoroso criterio di progressione nello sforzo – oltre
che di razionalità nei temi, rispecchianti semplici, verosi-
mili situazioni di guerra – dovrebbe presiedere a quelle eser-
citazioni. E’ supremamente importante che l’ufficiale e il
soldato nostro acquistino la certezza sperimentale – e quin-
di la durevole coscienza – ch’essi possono superare qualunque
ostacolo di terreno o di clima, compiere sforzi prodigiosi per
intensità e per durata. Da questa coscienza formata in tempo
di pace sboccierà il senso eroico al principio della guerra.
Cosi marce sotto l’acqua e sulla neve, soste lunghe innan-
zi a posizioni rafforzate, nottate invernali agli avamposti
infonderanno quella coscienza e daranno al soldato una prima
impressione di quella persistenza nel disagio e nello sforzo
che è la caratteristica della guerra odierna.
Il buon senso dei nostri ufficiali garentisce che il fine
sarà raggiunto senza pazzesche esagerazioni dei mezzi.
[n5]Per gli ufficiali, è doverosa la conoscenza, almeno sulla
carta, del terreno di frontiera al di qua ed al di là di es-
sa, ed è utile la conoscenza dell’esercito probabile nemico.
Ufficiali alquanto specializzati potranno, in ogni ragguarde-
vole presidio, molto giovare alla istruzione dei colleghi.
Gli ufficiali destinati ai comandi, alle intendenze, ai
servizi hanno da prepararsi in tempo ai compiti speciali che
li attendono; e perciò sarebbe bene che a tutti fosse notifi-
cata – sia pure con prudenti cautele – la destinazione di
guerra.
(15)
All’inizio delle operazioni, anzi, all’atto della mobi-
litazione, tutti devono essere – come si dice in gergo mili-
tare – orientati e ferrati.
L’inverno, mentre limita le esercitazioni sul terreno,
è propizio alle istruzioni in caserma, e specialmente alla
scuola “”morale””.
Quest’anno, com’è ovvio, le istruzioni interne avranno
un programma speciale: “la educazione per la guerra”.
In ogni reggimento, i più adatti ufficiali – valendosi
di carte geografiche – parlino della guerra, dei supremi in-
teressi ch’essa involge, dei problemi che ne derivano all’Ita-
lia; indi, con argomenti opportuni, alimentino il “”senso o-
stile””, producano un avvicinamento ideale mostrando le uni-
formi straniere.
L’equilibrio, la temperanza di linguaggio dei nostri uf
ficiali sono arra che questa opera di irrobustimento del sen-
timento patriottico-guerresco si compirà senza alterare l’au-
sterità della caserma.
Ma ciò non basta.
Bisogna spiegare bene il capitoletto dei “”reati in ser-
vizio””: instillare l’orrore della prigionia di guerra, sta-
bilire che darsi prigionieri senza essere gravemente feriti
è colpa; insegnare il “”silenzio patriottico del prigioniero
interrogato dal nemico; insistere sul dato di fatto che le
maggiori perdite si soffrono retrocedendo, non avanzando;
illustrare che la guerra è principalmente disagio, sagrigi-
cío, pazienza, tenacia.
(16)
[n6]Molto utile sarà accennare esplicitamente alla lunga du-
rata delle odierne battaglie, alla possibilità di dovere
stare inchiodati molti giorni in una trincea o davanti ad
una posizione ordinata a difesa.
Il Risorgimento, specie il garibaldinismo, e la Libia
hanno diffuso la credenza che il combattimento si risolva
nella stessa giornata con un brillante gagliardo assalto al-
la baionetta. Per non correre incontro ad amarissime delu-
sioni – fonte di demoralizzazione – è grandemente importan-
te sradicare quella credenza, dando idea della vastità del-
la battaglia, della intensità di fuoco che la solca, della
necessità dell’adattamento al terreno per diminuire la vul-
nerabilità e, infine, dell’enorme difficoltà di avanzare e
della conseguente lentezza delle operazioni.
Ho detto programma di educazione per la guerra e lo ripeto:
tutto deve essere bandito che non sia preparazione degli spi-
riti alla guerra, nulla deve essere trascurato di ciò che
giova all’altissimo fine.
Alla grande opera collettiva di istruzione e di educazione,
ognuno deve concorrere con lo spontaneo miglioramento indivi-
duale.
Per gli ufficiali, è obbligo sacrosanto interrogare la
propria coscienza; so tutto e so far tutto quello che occorre
per condurre in guerra il mio reparto e per adempiere gli in-
carichi speciali che possono essermi affidati? Ove la rispo-
sta non dia pienamente rassicurante, l’ufficiale si spogli
di ogni falso amor proprio, studi e lavori.
(17)
Pensino i comandanti dei reggimenti ai giovani ufficiali
non ancora esperti. La linea di fuoco è l’onda che apre la via
alle altre onde, o la barriera contro cui deve infrangersi l’on-
da nemica: bisogna costituirla forte e salda, e perciò occorro-
no tenenti e sottotenenti sicuri, i quali associno allo slan-
cio giovanile il freddo raziocinio derivante dalla pratica del-
le formazioni, dal loro adattamento al terreno ed al fuoco, dai
collegamenti, dalla cooperazione.
[n7]I generali (mi concedano questa non necessaria, ma fervida
esortazione) pensino che avranno nelle mani i destini della na-
zione, sentano che sono già virtualmente investiti di una altis-
sima missione storica: si preparino al comando con fervore pa-
ri alla grandezza del compito loro.
Tutti gli ufficiali italiani si imprimano nella mente que-
sta verità: ora non c’è altro e non ci deve essere altro che la
preparazione alla guerra; non prepararsi sino al più alto grado
raggiungibile è delitto di lesa patria.
PROVVEDIMENTI PRELIMINARI
[n8]Forse, il provvedimento preliminare di maggiore importanza,
del quale debba augurarsi la immediata attuazione, è la costitu-
zione di reparti di milizia mobile.
Le ragione sono ovvie.
L’ideale sarebbe arrivare al reggimento, ma se si oppongano
ragioni di riservatezza od altre ragioni speciali, basterà for-
mare compagnie.
(18)
[n9]L’essenziale è dar vita a organismi fortemente costitui-
ti con quadri buoni quanto quelli di esercito permanente. Poi,
i nostri capi potranno preparare il completamento di tali uni-
tà con classi relativamente giovani, allo scopo di avere re-
parti la efficienza dei quali non differisca molto da quella
dei reparti di esercito permanente. Ognuno intende la grandissi-
ma portata di siffatti provvedimenti.
Predisposta la buona costituzione della milizia mobile,
rimarrebbe da designare i complementi, cioè i contingenti de-
stinati a compensare le perdite prodotte dai combattimenti e
dalle malattie nelle unità mobilitate, sì da mantenere comple-
to l’organico di guerra delle unità stesse.
Sono noti gli ottimi risultati avuti dai Giapponesi col
sistema dei complementi, ed è presumibile che il nostro eserci-
to, entrando in campagna, voglia costituirseli.
Altro atto preparatorio dovrebbe essere il richiamo degli
ufficiali di complemento – ai quali si è già accennato – desti-
nati ai reparti combattenti.
Oltre il vantaggio diretto dello addestramento degli uffi-
ciali stessi, si avrebbe quello indiretto di alleggerire il la-
voro, che si preannunzia gravoso, agli ufficiali permanenti già
da tempo sottoposti ad un sovraccarico, che ora, dev’essere, per
molte ragioni, evitato.
Con i provvedimenti accennati, l’esercito nostro si met-
terebbe in buone condizioni di mobilitazione per quanto riguar-
da i reparti. A completare l’opera, basterà costituire i coman-
(19)
di delle grandi unità, compresi quelli di milizia mobile,
che potranno, finchè si voglia, rimanere in ombra.
Dicendo costituzione dei comandi, non voglio intendere
effettiva costituzione organica: basta che intorno al coman-
dante siano tutti gli ufficiali di stato maggiore, cioè i
principali suoi collaboratori. Un comando precostituito, al-
l’atto della mobilitazione è già “”affiatato””, ha già ripar-
tito i compiti fra i suoi ufficiali sì da poter funzionare
anche prima dell’ordine di mobilitazione.
Possiamo limitarci ad una buona costituzione dell’eser-
cito di campagna?
[n10]Non sappiamo quale resistenza dobbiamo vincere: pruden-
za vuole che ci si prepari al massimo sforzo e quindi allo
inquadramento della milizia territoriale. L’impiego di essa
in operazioni attive – se pure occorrerà – non avverrà subi-
to al principio della guerra: il tempo disponibile servirà
così a rinfrancare gli ufficiali come ad agguerrire gli uo-
mini di truppa.
L’essenziale è di avere la chiara visione di tutto lo
sforzo a cui l’Italia deve accingersi (e chi può dubitare
che in alto questa visione non si abbia?) e di predisporlo
con sagacia latina e con metodismo tedesco.
——
Molteplici e multiformi sono le questioni connesse
con la preparazione di un esercito alla guerra.
Ho serbato di tratteggiare alcune che mi sono sembrate
(20)
tra le preminenti nel campo prettamente militare, nè mi
arrogo la presunzione di accennare ad altro.
So di non aver detto cose nuove, nè peregrine; ma cre-
do di averle avvivate col soffio sano che viene dall’ani-
ma italiana, pensosa dell’avvenire.
Abbiano gli ufficiali italiani illuminata coscienza
del compito storico, forse di portata universale, serbato
dai fati all’esercito nostro e intera coscienza di ciò che
l’ufficiale dev’essere per l’esercito.
Su quali basi più solide potrebbero poggiare le speran-
ze d’Italia?
ALDERIGO REDINI[1]
capitano
Redini
Note
L’articolo firmato dal Capitano Alderigo Redini, è corredato da note a matita del Barone Alberto Emanuele Lumbroso, direttore della Rivista di Roma ― Approssimandosi la guerra, la Rivista di Roma svolse campagne in favore dell’intervento e, nel 1915, lo stesso Lumbroso partì volontario col grado di sottotenente. Promosso tenente, dal 1916 al 1918 fu addetto militare aggiunto presso l’ambasciata italiana ad Atene e, al termine del conflitto, fu insignito del cavalierato nell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per benemerenze acquisite in guerra. Nel 1924, ormai di fatto separato dalla moglie, il Lumbroso si trasferì a Genova dove riprese la pubblicazione della Rivista di Roma, sospesa nel biennio 1922-23, che diresse fino al 1932. A Genova ebbe due figli, Emanuele e Maria Tornaghi, nati nel 1918 e nel 1919 da Adriana Tornaghi, con la quale aveva a lungo convissuto. (fonte) ― Le note sottolineano passaggi interlocutori o attuali relativi al periodo di pubblicazione sulla Rivista di Roma (prob. 1928) come ad es. a pag. 7 “Fascismo latente”.
Le note:
[n1] Fama usurpata
[n2] 1915!
[n3] Fascismo latente
[n4] Vero
[n5] NB
[n6] NB
[n7] NB
[n8] NB
[n9] NB
[n10] NB
[1]Alderigo Redini, Generale di brigata,
nato il 20 luglio 1875
Servizio
1931 – 1932 Capo Istruttore (Ingegneria delle Comunicazioni) presso la Scuola di Guerra
1935 Comandante della Zona Territoriale [Africa orientale](fonte)
“… Dopo il primo conflitto mondiale, in conseguenza del R.D. 2143 del 21/11/1919, a partire dal 1920, l’Arma del Genio si “ridisegnò” e, conseguentemente, per far fronte alle nuove esigenze delle specialità e in aderenza alle nuove modalità di impiego, si sentì la necessità di poter disporre di una Scuola di formazione e di addestramento, una “fucina” dell’Arma del Genio.
Per effetto del decreto 18 gennaio 1920, nacque inizialmente in Manziana (Roma) la Scuola Centrale del Genio, presso un insediamento denominato “Vedette” (poi “Casermette”), ma ben presto, nel 1925, si concentrò a Civitavecchia, presso la caserma “Bazzani”.
Il suo primo Comandante, dal 1920 al 1923 fu il Colonnello Alderico Redini. Presso la scuola, in quegli anni si svolsero corsi per Ufficiali superiori, corsi per Ufficiali di complemento e in congedo, per la formazione dei Sottufficiali e dei graduati.
I corsi A.U.C. del Genio iniziarono nell’agosto del 1921, dopo il 1° conflitto mondiale, con una durata di sette mesi presso la caserma “Castel S. Pietro” di Verona. Successivamente, dal 1° agosto 1927, vennero istituiti i corsi A.U.C. per zappatori, minatori, lagunari e pontieri, utilizzando anche la caserma “Principe Eugenio”.
Il 15 luglio 1930, a seguito del R.D. del 1° luglio dello stesso anno, venne costituita la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento del Genio, al comando del Col. Guido Di Palma. Nella nuova organizzazione, il primo corso iniziò il 1° novembre, nella caserma “Castel S. Pietro” per zappatori, minatori, lagunari, e pontieri, nella “Principe Eugenio” per radiotelegrafisti e telegrafisti. Ma questa “suddivisione” durò il tempo di un ulteriore corso, il tempo necessario per completare la ristrutturazione della caserma “Federico Menabrea” in Pavia, a causa delle numerosissime e fortissime motivazioni storico-culturali. Tale provvedimento divenne esecutivo il 25 ottobre 1932. Così il 1° novembre 1932 ebbe inizio il nuovo corso, nella nuova sede, per poi terminare il 31 maggio 1933. Comandante dell’Istituto era il Col. Luigi Grosso, che ricevette il 1° novembre del 1933 il motto della scuola “Par ingenio virtus”, motto che poi passò dal 1° marzo 1950 alla Scuola del Genio, con sede a Roma.
In particolare, nel 1932, nel cortile d’onore della caserma “F.Menabrea”, fu collocato il monumento “Avanti è la vita”, opera di Vito Pardo, che rappresenta un glorioso episodio della 10^ Cp. zappatori nella 1^ G.M.; il monumento fu poi ridislocato nel cortile d’onore della caserma “Ettore Rosso”, nel 1950. La Scuola di Pavia operò fino all’8 settembre 1943. Dopo la Seconda Guerra Mondiale divenne sede universitaria. …
” Da LA SCUOLA DEL GENIO a cura del Gen. B. (ris) Luigi Infussi (fonte)